Prima mostra di un ciclo che vuole presentare artisti provenienti da quella corrente degli anni '70, definita Pittura Analitica. L'artista ha sempre rifiutato di essere classificato come 'analitico', anche se molti suoi lavori, soprattutto quelli degli anni '70, rispondono alle caratteristiche del movimento: sono tele libere che hanno definitivamente abolito il telaio; presentano righe colorate con uno o pochi colori, o delle forme ovoidali in successione.
a cura di Giorgio Bonomi
Questa è la prima mostra di un ciclo che vuole presentare artisti provenienti da quella corrente degli anni Settanta, definita Pittura Analitica o Pittura Pittura. La corrente non fu solo italiana ma europea: per esempio in Francia si chiamò Supports/Surfaces e in Germania Analytische Malerei. Naturalmente, nel corso degli anni, gli artisti singolarmente si affermano nella loro individualità e differenza, senza più vincoli di appartenenza né di affinità, sebbene spesso abbiano continuato ad esporre congiuntamente.
Giorgio Griffa ha sempre rifiutato di essere classificato come “analitico”, anche se molti suoi lavori, soprattutto quelli degli anni Settanta, rispondono alle caratteristiche del movimento: sono tele libere che hanno definitivamente abolito il telaio; presentano righe colorate con uno o pochi colori, o delle forme ovoidali in successione. L’artista stabilisce il numero, la misura e la direzione dei segni, ma senza scopi simbolici né evocativi: gli elementi presenti sulla tela sono solo ciò che si vede, nulla di più; così raggiunge l’estrema autoreferenzialità dell’opera o, meglio, dei segni e dei colori usati. Detto questo, possiamo meglio comprendere come, nel periodo successivo, Griffa utilizzi un segno, un po’ più complesso e carico di cultura della “semplice” linea, l’arabesco.
Matisse insegnò come la decorazione potesse essere arte eccelsa, Griffa vuole un segno che abbia una riconoscibilità semantica la più larga possibile, e sappiamo che la spirale o l’arabesco hanno una storia e una tradizione, nello spazio e nel tempo, vastissima. A ciò si aggiunge l’introduzione della serialità, infatti le sue tele sono numerate progressivamente in modo tale che il “semplice” numero diventi esso stesso elemento decorativo, definitorio, in un’opera che certamente ha superato la semplicità della riduzione segnica, compositiva e cromatica degli anni precedenti. Recentemente Griffa, abolito anche il numero, oramai raggiunta la piena maturità, naturalmente quella artistica, realizza opere che, in un qualche modo, appaiono come una specie di sintesi di tutte le fasi precedenti, nel segno, nel colore, nella sovrapposizione delle tele/garze, nella composizione.
Il titolo di questa mostra, in cui si presentano circa quaranta opere che abbracciano quasi tutto l’arco di operatività dell’artista, dagli anni Settanta ai nostri giorni, è stato scelto dallo stesso Griffa, basandosi su frasi e concetti delle Lezioni americane di Italo Calvino.
Così Griffa ricorda queste parole: “Un tema niente affatto leggero come la sofferenza d’amore, viene dissolto da Cavalcanti in entità impalpabili che si spostano tra anima sensitiva e anima intellettiva, tra cuore e mente, tra occhi e voce. Insomma, si tratta sempre di qualcosa che è contraddistinto da tre caratteristiche: 1) è leggerissimo; 2) è in movimento; 3) è un vettore di informazione”. Se sostituiamo il nome “Cavalcanti “ con “Griffa”, le stesse parole calzano alla perfezione nei confronti dell’artista, per la sua leggerezza dei materiali, dei suoi disegni, dei suoi colori, cioè della sua poetica.
Poi Griffa riprende Calvino lì ove ricorda come Leopardi richiede, “per farci gustare la bellezza dell’indeterminato e del vago, […] una attenzione estremamente precisa e meticolosa che egli esige nella composizione di ogni immagine, nella definizione minuziosa dei dettagli, nella scelta degli oggetti, dell’illuminazione, dell’atmosfera, per raggiungere la vaghezza desiderata”. Anche qui queste parole ben si potrebbero adattare all’opera di Griffa.
Infine l’artista riprende le parole dello scrittore relative a “cristallo e fiamma, due forme di bellezza perfetta da cui lo sguardo non sa staccarsi, due modi di crescita nel tempo, di spesa della materia circostante, due simboli morali, due assoluti, due categorie per classificare fatti e idee e stili e sentimenti”. Anche le tele di Griffa hanno la precisione e la delicatezza del cristallo e l’impalpabilità della fiamma pur essendo entrambi ben visibili e forti.
Il giorno dell’inaugurazione, il curatore, Giorgio Bonomi, terrà, per il pubblico presente, un colloquio con Giorgio Griffa sulla sua arte, quella passata e presente, e sulle prospettive future.
Giorgio Griffa è nato a Torino, dove vive e lavora, nel 1936. Ha esposto in numerosissime mostre personali e collettive, in Italia e all’estero. Tra le personali ricordiamo quelle presso le Gallerie Martano e Sperone di Torino, Sonnaben a New York, Templon di Parigi, Fumagalli di Bergamo, la Pinacoteca di Ravenna, e più recentemente al Kunslanding di Aschaffenburg, il Museo della Permanente a Milano e l’Insitut Mathildenhöhe di Darmstadt; tra le collettive si ricordino almeno le partecipazioni alle Biennali di Venezia del 1978 e 1980, e le mostre presso Palazzo Reale di Milano, Palazzo delle Esposizioni di Roma, Castello di Rivoli e tantissime altre.
Inaugurazione: Sabato 18 ottobre, ore 17,30
Museo d’Arte Contemporanea. Cascina Roma
Piazza delle Arti 6, San Donato Milanese
Orari: lun/sab h. 9.30/12.30 - 14.30/19; dom h. 10/12.30 - 16.30/19