Palazzo Pichi Sforza
Sansepolcro (AR)
via XX settembre, 134
0575 735384

Gianluigi Colin / Roberto Micheli
dal 14/6/2008 al 12/7/2008
Mer - Gio - Sab 11-13 e 17-20, Ven 17-20 e 21-24, Dom 17-20, Lun e Mar chiuso
0575 735384, 0575 1786553

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14/6/2008

Gianluigi Colin / Roberto Micheli

Palazzo Pichi Sforza, Sansepolcro (AR)

Due artisti, due amici, due mostre. Colin scardina in modo provocatorio le "liturgie" dei sistemi della comunicazione elettorale con un'azione dal sapore dadaista. Micheli usa la pittura del gesto e dei colori acidi per lavorare su altri supporti di scritture: giornali, partiture o semplici tele. A cura di Arturo Carlo Quintavalle.


comunicato stampa

A cura di Arturo Carlo Quintavalle

Colin/Micheli
Due artisti, due amici.
Due artisti, due amici, due mostre. Gianluigi Colin e Roberto Micheli da sempre si muovono su un territorio comune: la visione etica dell’arte e la riflessione sui linguaggi contemporanei. Pur usando tecniche molto diverse (il décollage froissé e la fotografia per Colin, la pittura e la scultura per Micheli) i due autori hanno deciso di dare vita a due esposizioni parallele e contigue come testimonianza di un dialogo tra autori e pubblico sul confronto tra identità, stili e visioni.

Colin presenta un nuovo linguaggio figurativo scardinando in modo provocatorio le “liturgie” dei sistemi della comunicazione elettorale: un’azione dal sapore dadaista che aiuta a riflettere e rivela in modo stupefacente i limiti e le ambiguità delle parole e della rappresentazione affidata alle promesse rassicuranti di un volto o di un sorriso.

Micheli usa la pittura del gesto, dei colori acidi e della libertà della composizione per lavorare su altri supporti di scritture: giornali, partiture o semplici tele: il risultato è un percorso emozionante e personale inserito nella grande esperienza dell’espressionismo astratto.


Colin
Volti, tracce, riti
Di Arturo Carlo Quintavalle

Volti, volti; pensare a quello che Colin ha saputo costruire con questi volti dei manifesti fa venire in mente altre ricerche determinanti per chiarire le sue matrici, le sue origini. Di recente ho visto con lui a Milano la grande mostra di Francis Bacon, e abbiamo ripercorso insieme, attraverso la lunga intervista televisiva che si proiettava in mostra, il sovrapporsi dei materiali nello studio, l’uso della fotografia dei ritagli, la costruzione complessa delle opere, le scelte strutturali dell’artista inglese. Quei ritratti entro uno spazio sospeso e come corroso dalla loro stessa carne sfatta, quelle figure sempre più consunte, quelle espressioni esasperate fino alla tensione più alta nei volti, quella trasformazione del volto umano in ferino, l’incubo dentro gli stessi ritratti di uno spazio che tende a dissolversi, a frantumarsi, tutto questo deve avere pesato molto, da anni del resto, sulle scelte di Colin e adesso diventa particolarmente evidente. L’altro riferimento deve essere a Lucian Freud nel quale la matrice picassiana è evidente ma è impressionante la scomposizione delle figure e la loro trasformazione in esseri orrendi, in sfatte immagini che con noi si confrontano.

Ecco, Colin ha visto, ha colto nel segno della nuova pittura, anzi di una sua importante tradizione, stimoli e suggestioni, ma li ha ritrovati grazie proprio al suo impegno nell’ambito dell’invenzione grafica quotidiana de Il Corriere della Sera perché qui il dialogo coi volti, l’assurdità oppure la impressionante tensione delle immagini, quelle di cronaca piuttosto che quelle dei politici, lo devono avere fortemente impressionato. Del resto Colin da una vita punta sulla ossessionante presenza della cronaca, sulla durezza delle presenze, sulla assurdità e l’estraniamento delle figure.

Se riflettiamo sulla storia di Colin, quella delle sue importanti precedenti ricerche, comprendiamo con quali strumenti, e con quale esperienza egli si sia posto il problema della immagine della politica, anzi, come la ha chiamata lui, l’immagine delle Liturgie della politica.

Una bella vittoria di tutti, si legge in un manifesto. Qui, appare annullata la contrapposizione dei politici dei partiti e delle loro immagini; in fondo ha vinto non una parte precisa di loro, ma ha vinto il rituale, ha vinto l’immagine, e, per Colin, ha vinto la ripetizione, l’orrore, la dissacrazione che permette di scorgere la realtà. Colin vuole dirci dunque, alla fine di un suo lungo percorso di ricerca, che l’arte, la sua arte, serve a mostrare quello che non sappiamo vedere, l’abiezione, la banalità della comunicazione politica, la sua artificiosità, la sua mostruosità. Quindi sono volti, tutti, che hanno vinto, o che avrebbero voluto vincere e che si presentano nel medesimo modo, o meglio che Colin ha trascritto, se preferite stravolto, nel medesimo modo. Appunto: Una bella vittoria di tutti.

Colin/ biografia
Nato a Pordenone nel 1956, conduce da molti anni una ricerca artistica dal forte impegno etico servendosi di materiali esistenti tra il presente e la memoria. Ha esposto in numerose città italiane e straniere e sue opere sono state acquisite da musei e istituzioni sia in Italia che all’estero. Tra i suoi lavori principali i progetti “Presente storico” (ricerca sulle immagini di cronaca in relazione alle figure della storia dell’arte), “Vie di memoria”, (opere realizzate con la partecipazione del pubblico sul tema dell’identità e della memoria) e “Assenze”, un’ indagine sul consumo dello sguardo dentro la grande storia dell’arte. Personalità eclettica, Gianluigi Colin è art director del “Corriere della Sera” su cui scrive anche di fotografia e comunicazione visiva.


Roberto Micheli
Per un espressionismo astratto oggi
di Arturo Carlo Quintavalle

Quella di Micheli non è certo l’astrazione geometrica, diciamo de Stijl o Bauhaus, non è certo l’astrazione delle avanguardie sovietiche o quella della Scuola di Ulm oppure della New Bauhaus di Moholy Nagy a Chicago, Micheli punta su un territorio differente dove le scelte di immagine nascono da una attenzione verso il dipinto come uno spazio possibile, uno schermo vero e proprio, dunque un luogo di proiezione in termini psicoanalitici. Proviamo a utilizzare le parole di Micheli che sono davvero illuminanti nel descrivere il suo processo creativo: “Mi pongo di fronte al supporto (carta, tela e tavola, etc.) senza premeditazione, privo di progetto, mi lascio trascinare dal gesto, per questo prediligo le grandi superfici… il gesto va oltre l’apertura delle braccia, è un fatto mentale”. Dunque la superficie da dipingere è come un luogo di fissazione delle pulsioni del subconscio e di tensione nei confronti dell’inconscio.

Certo, lo stesso Micheli riconosce che la sua strada si colloca all’interno della tradizione dell’Espressionismo Astratto americano, De Kooning e Motherwell, Guston e Kline, e magari anche Arshile Gorky . Precisa Micheli: “La parte più impegnativa del lavoro sta nel non farsi condizionare dalla memoria accademica; la sovrapposizione dei colori non rispetta le regole dei complementari, anzi le nega; il lavoro si sviluppa attento a rendere figura e fondo tutta una trama, il lavoro è riuscito quando il soggetto è tutto uno col fondo”.

Roberto Micheli/ biografia
Roberto Micheli, classe 1949, si inserisce nella tradizione degli astrattisti americani ma rivelando la sua profonda matrice europea. Ne è prova il suo linguaggio dalla forte impronta personale, caratterizzata dalla libertà formale e compositiva, dall’uso di colori e tonalità acide, dall’uso di supporti e materiali più vari, dalle carte di giornali, sacchi, cartoni, tavole di legno. Il suo è un lavoro in progress che non si prefigge obbiettivi se non quello di realizzare e realizzarsi.
il grande salto di qualità è avvenuto quando da figurativo (per 30 anni) è approdato all'astrattismo, meglio espressionismo astratto, eliminando la figura in senso accademico. Quando la figura ancora traspare non è l'elemento centrale del suo lavoro benché riveli gli studi e la formazione dell’accademia di belle arti di Roma.

Micheli ha un’impronta fortemente ancorata alla tradizione pittorica rifiutando però schematismi, categorie e catalogazioni. Per lui vale quello che scherzosamente affermava de kooning:" l'arte è come uno piatto di stufato, dentro c'è tutto, basta allungare una mano e prendere quello che più ti piace."
Ha esposto in numerose gallerie e spazi pubblici e pubblicato diversi libri: Libreria Ferro di Cavallo (Roma) , Sala del Maniscalco (Urbino), Galleria Bencivengart (Pesaro), I colonos (Udine), Palazzo Inghirami, (Sansepolcro) Castello di Sorci (Anghiari) Museo del Crudo,(San Sperate, Cagliari), Liliane francois (Parigi)

Immagine: Roberto Micheli

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