Anteprima dall'oscurita'. 4 artisti si confrontano affrontando la tematica dell'inconscio, l'esplorazione della propria identita', la paura di perderla e la divulgazione delle nostre tensioni.
Perché una mostra sul nero? Simbolo di oscurità
sin dai tempi antichi, presagio fatale di forze
incontrollabili che agiscono sull’uomo in modo
indelebile, il nero ha alle sue spalle una storia
funesta raccontata dalla società.
Quattro artisti si confrontano celebrando il
nero. E ognuno di loro lo interpreta, lo
comprende, e in un certo senso lo chiarisce,
sottoponendo agli occhi dello spettatore una
visione nuova e stimolante. La tematica
dell’inconscio, l’esplorazione della propria
identità, la paura della perdita di questa, e la
divulgazione delle nostre tensioni attraverso la
metafora arte: tutto questo viene sezionato dai
quattro autori, che fanno dell’oscurità una
condizione di assoluta fertilità da cui ogni
nuovo progetto di vita diviene potenzialmente
possibile, presentando l’inconscio attraverso la
celebrazione dei suoi lati oscuri.
Filippo Saccà instaura con la tela un rapporto
dialettico che arriva ad una dimensione fisica:
il suo corpo si fa oggetto in favore di
un’esperienza artistica totale, memore della
pittura d’azione americana. Il tema
dell’inconscio resta inglobato all’interno
dell’uomo in un susseguirsi di evoluzioni che
viaggiano con l’evolversi della società: Saccà si
nutre di immagini sempre nuove che appartengono a
tutti e che esplodono nella tela come i pensieri
cupi nella mente, facendosi linguaggio e materia,
e assumendo una bellezza che diventa sublime
perché fatta di gioia e disperazione. Clyfford
Still considera presuntuosa e irrilevante ogni
richiesta di comunicazione, perché dentro l’area
visibile del quadro si muove l’invisibile ombra
del nostro inconscio, che partecipa
soggettivamente alla visione, proiettandosi come
paura, speranza, inquietudine o gioia. Ciò che
conta è che col tempo non si impari ciò che ci è
stato insegnato a vedere: l’inconscio è una
valigia in disordine che non dovremmo mai
riordinare, per perseverare, in mezzo alla
confusione, nella ricerca di qualcosa che somigli
al nostro pensiero.
Nelle parole di Saccà:“Non è
un argomento nuovo quello della dimensione
inconscia: già Pollock, Rothko e Hofmann
sessant’anni fa lo avevano affrontato. Il fatto è
che credo che l’arte non sia più una questione di
novità - anche perché ora siamo pieni di false
novità e di veri ciarlatani -, ma credo sia solo
una questione di espressione di noi stessi.”
L’inconscio dunque porta a cercare similitudini
tra il nostro pensiero e il mezzo per
raccontarlo. Per fare questo Orio Geleng torna
all’Origine: una situazione iniziale, remota e
oscura che vive incontrollata nel ricordo
intangibile dell’origine dell’universo. Il grande
contraccolpo scatenato dall’assestamento di
pianeti e orizzonti stellari viene ripetuto in
forma di pittura e prende vita attraverso le
composizioni cromatiche, che oscillano nello
spazio in questo senso pittorico alla ricerca
di un assetto armonico. E’ l’evoluzione del
tutto, scandita nell’accomodarsi vicendevolmente:
un’entità si sposta lentamente verso l’altra,
raggiungendo la propria dimensione, il proprio
spazio in questo senso stellare e una stabilità
dopo la grande esplosione. In questo contesto
domina lo spazio nero il buco -, un’entità densa
e invisibile, di cui sappiamo solo indirettamente
e che attrae tutto verso di sé dando vita
all’Orizzonte degli Eventi: una situazione di
confine dove non arrivano luce e materia, una
terra di nessuno dove la scienza non può più
calcolare.
Da qui, secondo Geleng, partono tutte
le evoluzioni possibili come Dio, la vita,
l’universo in espansione: ciò che non può darci
risposta certa riguardo la propria origine ed esistenza.
Mentre Mario Lucchesi si muove entro il perimetro
di un numero limitato di colori, l’elemento
portante tra questi resta il nero, così
convincente nella sua forza, da consolidare le
posizioni e la presenza degli altri. E’ un lavoro
indivisibile dalla musica: in un suo quadro il
controluce è da considerarsi come un
contrappunto, una combinazione di melodie che fa
del suo linguaggio eterogeneo un motivo musicale
che vive di contrasti all’interno della tela. La
responsabilità del nero in questo caso è di
trovarsi di fronte a tutto restando nell’ombra, e
attraverso questa illuminare il resto, confinato
alle sue spalle. Cosa accadrebbe in questo caso
se il nero non ci fosse? Perderemmo la nostra
terza dimensione: quella della profondità, dello
spazio che fa propagare il suono, e insieme a
tutto questo perderemmo la musica, e con lei il
colore, in sostanza ogni cosa. Nella mancanza di
un solo elemento, immediatamente anche gli altri
perderebbero valore. Come un accordo, le
vibrazioni suscitate dall’armonia di elementi
diversi toccano la nostra emotività, facendoci
sentire parte di un tutto, che sa funzionare
insieme come una grande esecuzione sonora, in cui
ad ogni accordo musicale ne corrisponde uno cromatico, non meno importante.
Sara Spizzichino racconta di un’oscura tana del
coniglio, che come un ponte collega reale e
immaginario. Wonderland diventa un viaggio magico
attraverso la facoltà di comprendere situazioni
emotive, dove il gesto del riflettersi in uno
specchio e il riflettore puntato su di sé
diventano metafore che indicano lo stesso
significato.
Sara Spizzichino, autoritraendosi in
un contesto totalmente astratto, non espone sé
stessa, ma la visione allegorica di un intimo
stato d’animo, in cui il paradigma Sara/Alice non
è un altro modo per autodefinirsi - non si tratta
di un alter ego - ma la possibilità riservata a
ciascuno di osservare se stesso da lontano. Le
figure, nella loro immobilità mostrano una
situazione d’interludio senza fine, che lascia
tutto sospeso bloccando lo scorrere del tempo e
ogni sorta di azione possibile. Estratto da un
lavoro che prende il nome dal meraviglioso paese
in cui l’eroina Alice si perde mentre è alla
ricerca di ciò che va oltre la realtà, Wonderland
diventa un viaggio all’interno dell’intima
oggettività di ciascuno: un autoritratto fiabesco
entro il quale ognuno può - come Alice attraverso
lo specchio guardare sé stesso aspettando di
vedere il proprio riflesso, nell’unico posto - il
sogno - dove la sola realtà attendibile è quella dell’illusione.
La mostra vuole essere una metafora che invita ad
andare oltre le apparenze e i luoghi comuni. Un
suggerimento ad oltrepassare la soglia che divide
l’educazione impartitaci dalla nostra
individualità, ciascuno abbandonandosi alla
propria esperienza della visione. Perché nessun
colore, come un’idea o uno schieramento politico
ha un significato assoluto. In assenza di luce
l’occhio riposa per vedere nuovamente: il nero
porta con sé la promessa del giorno, dopo la notte.
Inaugurazione 15 settembre 2008
Complesso dell'Annunziata
Piazza Campitelli - Tivoli (RM)
Orari: lun/dom dalle 16 alle 24 (sabato dalle 21 alle 24)
Ingresso libero