Segno e memoria. "Guardando le sue opere mi viene in mente Toti Scialoja, il pittore delle impronte, il poeta e scenografo che ha avviato all'arte intere generazioni di giovani"(Costanzo Costantini).
di Costanzo Costantini
Non saprei dire se per istinto, gusto innato, vocazione, sapienza acquisita con gli
studi e con l’esperienza, ma Vito Bongiorno è un pittore dalla mano leggera e dalla memoria vigile,
dal segno rapido e sicuro e dalla fantasia mobile, dalla forma cangiante e dalla immaginazione
cromatica leggiadra. Egli possiede quella leggerezza che Nietzsche considerava un dono divino:
“Pensieri che incedono con passi di colomba guidano il mondo”. Guardando le sue opere mi viene
in mente Toti Scialoja, il pittore delle impronte, il poeta e scenografo che ha avviato all’arte intere
generazioni di giovani, spiegando loro con l’esempio le ragioni profonde, spirituali e tecniche, del
fare pittura. Non ne è stato allievo, ma poteva esserlo stato, più e oltre che dell’aereopittore Mino
delle Site. Scriveva Toti Scialoja di sé: ”Sono stato felice ogni volta che il gesto ha preceduto il
pensiero, la parola ha preceduto il sentimento, l’abbraccio è venuto prima dell’amore. Sono intero
solo quando è la vita a condurmi”. E Fabrizio D’Amico di lui:” Una lama sottile, un punto instabile
di equilibrio, impossibile da tener fermo nel tempo, era l’impronta”. E impronte mi sembrano
quelle che figurano al centro delle opere di Vito Bongiorno, entro quadri e riquadri multicolori che
rivelano a un tempo senso del colore, virtuosismo della linea e padronanza della superficie pittorica.
Punto,.linea .superficie erano le regole della ricerca compositiva di Kandiskij.
Dice Vito Bongiorno: “Non c’è un passato o un futuro nel mondo dell’arte, non
condivido perciò chi definisce Bello un quadro, il bello in pittura non esiste! L’opera è una ricerca,
un esperimento ed è nel momento in cui la si osserva che acquista un significato profondo
traducendo le emozioni, le fantasie e le memorie di chi è spettatore, proprio per questo si trasforma
in arte”.
Egli mostra di considerare un quadro una sorta di “opera aperta”, alla quale
collabora anche lo spettatore, anzi che acquista un’esistenza solo quando traduce le emozioni, le
fantasie e le memorie di colui che la osserva.: un’idea eminentemente moderna, che nega che
l’opera d’arte abbia un’esistenza oggettiva, autonoma, indipendente non solo rispetto allo spettatore
ma perfino rispetto all’autore, come sostengono insigni storici dell’arte.
Nello stesso tempo mostra di aver conoscenza delle tendenze dell’arte moderna
rispetto al Bello e alla Bellezza. “ Il desiderio di distruggere il Bello è la forza motrice dell’arte
moderna”, proclamava nel ’48 Barnett Newman, uno degli artisti della sua scuola di New York. Lo
si voleva distruggere, il Bello, al fine di rinnovare radicalmente l’arte, di spazzar via la concezione
winckelmanniana della Bellezza quale sintesi di armonia, giusta proporzione delle parti, ordine, in
poche parole sintesi della divina proporzione di Luca Pacioli ( Il Wilckelmann distingueva la
Bellezza, fine specifico dell’arte, dal Bello, che riguarderebbe ogni altro aspetto della realtà). Il
desiderio di distruggere il Bello risaliva al Seicento, trovava una delle sue espressioni teoriche
nell’Estetica del Brutto di Karl Rosenkratz e culminava nella tabula rasa operata da Malevic,
Duchamp, Marinetti, Picasso e compagni.
Senonchè la Bellezza è un evento misterioso, che rinasce dalle proprie ceneri, come
la mitica Fenice.
“ Che cosa sia la Bellezza io non so”, diceva Durer.
“La Bellezza è un enigma”, diceva Dostoevskij.
“Il Bello è semplicemente l’inizio del terribile che molti di noi appena sopportano”,
diceva Rilke.
Nel suo saggio Medusa. L’orrido e il sublime nell’arte, Jean Clair ha riproposto
l’idea che esista un legame fra la Bellezza e l’Orrore. Egli fa risalire l’idea della Bellezza come
Orrore al mito di Medusa, che già nella Teogonia di Esiodo incarnava la Bellezza e l’Orrore e
come tale è stata rappresentata dagli artisti di ogni epoca, sino ai nostri giorni.
Questo lungo discorso per dire che le opere di Vito Bongiorno, piaccia o non
piaccia al loro autore, sono belle.
Oltre Toti Scialoja, egli mi fa venire in mente anche Yves Klein, il pittore francese
che ricopriva di blu i corpi di giovani donne e ne imprimeva le impronte sulla tela.
Galleria Lombardi
Via Urbana, 8/A - Roma
Orario: mar-sab 10,30-13; 16.30-19,30
Ingresso libero