MACT/CACT Arte Contemporanea Ticino
Bellinzona
via Tamaro, 3
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WEB
Bohdan Stehlik e Una Szeemann
dal 10/10/2008 al 6/12/2008
Ve-sa-do 14:00-18:00

Segnalato da

CACT Centro d'Arte Contemporanea Ticino


approfondimenti

Bohdan Stehlik
Una Szeemann



 
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10/10/2008

Bohdan Stehlik e Una Szeemann

MACT/CACT Arte Contemporanea Ticino, Bellinzona

White nights and dark dreams. Una mostra suddivisa in cinque sezioni con video, intallazioni interattive, fotografie e piccoli collage.


comunicato stampa

La serie composta da 68 fotografie, in bianco e nero, titolata DARK MOVIES Movies (2007) nella sala 1, dimensioni variabili, apre la personale di Bohdan Stehlik/Una Szeemann (1972, 1975) al CACT Centro d’Arte Contemporanea Ticino. Allestite nella prima sala at random, come tanti fotogrammi danzanti e impazziti, quest’opera costituisce un vero e proprio incipit espositivo tematico, ma anche la genesi emblematica e felice del lavoro di questa coppia d’artisti, costituitasi attorno all’anno 2006. DARK MOVIES, infatti, fornisce la chiave di lettura che apre automaticamente tutte le sale della mostra e attorno cui Stehlik/Szeemann decidono di sviluppare un lavoro comune di rimessa in discussione dei linguaggi artistici, sia da una prospettiva tematica che semiologica.

Come detto, 68 sono le fotografie e 68 sono i titoli di altrettanti capolavori del cinema internazionale, cui gli artisti si ispirano, ricostituendo – per ognuna – il set di un tournage, giustapponendo i personaggi del film, da loro abilmente creati in plastilina, alle scenografie. Il bianco e nero come elemento mnemonico del film. Una ricostruzione altamente simbolica, quindi, della memoria storica, riconducibile all’attuale situazionismo contemporaneo e bipolare, sospeso tra realtà e sogno, tra reale e vero, inteso come consapevolezza di un vissuto non consumato dall’esperienza: lo scarto atemporale che ritroviamo nella precedente opera di Bohdan Stehlik, all’unisono con la ricerca di certezza storica di Una Szeemann [che ritroviamo, per esempio, in anteriori opere filmiche come MONTEWOOD HOLLYVERITA' (2003)], e una sorta di vanescente reinterpretazione del mondo reale e rapporto con esso.

Tragicamente splendido è il lavoro video a 3 canali sincronizzati, 6’40’’, FADED MAJESTY (2007) da vedere nella sala 2. Esso ridisegna – fors’anche ironicamente, ma non senza momenti di notevole pathos – la quinta di un mondo e di un pensiero tipicamente occidentali. I luoghi scenografici sono immersi in una luce d’ombra, ad indicare l’abbandono e la perdizione dell’uomo fuoriuscito da un tempo secolare e certo; altrimenti la presenza di cervi bianchi, unica vivida e superstite verità in un mondo abbandonato dall’umanità e dal suo vano progresso. La forza e la grazia di questi sopravvissuti all’evoluzionismo emanano tanto splendore quanto straordinaria è la loro unicità, la loro regale e fantastica alterità rispetto al mondo, al modello, all’abitudine; al concetto di categorizzazione che – qui – perde via via di significato storico e banalmente societale. In un tessuto post-industriale e tecnologico, ove i concetti di bellezza, di assuefazione, di estetizzazione e dittatura dell’oggetto con le sue certezze, della macchina fine a se stessa, ecco che i cervi di Stehlik/Szeemann assumono quella dimensione visionaria e non solo realistica. Un monito, un grido silente e strozzato, come in una favola essi riconducono lo spettatore anche all’interno di un possibilismo onirico, collocandosi tra sogno e realtà, tra bellezza e tragedia, tra modernità e tradizione nella vanità: tra potenza della vita e consapevolezza della morte.

Nella sala 3, è visibile l’opera, a carattere installativo interattivo, BALLOONS (2008), semplice nella sua dimensione segnica. Una serie di palloncini in gesso appesi casualmente al soffitto: un intervento che manifesta la sua forza, non già per semplicità – come detto – dei mezzi linguistici, quanto per l’espressione di antagonismo tra due concetti opposti; dentro/fuori, leggerezza/oppressione, realtà/evasione, prima/dopo, realtà/finzione. Il filo del discorso si srotola attorno ad una drammatica sospensione temporale, a festeggiare un insalubre e mortifero mondo delle illusioni e delle utopie mancate, dei microscopici sogni infantili. Ecco che ancora insieme, Stehlik/Szeemann sovrappongono e fondono i reciproci temi di ricerca, facendone riaffiorare gli aspetti (auto)biografici profondi e oscuri a me tanto cari.

NEVEREVEN (2008), proiettato nella sala 4, è un video HD interamente realizzato a Roma; città eterna, culla della cultura europea e di un’umanità che non muore, perché sempre ricomincia, e da sempre senza sosta. Così il video, montato senza alcun apparente inizio e fine. Anche in questo caso, i riferimenti stilistici sono quelli del film [vagamente dell’orrore per il pathos che vi si crea, i tagli, la bella fotografia, il montaggio, e le sue sospensioni temporali], ove i due protagonisti – una giovane donna e un uomo maturo [padre e figlia?] – si aggirano per la capitale, in un loro strano rincorrersi; si potrebbe presumere tra vittima e carnefice, fino all’ipotetico strangolamento della figura femminile. Ipotetico, poiché la morte della giovane, che sembra non decedere mai, è per lo spettatore un enigma da risolvere nella sua azione interpretativa. I riferimenti al thriller, una notevole suspense nel susseguirsi del narrato, nonché un intelligente sonoro descrittivo a firma di Domenico Ferrari, ne fanno un video intrigante dal punto di vista del cruciverba psicologico, non senza i soliti riferimenti al rapporto con la storia [la figura quasi paterna del protagonista maschile, sostenuta da un latente sentimento di nostalgia], la relazione realtà/finzione, sogno/allucinazione, entro un’estenuante descrizione di perniciosa conflittualità.

La serie di piccole opere titolate INVITED NEVER TO RETURN (2008) della sala 5 sono, in realtà, la sovrapposizione in forma di collage di immagini fotografiche di cigni malamente strappate e incollate su fondali anch’essi fotografici, i cui temi rimandano a scenari di guerra o di guerriglia urbana. La fine della civiltà umana, con cui i due cigni – a significare simbolicamente l’amore indissolubile e puro tra due esseri viventi – sono confrontati, non lascia alcun dubbio attorno alla visione del futuro. L’atto di Amore rappresentato dagli animali è un miraggio, suffragato anche dalla tecnica della fotografia a colori; un semplice viraggio alla tonalità seppia. Un pallido grido di speranza; una goccia nel mare del dinamismo dionisiaco e contemporaneo.

Vernissage_sabato 11 ottobre 2008 alle ore 17:30

Centro d'Arte Contempoanea Ticino - CACT
Via Tamaro 3 - Bellinzona
Ve-sa-do_14:00-18:00 (o su appuntamento)

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