In "Economia Politica / Geografie Umane" Stefano Boccalini ha scelto di utilizzare mappe, carte geografiche del mondo, dei singoli continenti, degli stati, e le ha sottoposte a un procedimento per cui la carta appare stropicciata, con i confini tra Paesi non percepibili nitidamente. Gabriele Basilico presenta fotografie dal ciclo "Milano. Ritratti di fabbriche, 1978-1980", che costituiscono il suo esordio come fotografo di architettura.
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Stefano Boccalini
A cura di Adelina von Fürstenberg
Stefano Boccalini è nato a Milano nel 1963, dove vive e lavora.
Fin dall!inizio, si è distinto per progetti e interventi di “Arte
pubblica”: un!arte caratterizzata da un forte e convinto impegno
personale nel sociale.
A partire dal 2001 si è dedicato ad una serie di progetti basati
sul coinvolgimento degli abitanti del quartiere Isola di Milano,
un!area interessata da una sensibile trasformazione urbanistica
e dove egli stesso vive.
Uno di questi lavori è Stone Island: “è uno dei progetti che in
questi cinque anni ho attivato all!interno e con l!aiuto del
quartiere .... È un lavoro che vuole recuperare la memoria di un
territorio attraverso la testimonianza diretta dei suoi abitanti,
quelli più anziani, quelli che da più tempo vivono all!Isola e
magari ora sono marginalizzati: non per guardare al passato
come possibile momento da ricostruire, ma per coinvolgere
ognuno di loro attivamente nel processo di cambiamento. La
storia collettiva, le storie personali non rivestono l!ultima
funzione in un reale progetto di trasformazione”.
Da questa esperienza l!artista ha tratto delle stampe lambda:
ritratti intensi di questi anziani, protagonisti almeno per una
volta; attualmente queste immagini sono esposte alla XV
Quadriennale d!Arte di Roma.
Fondamentale, nella costruzione di un lavoro, per Boccalini è la
collaborazione tra persone: egli afferma di aver cercato subito
un legame con gli abitanti, in ognuno dei posti in cui ha deciso di
intraprendere un progetto. Uno di questi luoghi è Serravalle
Pistoiese, dove ha creato un archivio pubblico, partendo dai
materiali privati delle persone che abitano in paese: foto di
matrimoni, comunioni, feste locali, partite di calcio, ecc. che
hanno costituito un “Album di famiglia”. La famiglia a cui si
riferisce Boccalini è una famiglia allargata costituita da chi
appartiene alla comunità dell!antico borgo medievale, che ha
concesso le proprie memorie all!archivio.
L!artista ha presentato i suoi lavori in alcune mostre
internazionali tra cui: “Donna Donne” a cura di Adelina von
Fürstenberg (Palazzo Strozzi, Firenze, 2005; Sesc Paulista, Sao
Paulo do brasil, 2007; Musée de Carouge, Genève, 2003),
“Fragments d!un discurs italien”, Musée d!art Moderne e
Contemporain Mamco, Genève, a cura di Christian Bernard,
2003.
Nei lavori che presenta allo Studio Dabbeni, Stefano Boccalini
rinuncia al rapporto diretto con la comunità, ma non smette di
condurre la propria riflessione su problematiche di carattere
antropologico e sociale che si estendono, in Economia Politica/
Geografie Umane, a una dimensione politica. L!artista ha scelto
di utilizzare mappe, carte geografiche del mondo, dei singoli
continenti, degli stati. Le ha sottoposte a un procedimento per
cui la carta appare stropicciata, con i confini tra Paesi non
percepibili nitidamente. Questo a indicare che la sua riflessione
è estesa ad una dimensione mondiale, in cui i confini geografici
perdono d!importanza. Su queste mappe Boccalini, in relazione,
in questo caso, ai singoli stati, riporta i dati drammatici della
vendita delle armi da parte dei relativi paesi e il numero dei morti
in guerra. In questi lavori non più quindi il rapporto diretto con
una comunità ma “problematiche che ci riguardano tutti”: questo
il legame con i precedenti lavori, secondo la spiegazione fornita
dall!artista.
Egli evidenzia come i dati che ci vengono forniti dai
media rimangano il più delle volte astratti, come le stesse
notizie, da cui siamo bombardati, vengano difficilmente
trattenute e si disperdano. Di questi numeri egli ha quindi voluto
offrire una visualizzazione precisa; non sono netti i contorni ma il
numero è sempre chiaramente leggibile, tanto che saltano
all!occhio alcuni dei contrasti e delle situazioni politiche che
connotano la realtà odierna.
In contrasto con la vacuità di tante esperienze artistiche che ci
attraversano, Stefano Boccalini compie una riflessione profonda
sulla drammaticità di un sistema, di cui ci offre una visione
personale e inedita.
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Gabriele Basilico
Lo Studio Dabbeni presenta la sua seconda mostra personale
del fotografo Gabriele Basilico, in cui viene riproposto il corpus
di opere dell!artista intitolato “Milano. Ritratti di fabbriche,
1978-1980”, un documento importante per comprendere
pienamente la fotografia di architettura in Italia.
Le fotografie presentate costituiscono, infatti, l!esordio di
Basilico come fotografo d!architettura, dopo un breve momento
iniziale in cui si era dedicato alla fotografia di reportage. In
queste immagini l!artista sceglie di sottolineare l!identità
industriale di Milano, la sua città. Secondo la definizione del
fotografo, si tratta di veri “ritratti”. Infatti l!autore paragona
spesso la città a un organismo vivente: “… Ci sono edifici che
grazie alla sapienza di chi li ha progettati e alla visione di chi li
fotografa, svelano una forma antropomorfa. Nelle architetture
sono nascosti occhi, nasi, orecchie, labbra, volti che aspettano
la parola …”(1985). Di questo organismo egli si sente parte: “…
La città è un organismo che respira e si espande sopra di noi
come un mantello protettivo che ci abbraccia e ci confonde allo
stesso tempo. Questa città mi appartiene e io appartengo a lei,
quasi io fossi un frammento fluttuante dentro il suo immenso
corpo…”(1999).
L'artista, nel puntare l!obiettivo verso questi
oggetti industriali, ne sottolinea il silenzio: privi della presenza di
persone come in una condizione di sospensione del tempo.
Il suo vuole essere un ritratto di questo corpus, il paesaggio
contemporaneo, che nel pensiero del fotografo è dotato di vita
autonoma, ma soprattutto è capace di suscitare in chi guarda
un!emozione intensa, degli affetti veri. Basilico percorre questo
paesaggio attraverso lo sguardo rigoroso dell!obbiettivo
fotografico: in tal modo egli tenta di comprenderlo, e allo stesso
tempo di sondarne i limiti. Riprende una Milano in cui
l!architettura si presenta, filtrata dalla luce, in modo scenografico
e monumentale.
Le immagini nascono attraverso
“un!operazione di astrazione, di isolamento, di assenza”(1992).
Si potrebbe scorgere un riferimento alle fotografie di Berndt e
Hilla Becher, nell!essenzialità, nella descrizione oggettiva, nel
recupero dell!architettura industriale, e nell!attribuire dignità
estetica al mondo produttivo. Ma Basilico alla fine non si lascia
sedurre fino in fondo dalla serialità e catalogazione sistematica
presente nell!opera dei grandi maestri tedeschi. Il fotografo
afferma che per lui gli accostamenti delle singole immagini
avvengono anche e soprattutto per un principio di “familiarità”.
Se si deve trovare un riferimento nella purezza di forma e nella
luce che sottolinea la plasticità degli edifici, il richiamo ci riporta
alla stagione della pittura Metafisica, in particolare all!opera di
Mario Sironi. In“Ritratti di fabbriche”, vi è un rapporto affettivo
con la cultura dell!industria, che ha dominato tutto il Novecento
e che ora volge al termine, e che egli vive con la commozione e
la coscienza di una cosa perduta.
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Stefano Boccalini was born in Milan in 1963, where he lives and
works. Since the beginning of his career he has distinguished
himself for his “Public Art” projects and interventions: art that is
characterised by a strong personal commitment towards social
issues.
Since 2001 he has dedicated himself to a series of projects
based on the participation of the inhabitants of Milan!s Isola
quarter, an area that has undergone considerable urban
transformation and where he currently lives.
One of these works is Stone Island: “This is one of the projects
that in the last five years I have activated inside and with the
help of the neighbourhood… It is a work about recovering the
memory of a district through the direct testimony of its
inhabitants, the oldest ones, who have lived in the area for the
longest time and who, perhaps, are now marginalised: not in
order to look towards the past for a possible reconstruction, but
to involve everyone actively in the process of change. Certainly,
collective history and personal stories do not take on an
unimportant function in an effective transformational project”.
Out of this experience the artist has made lambda prints: intense
portraits of these elderly people, protagonists at last; currently
these images are exhibited at the XV Quadriennale d!Arte in
Rome.
For Boccalini, collaboration between people is fundamental in
the creation of a work: he claims to have tried to create a bond
from the start with the inhabitants in all of the places where he
has decided to undertake a project. One of these places is
Serravalle Pistoiese, where he created a public archive, starting
from personal effects of the people living in the town:
photographs of marriages, first communions, local celebrations,
football games, etc. that constituted a “Family Album”. The
family that Boccalini is referring to is the extended family made
up of those who belong to the medieval village, who handed
over their personal memories to the archive.
The artist has presented his work in various international
exhibitions, among them are: “Donna Donne” curated by Adelina
von Fürstenberg (Palazzo Strozzi, Florence, 2005; Sesc
Paulista, Sao Paulo, Brazil, 2007; Musée de Carouge, Geneva,
2003), “Fragments d!un discurs italien”, Musée d!art Moderne e
Contemporain Mamco, Geneva, curated by Christian Bernard,
2003.
In the works presented at Studio Dabbeni, Stefano Boccalini
renounces the direct relationship with the community, yet
continues his reflections about problems of an anthropological
nature that extend, in Political Economy/Human Geographies,
into a political dimension. The artist has decided to use maps
and geographic plans of the world, of single continents, and of
nations. He has treated them with a process that leaves the
paper creased so that the borders between countries are no
longer clearly perceptible. This demonstrates that his reflection
can be extended to a worldwide dimension in which
geographical confines are no longer important. Onto these
maps, Boccalini has transferred, in relation to, in this case, the
individual nations, the dramatic figures regarding the sale of
arms and the number of war deaths in each country. In these
works, then, there is no longer a direct relationship with a
community but “problems that concern us all”: this is the link to
his previous works, according to the explanation given by the
artist.
He points out how, more often than not, the data that is
supplied by the media remains abstract, as do the same news
accounts, which we are bombarded by, that are rarely retained
and become dispersed. Hence, he has chosen to offer these
numbers in a visually precise way; the borders are not clear but
the numbers are always clearly legible so that your eye is drawn
to some of the conflicts and political situations that connote
present reality.
Contrasting the vacuity of many of the artistic experience that
we come across, Stefano Boccalini carries out a deep reflection
on the dramatic reality of a system, of which he offers a personal
and original vision.
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Studio Dabbeni is presenting a personal exhibition by
photographer Gabriele Basilico for the second time. The
exhibition re-proposes the artist!s corpus entitled “Milan.
Portraits of Factories, 1978-1980”, an important document for
fully understanding architectural photography in Italy.
In reality, the photographs in the show represent Basilico!s
debut as an architectural photographer after a brief initial period
in which he dedicated himself to photo reportage. In these
images the artist has chosen to emphasise the industrial identity
of Milan, his city. According to the photographer!s definition, they
are true “portraits”. In fact, the artist often compares the city with
a living organism: “…There are buildings that, thanks to the
talent of their designers and to the vision of the person
photographing them, reveal an anthropomorphic form. Hidden
within the architecture, eyes, noses, ears, lips, and entire faces
that await the faculty of the word can be found….” (1985).
Moreover, he feels that he is part of this organism: “…The city is
an organism that breathes and expands above us like a
protective cape that embraces us and confounds us at the same
time. This city belongs to me and I belong to it, almost as if I
were a fragment of it fluctuating inside its immense
body…” (1999). In directing his lens towards these industrial
subjects, the artist emphasises their silence: lacking the
presence of people, they exist in a state of suspended time.
His intention is to create a portrait of this corpus–the
contemporary landscape–which in the photographer!s mind has
a life of its own, a landscape that is capable above all of
provoking in the viewer an intense emotion, real attachment.
Basilico travels through this terrain through the rigorous eye of
the photographic lens: in so doing he tries to understand it and
at the same time to test its limits. He photographs a city in which
the architecture presents itself, filtered by the light, in a
scenographic and monumental way. The images are created
through “an operation of abstraction, of isolation, of
absence” (1992).
A connection to Berndt and Hilla Becher is
recognisable, in the essential quality, in the objective
description, in the reuse of industrial architecture, and in the
attribution of aesthetic dignity to the world of production. But,
ultimately Basilico is not totally seduced by the seriality and the
systematic cataloguing found in the works of the great German
masters. The photographer maintains that for him the placement
of the single images comes about mostly due to a principle of
“familiarity”. Looking a reference with regard to the purity of the
form and light that emphasises the plasticity of the buildings, the
period of Metaphysical painting, and specifically the work of
Mario Sironi are recalled. In “Portraits of Factories” an
affectionate relationship with the industrial culture that
dominated the Twentieth Century and that is now coming to an
end is perceived, which Basilico experiences with the emotions
and the consciousness of something now lost.
Inaugurazione: mercoledì 17 settembre 2008 ore 18
Studio Dabbeni
Corso Pestalozzi 1 - Lugano
Da martedì a venerdì ore 09.30-12 / 14.30-18.30, sabato ore 9.30-12 / 14.30-17 domenica e lunedì chiuso
Ingresso libero