Dieffe Arte Contemporanea
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Alberto De Braud
dal 24/9/2008 al 11/11/2008

Segnalato da

Dieffe arte contemporanea




 
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24/9/2008

Alberto De Braud

Dieffe Arte Contemporanea, Torino

Culinary dreams. "Le sue opere "impossibili", in qualche caso ibridi tra reale e artificiale o metamorfosi tra arte e design mettono in gioco i cinque sensi e allo stesso modo, cosi' come i paradigmi logici a cui si e' abituati e dietro i quali nascondiamo ogni turbamento." (il curatore R. Bellini)


comunicato stampa

a cura di Rolando Bellini

Alberto De Braud è un artista affatto unico e attraentissimo. Per più ragioni, a muovere dal fatto ch’egli rappresenta, assieme a pochi altri, un nuovo movimento artistico neonato da appena qualche mese tra Milano e Torino e di cui non si sa ancora molto. L’arte “irrealista”. Egli, infatti, con le sue opere, le sue installazioni “impossibili” lanciate oltre i confini della realtà artistica moderna e contemporanea, oltre Iperrealismo e New Dada, oltre Pop Art americana e Post-human, oltre Fluxus e Arte Povera e molto altro ancora, oltre insomma tutte o quasi tutte le etichette storicizzate negli ultimi decenni; egli incarna il modello ideale del nuovo creativo.
E grazie a ciò riesce a dare forma, alias vita alla tecnica e alla rappresentazione che sommandosi al conflitto fecondo in atto tra arte e scienza, costituiscono un’arte nuova, che si nutre dei più attuali paradigmi, d’ogni succo vitale offerto dalla situazione contemporanea.

Vi è una letteratura su di lui, che si riassume, assai brevemente, così. Francesco Poli ha scritto della sua scultura ch’è caratterizzata da leggerezza, fragilità, frammentarietà e visione ironicamente spiazzante della realtà, muovendo indifferentemente da J. Johns, Arman, Penone. Tra le fonti di De Braud vi sarebbe pure Man Ray, con effetto oltre che ironico e bizzarro anche di trompe l’oeil impossibile. Un’arte plastica in cui si attua la reinvenzione dell’oggetto. Per Elena Pontiggia, Alberto De Braud crea, con discrezione e disincanto, un nuovo anello dell’eterna catena del creato, animando una personalissima scacchiera metafisica. Ogni oggetto, duchampianamente, si fa enigma. Per di più un enigma desueto nella originale sua reiterazione. Dato che, nel gioco degli specchi senza specchi in cui ogni opera, ogni oggetto anche il più piccolo od ordinario, il più effimero e banale, si carica d’infinito, De Braud anima un ossimoro. Ed “è questo ossimoro, scrive Pontiggia, che dà alle sue opere la loro febbrile, pulsante vitalità”. Stando infine a Marco Meneguzzo, De Braud attua una scultura “colloquiale”, una narrazione plastica fatta per essere osservata da vicino, toccata. E sono poi, le sue, opere mai del tutto imprevedibili e anzi, al contrario, connotate da una “sorpresa prevedibile”, attraverso un codice simbolico democraticamente rivolto a tutti.

Hanno scritto di lui molti altri critici, fra cui Tommaso Trini e Angela Vettese. E tutti, con differenti declinazioni e accenti, hanno voluto sottolinearne la singolarità anche e soprattutto nel riuso di tecniche storiche e togate (come la fusione in bronzo). Una singolarità che viene enfatizzata nella precarietà dei disequilibri, nella leggerezza delle forme. E tuttavia, una tecnica che tira in ballo comunque la storia dell’arte. E si fa per questo assai problematica. Dunque, mi interrogo riallacciandomi in particolare a quanto scritto dai tre critici summentovati, molto probabilmente Alberto De Braud dà a tutti i riguardanti la possibilità di vedere oltre il possibile vedere? Egli insomma crea una realtà irreale che smaschera ogni nostra falsa interpretazione d’essa e apre un varco cognitivo inesplorato oltre le apparenze sensibili?

Lo annunciava già l’autoscatto realizzato da Alberto De Braud a Rodhe Island, negli Stati Uniti, nel 1983, lo riaffermano i tratti salienti della biografia che segue, anni novanta e nuovo millennio – egli, dopo il brillante avvio americano, trasferitosi ormai in Europa, a Parigi, ottiene i primi riconoscimenti internazionali anche sul vecchio continente, per poi affermarsi, buon ultima, in Italia, a Milano, dove attualmente vive e lavora – molto di quest’autore è paradossale. Il fil rouge che unisce i molti paradossi in un’unica installazione di cui i suoi creati sono parte (come fossero parole di una sola proposizione) conferma risoluto quanto dichiarato, consapevolmente e non senza un intendimento provocatorio e una strategia da neoavanguardia postmoderna, dall’artista, quand’egli afferma: “Mordere la realtà per crescere, è la cosa più importante”.

Parrebbe lecito, allora, argomentare (congetturalmente) delle sue tazzine di caffè in sequenza, tazzine che emanano un sapore e un sapere, un odorare e un vedere wittgensteineiano; delle collane di salsicce che si innalzano sinuose come cobra ammaestrati, suscitando inaspettati strappi percettivi e sensitivi e spargendo all’intorno, al tempo stesso, il profumo della salsiccia scottata; delle teiere con molti beccucci che versano tisane meravigliosamente visionarie; delle inaspettate pergole rampicanti d’edera neoleonardesca che tentano lo spazio come funamboli; delle splendide composizioni di fragranti uova affrittellate, in cui il vedere e il gustare si mescolano, emanando un altro e nuovo vedere. Ogni possibile descrizione delle opere “impossibili”, sono parole sue, in qualche caso ibridi tra reale e artificiale o metamorfosi tra arte e design, altro ancora, ogni possibile impossibile creato da De Braud mette in gioco i cinque sensi e allo stesso modo, aggiungo volentieri, i paradigmi logici a cui si è abituati e dietro i quali nascondiamo ogni turbamento e gli infiniti dubbi che assalgono quando il confronto con le realtà del mondo e la indicibile complessità che le anima si fa più diretto.

Credo pertanto che il commento conclusivo e rivelatore in merito al suo “fare” sia riscontrabile nel dire di un veggente. Credo infatti che esso sia stato pronunciato dall’insuperabile Goethe e anche ciò è, a conti fatti, un esplicito riconoscimento dell’autentico valore di Alberto De Braud. Mi riferisco, com’è ovvio, a un’affermazione tanto spesso citata di Goethe: “Colui al quale la natura comincia a svelare il suo segreto manifesto, sente irresistibile nostalgia per la più degna interprete di essa, l’arte”. Così agisce in prima persona Alberto De Braud, nel dare forma alle sue fantastiche opere.
Rolando Bellini

Inaugurazione 25 settembre ore 18,30

Galleria Dieffe Arte Contemporanea
via di Porta Palatina, 9 - Torino
Ingresso libero

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