Centro culturale San Vitale
Cremona
Via Altobello Melone, 1 - 26100
0372 458302, 0372 461026 FAX 0372 461109
WEB
Felice Abitanti
dal 25/9/2008 al 18/10/2008
lun-sab 9-13; 15-19 Dom e festivi ore 10-13; 15-19

Segnalato da

A.P.I.C.Associazione




 
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25/9/2008

Felice Abitanti

Centro culturale San Vitale, Cremona

La mostra si presenta come una rievocazione del mondo cremonese a cui l'artista appartiene: la natura inquieta, turbata dalla nevrosi, del suo essere pittore, l'eredita' dell'intimismo paesistico della provincia padana e l'interesse per il ritratto e per la figura umana.


comunicato stampa

Questa mostra dedicata a Felice Abitanti non è soltanto un doveroso riconoscimento della sua attività come pittore, ma è anche un gesto di amicizia atteso da quanti lo conobbero. Si presenta altresì come una rievocazione del mondo cremonese a cui Felice appartenne, quello di artisti e di altri spiriti liberi che negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso coltivarono (oggi ci sembrano gli ultimi), fino a un totale coinvolgimento esistenziale (e penso a Renzo Botti e a Ettore Baroschi), l’amore per l’arte e per la vita intellettuale che cominciava a essere insidiato da diverse e opposte parti.

Alcuni di noi ne ricordano ancora lo strazio e la volontà di vivere da artisti soffrendoli nello spirito e nella carne, nelle difficoltà di affermazione e di sopravvivenza fisica e intellettuale, lo stesso sofferto votarsi di altri artisti di quella generazione anche in centri maggiori (e penso al gruppo che gravitava a Milano intorno a Brera vivendo in povertà e in particolare alla storia di Ferroni). A Cremona si aggiungeva lo struggimento di essere in provincia con la volontà di non lasciarsene sopraffare.

La frequentazione del Caffè degli artisti in via Aselli e gli incontri tra pochi amici (e tra questi c’era don Franco Voltini) con una fedeltà mai venuta meno servirono a non estinguere questo mondo nel quale i sogni, le scelte e la libertà di scoperta avevano ancora un senso.
Nei nostri ricordi la storia di Abitanti è centrale. Nato poverissimo, l’indigenza e la tubercolosi segnarono i suoi anni giovanili. Per l’attitudine evidente allo studio fu avviato, come ancora si usava, al seminario per breve tempo e ne uscì capace di intendere il latino e il greco. Al suo sostentamento poté provvedere dando lezioni private a giovani studenti. E mi preme riferire, attraverso i ricordi dell’amico Romano Esposito, di Pier Antonio Pedroni che fu suo allievo e di mio fratello Luigi, la sua applicazione appassionata alla lettura durante le ore notturne, la selettiva e attenta passione per la musica, indispensabili elementi del suo profilo di intellettuale e di autodidatta.

E occorre ricordare che, dopo gli anni nei quali qualche aiuto gli permise di dedicarsi alla pittura, le necessità di sopravvivenza lo portarono a esercitare, con altrettanta passione e probità professionale, il restauro al quale lo iniziò Carlo Acerbi. Felice dette un senso al suo lavoro con lo studio continuo e l’approfondimento delle tecniche.

Nell’occasione di questa mostra scrive sull’opera pittorica con una partecipazione documentata e affettuosa Fabrizio Merisi, che lo frequentò da giovanissimo. E nessuno meglio di lui poteva accompagnarci lungo il percorso delle sue opere. Nel suo scritto Merisi cita osservazioni rivolte al lavoro di Abitanti da Elda Fezzi. Prematuramente scomparsa, era stata mia allieva di Liceo dove insegnavo da studente lavoratore facendo la spola con Bologna, dove seguivo le lezioni di Roberto Longhi. Un’eco di ciò che accoglievo nelle mie frequentazioni universitarie credo sia passata anche ai miei discenti liceali. Elda si distingueva per la vivacità con cui seguiva le lezioni e per gli interessi già orientati verso i fatti contemporanei.

In seguito è stata la presenza critica di riferimento per l’attività degli artisti cremonesi. A lei dobbiamo letture illuminanti e dal vivo dei dipinti che Abitanti espose in alcune occasioni. La personale del 1959 corrispose a un suo periodo molto appassionato e in corso dalla fine del 1956 di elaborazioni intese a destrutturare e a ricostruire gli oggetti, che Merisi pone in relazione con il movimento milanese del realismo esistenziale.

Ciò che si nota in queste opere è l’atteggiamento che si può definire perennemente sperimentale. La partecipazione dell’autore aggredisce il tema e la materia scontrandosi con diversi modelli (con una appropriazione che non è una imitazione, ma una sfida) e li destruttura per trovare nel suo intervento e nelle sue emozioni, come scrive in alcune lettere, la carta vincente e risolutiva.

La natura inquieta, turbata dalla nevrosi, del suo essere pittore operante a Cremona, ma guardando a Milano e a Venezia, si era già manifestata nelle prime esperienze, l’eredità dell’intimismo paesistico della provincia padana e l’interesse per il ritratto e per la figura umana. Questa scoperta era guidata da una vera vocazione al disegno manifestatasi molto presto e sviluppata nello studio di Iginio Sartori, uno dei suoi maestri, il più seguito e amato. Il suo primo foglio del 1949 con un nudo femminile ripreso dal vero, giusta l’iscrizione, appare condotto da una mano che non ubbidisce all’intento imitativo, ma segue una disposizione che è già cólta e figurativa. È questa la chiave che ci introduce alla sua pittura.

Felice Abitanti, l’opera pittorica
Fabrizio Merisi

Felice Abitanti nasce a Casalbuttano (CR) il 31 agosto 1926 e muore a Cremona il 30 agosto 2005. Proveniente da una modesta famiglia contadina, viene avviato agli studi nel convento dei Frati Minori di Brescia. Durante l’ultimo anno di liceo è costretto a lasciare lo studentato per una grave forma di tubercolosi. Dopo un lungo periodo in sanatorio a Milano e a Sondalo, sul finire della guerra torna a vivere con la madre alla periferia di Cremona e da allora non lascerà più la città.

Firma il suo primo disegno, un piccolo nudo a punta di penna, nel 1949, ma inizia a dipingere sistematicamente nel 1954, nello studio di Iginio Sartori, quando già aveva vent’otto anni e una notevole preparazione letteraria e in storia dell’arte.
Il suo lavoro di pittore si svolge in un susseguirsi frenetico di opere e nell’arco di pochi anni, dal 1954 al 1961, brucia la sua vena creativa, chiudendo il cerchio di una ricerca densa di importanti risultati che lo pongono fra gli autori più innovativi e rappresentativi dell’arte figurativa cremonese del primo dopoguerra.

In seguito intraprenderà l’attività di restauratore di opere d’arte, affermandosi per oltre un trentennio come professionista di grande prestigio.
Il corpus della sua opera pittorica, improntato a una ricerca incessante, può essere distinto in tre periodi.
Dal ’54 al ’56 soggetti privilegiati sono gli amici e modello di riferimento è il mondo assorto e contemplativo di Iginio Sartori: il colore si stende compatto e liscio sulla superficie della tela sfruttandone i nodi e le asperità per accentuare le vibrazioni luminose.

Dal ’56, per esprimere le sue inquietudini di uomo moderno, allarga lo sguardo alle avanguardie milanesi del realismo esistenziale, da Vaglieri a Guerreschi, ed esprime esiti di grande spessore come la grande figura La nonna cieca di Teresa.

In seguito, sempre alla ricerca della pura emozione data dalle vibrazioni luminose del colore, inizia un lavoro di destrutturazione dell’oggetto, prima con esperienze neocubiste passando poi rapidamente al magma coloristico che trova i suoi referenti nella grande pittura americana, da Pollock a Gorky e sul versante italiano in artisti quali Vedova, Morlotti, Guidi.

Dal ’59 al ’61 il coagulo che si va depositando sulla tela, segnatamente in paesaggi come Campo di grano o Argine battuto dal vento, è espressione diretta, fervida, priva di mediazioni intellettuali, dell’interna eccitazione dello spirito, del sentimento, della fiamma alta dell’immaginazione pittorica che si concretizza in una fitta trama di colore-luce.

Inaugurazione venerdì 26 settembre 2008, ore 18

Centro culturale San Vitale
piazza Sant’Angelo 1
lun-sab ore 9-13; 15-19
Domenica e festivi ore 10-13; 15-19
Ingresso libero

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