Der Undergang des Abendlandes - Il Tramonto dell'Occidente: 100 fusioni digitali di nobilita' inconsapevole. I suoi ritratti sono per la maggior parte basati su scatti fatti con il cellulare, mixati attraverso l'elaborazione grafica e stampati su carta telata.
Bologna, via del Pratello, scrostato palco eroso, assi sconnesse ruggini e chiodi
sporgenti, inerte isola sospesa, scena usurata sulla quale galleggia, schiuma lenta,
una fauna detritica composta da baristi, musici, satrapi e onischi, mugwamps,
studentame apatico, spacciatorucoli, pruriginosi sbandati e nullafacenti, gente
cosiddetta comune che vaga, e svaga, per impulso elettrico, per caso, per noia, per
posteriorità. Der Untergang des Abendlandes, Il Tramonto dell'Occidente: una
raccolta deliberata, 100 ritratti, 100 anime brulicanti che l'autore, attraverso
l'elaborazione digitale, innesta, in una sorta di parabiosi iconografica, sulle basi
di altrettanti celebri ritratti della tradizione pittorica tra XVI e XIX sec. Ecco
allora dj Topo trasformarsi in un Velazquez, l'iracondo oste Osvaldo sfumare in un
Caravaggio, e le pance melettiane, le dentature lanarizzate, trovar posto, e
l'apparenza di un rifugio. Il Pratello dunque come una di quelle isole-palude,
Kreuzberg, Soho, williamsburg, Testaccio etc., in cui si consuma la colorata,
nevrastenica, giocosa, drammatica, aporia vitale dei personaggi raffigurati.
Fabio Balcon nasce a Belluno il 15 gennaio del 1969 alle 2 di pomeriggio in una 500
abarth del
'67, visto che una furiosa bufera di neve sorprende sull'infida Salita del Boscon il
padre Bruno e la
madre Cesarina mentre cercano di raggiungere l'ospedale. Figlio unico, trascorre gli
anni dell'infanzia e dell'adolescenza in quel di Sedico fra scuola e lunghe
passeggiate solitarie nella selva antistante casa sua. Nel 1989 consegue la Maturità
scientifica e dopo aver prestato il servizio militare
presso il glorioso reggimento 7° Alpini di stanza a Belluno fugge dalla natia terra
per cercar fortuna e una laurea a Bologna. Animo inquieto e solitario abbandona da
copione gli studi a un passo dalla laurea per intraprendere un cammino creativo che
lo porterà ad interferire con ambiti assai diversi tra loro. Mantenendo un comune
denominatore però: una iconoclasta vena dissacratoria. Dj, Art director presso
svariate agenzie di pubblicità, animatore di serate danzanti ed agitatore del
web attualmente vive a Santa Maria in Duno vicino a Bologna circondato dall'affetto
di Gina (la
gatta) e di 400 cactus.
I rItrattI
Per la maggior parte basati su scatti fatti con il cellulare mixati sulle opere
originali grazie al software di rielaborazione fotografica digitale Photoshop CS3,
sono di dimensioni variabili ( da 24 x 30cm fino a 50 X 70 cm). Stampati su carta
telata ed abbelliti da cornici barocche rigorosamente made in China.
FUsIOnI dIgItalI
dI nObIlItà deCadUta
(ritratti di umanità deceduta, anche)
una galleria di tipi quasiumani in coltura iconografico-esorcistica
Di Gianluca Medardo d'Incà levis
Die Stelle (il luogo):
Il pratello dunque come una di quelle isole-palude, Kreuzberg, Soho, williamsburg,
Ttestaccio etc., in cui si consuma la colorata, nevrastenica, giocosa, drammatica,
aporia vitale, dove gli uomini-buffoni -pochissimi i sibariti-mettendo in scena lo
scioglimento delle proprie interiora (per cui i corpi che si mostrificano, le pance
che si iommizzano, i denti che si lanarizzano, scomparendo senza favilla, nemmeno
più un luogo per alloggiare il persin benefico tartaro, e gli stessi killer shakes
che dolcemente si [ultra]montanizzano, in realtà han bisogno di frollare un poco in
un eroico altrove, etc.), la propria decomposizione, cibandosi del suo spettacolo,
fingendolo uno spettacolo e riparandosi dietro a questa dimensione scenografica
eretta a scudo contro il vampirismo della realtà, e poi pur pascendosi di tanto
saputofalsa ilarità, ma ad un punto tale è spinta dall'incandescenza psicotropa la
finzione difensiva, che si giunge - essi dicono- a credere alla verità di tale
disperata messinscena, salvo poi ceder di schianto a tratti, in preda ad
apocalittiche depressioni nell'alba ripugnante di un giorno morto che giustizia
l'ennesima, bellissima, falsa notte stellata, impugnata contro il cielo,
paradisartificializzata, etc.
isagòge (tre volte 100)
Attraverso la sostituzione della parte sana con quella malata, l'ablazione del volto
pittorico e la crocifissione di quello selezionato, l'ibridazione, il camaleontismo
coloristico, la ricerca del corrispettivo, o d'un accidentale involucro
iconografico: ecco dunque la trasposizione, il mascheramento. Ecco che persino le
biologie si riplasmano, prendon forma in guisa del modello estetico-protettivo
adottato, ed i martiri (100) vestono le proprie fisionomie che son corazze da
battaglia, armi autentiche, lucidate in vista dello spettacolo, dello scontro. E di
essi, e della loro purezza originaria, viene ora isolato un dettaglio, frammento
d'innocenza putrefatta, ma sottratta all'orto transgenico del corpo mutante, ed esso
è ricondotto all'indietro, verso lo stato di cellula pre-tumorale, ricondotto,
attraverso la cerimonia della ri-vestizione; una spoliazione, anche, che consente di
vedere un brandello d'origine. Si levano via i lenzuoli pinti, quelle coltri che
celavano le solitudini e le tristezze degli abitanti (100) del pozzo del gioco
notturno che non c'è, tutti in realtà sanno che non c'è; allibratori e ippogrifi;
resti, brani, scampoli, schegge: rimasugli di uomini esplosiricomposti. L'innesto
coincide con una pratica d'esorcismo (iconografico), il gioco della trasposizione;
l'incrocio è anche calibrazione, misurazione del calco, costruzione di una maschera
fissatrice eternante (pur nel ghigno dello scherzo, c'è un'ansia fissativa,
antiobliante); il gioco contro l'inevitabile caduta, che ogni giorno i dannati (100)
provano, senza mai credervi davvero, ad arginare;
Feiern und Eindaemmung
(celebrazione, arginamento e salvazione)
l'esorcismo come gioco e maschera dolorosa;
in un'epoca in cui tutto è fine, tutto è oltre, post, in cui il recupero e la
rilettura straniante sono tic, procedure sistematiche, standardizzate manie massive,
fissazioni che invece di donare, duchampianamente, nuovi sensi,
o non-sensi, alle cose, le replicano per praxis, esce qui invece, come un sangue
raggrumatodenso, un ritratto, omaggio, gioco, quasiromantico, dei compagni
d'odissea; è questa, l'azione svolta dall'àio, compassionevole pastore ignitore di
salme beccheggianti, Bluastro (RAL 6004) Archimandrita della Nuova Esulcerata Chiesa
Leptocefala; non un travestimento dadaista, che alieni il senso, o l'uomo dal senso;
non il reportage, il racconto di un sacrificio, l'epitaffio a finti colori e trompe
l'oil di un gruppo funebre di adepti fluorescenti della lyotardiana cultura
nichilistica; non il disincantato apprezzamento dei triti aspetti umani
- troppo umani - i caratteri di un gruppo di giovani reduci, prigionieri di una
immane giostra auto-mutiledifensiva; piuttosto un tributo, un teatro, una galleria
di figure umanizzate, che nel travestimento emettono un bagliore, il lampo di un
frammento di personalità autentica, di vita, colta e mostrata proprio grazie, ed
attraverso, la giocosa e straniante procedura di re-incorniciatura iconografica, che
è il prender, letteralmente, l'abito antico;e qui, i soggetti operati, lungi dal
perdersi, acquistano anzi una maggior definizione; gli elementi identificativi
primari si precisano nella fisiognomica costumata.
Essendo per giunta il totem del Progresso risultato inefficace, persino nella fossa
putrida degli ambiti ipercontaminati della cultura post-moderna, coi suoi novelli
formalismi estetici e straziate pose e pozioni tecnologiche (come l'incarnazione
della praxis nel medium digitale), ecco dunque comparire, estetizzato baluardo, il
Simbolo; attraverso il gioco del mascheramento, la festa del costume, il wit, si
attua il recupero dei concetti organici fondativi di Simbolo e Destino, scagliati,
come lucidopuntute stelle ninja, contro l'opaco controllo tecnico-scientifico
dell'esistenza, contro l'acritico, meccanicistico, dilagare di Segno e Progresso,
che, mentre fingono di ammodernarla, uccidono la festa, che è il rito vitale da
difendere, l'innesco esplosivo della regressione evolutiva; l'esorcismo: l'ordine
d'allontanarsi dall'uomo, impartito da dio al demonio incarnato;
la festa dunque: festa è aurora: lo scherzo, scherzen, arguzia concepita nella
mascera, macherer, mascharat, ovvero la burla di Sachira, che appunto consente la
riappropriazione del sacro tempo della festa, entro il quale l'uomo perviene,
cavalcando la scia vermiglia della liberazione entropica dionisiaca, al riscatto
della sfera matrice poi fulcro extramondano, del contatto vitale con gli elementi
istintivi e simbolici della vita prima della caduta, l'Erlebnis, prima della
triturazione del senso ad opera della tekne tuttoschiacciante; quasi un novello
romanticismo, abbiam detto, viene vestito a festa, mascherato; tutta la serietà
della festa e dello scherzo; la loro vitalità pulsiva, quasi un esoterismo, lanciata
come dardopotente contro il grigiore uniformante del meccanicismo postnihilista e
dei gruppi scultorei della Zivilisation; ed il tramonto, quandanche davvero sia,
gode, nella luce nascente/morente dei crepuscoli, ed è spectaculum; ma la domanda:
ha dunque, questa pseudo-civiltà, questa Kultur fatta d'isole e di monatti, esaurito
la propria spinta creativa? sono le proprie arti giunte alla fine? se così è, è
l'ora per essa, pei suoi drughi, di sparire, di fluire nell'elemento animico
primordiale; è la forma del suo linguaggio - segreto - del sentimento del mondo; la
fisiognomica, la cura del volto ri-collocato, è lo studio morfologico-goethiano che
riconduce il gruppo di adepti (100; come le civiltà) al proprio carattere organico,
fuor di meccanica; il ri-montaggio è un'antivivisezione, un'anticlassificazione
tassonomica, scientifica, ed un'intuitivo, gentile, apprezzamento canettiano - nel
metodo- delle affinità; le civiltà, i gruppi, rimangono materia vivente, e la forma
simbolica salva il passato dal nulla; le espressioni simboliche divenute arte, seria
o giocosa, sono indicatori preziosi; nel gioco, che è speranza, il Destino è
preferito alla causalità (la necessità organica a quella meccanica: solo così il
gioco ancora rimane possibile, e vitale); esaltazione della metafisica del vivente,
ed attrazione simbolica del mondo.
Tutto ciò si realizza nell'azione creatrice:
attraverso lo stile (il campionario di stili; il campionamento di mascheramenti
stilizzanti) di un gioco artistico che è traduzione e trasmissione del Simbolo quale
principium individuationis, i portatori del germe, del presente putrefatto,
dell'anima tecnica di Faust, delle declinazioni autoptiche della scienza moderna,
anche nelle sue applicazioni apparentemente ludiche, non decadono, ma vengono
salvati, dalla fede operativa, dall'azione che si oppone alla rinuncia, dall'altro
sentimento faustiano, quello dell'immortalità dell'anima; non la fisica, non la
perversa macchina habermasiana, ma, ancora, la metafisica digitale di una società
trasparente, traverso la chiave pudica del gioco;
a tramontare dunque, infine, sarà forse solo l'accidente: le anime, da tempo
immemore già perdute, continueranno a cadere, ed a rotolarsi furentemente in quelle
pozzanghere di quasiumanità che condensano spontaneamente attorno al filamento
bavoso delle marce albe elettriche, quando esse, come leggendari vampiri
mathesoniani (100), all'heartbreak, o al lizard lounge, un attimo prima del late
bateman show, semprerisorgono, liquefatte.
Sedi:
Punt? - via San Rocco 1/g, Bologna
Bar Osvaldo - Via del Pratello 96, Bologna
66 - Via del Pratello 66, Bologna
Caffe' della Piazza - Piazza San Francesco 3, Bologna