Cielo aperto. Le opere di Aletti chiedono con forza un contatto per tastarne la morbidezza, il calore, la sinuosita' delle forme. L'opera di Madeleine Guggisberg appare in un concretarsi plastico, immersa in una atmosfera magica, misteriosa, avvolta dal silenzio delle terre di Langa, luogo caro all'artista.
a cura di Raquel Barriuso Diez e Vittorio Amedeo Sacco
Daniele Aletti
Da perfetto astrattista, Aletti, trasferitosi da una decina d’anni nel cuneese dalla Svizzera, crede che il significato, per la vita stessa di un’opera sia una connessione che crea con chi la guarda e la interpreta secondo la sua sensibilità. Le opere di Aletti chiedono con forza un contatto: i marmi non devono essere fruiti con la sola vista, ma chiedono al braccio di allungarsi per consentire alla mano di tastarne l’incredibile morbidezza, l’accogliente calore, la sinuosità delle forme. Aletti è in costante sperimentazione ed evoluzione, ama provare sempre nuove qualità di materia, scovando diversi marmi tentando filoni pittorici nuovi, libero da qualsiasi cliché, corrente o formalismo, convinto che la vera arte sia quella del vivere da cui l’espressività figurativa trae ispirazione. “Tutti abbiamo una creatività da esprimere”, dichiara convinto Aletti: creatività da sperimentare nell’approccio con le opere dell’artista.
Per Aletti l’oggetto non genera senso ma emozioni, l’oggetto non è simbolico ma affettuoso. Si deve toccare, occorre entrare in relazione. Aletti dice: “mi piace l’idea di un contatto ravvicinato con la materia, per poi arrivare ad un’esperienza diversa che per appunto va oltre la forma. Essenziale credo sia il vuoto senza il quale la materia non è definibile. Il vuoto senza il quale la materia non è definibile. Il vuoto è anche l’unica cosa assoluta nella vita, tutto il resto credo sia relativo. Il vuoto non è niente di mostruoso, ma l’origine di tutto. Svuotare la propria mente porta a non mettere continuamente i propri pensieri al centro dell’attenzione”.La stessa tecnica scultorea di Daniele è “a togliere” e quindi genera vuoto. E’ dall’assenza di materia che si ottiene forma.
L’artista ha davvero nelle mani la sapienza antica dello scultore che ha eletto la pietra a simbolo primigenio del legame stabile e duraturo tra l’uomo e la terra, oggi trasformatosi profondamente, se non addirittura scioltosi del tutto. Aletti opera su frammenti organici del mondo minerale, ne conserva i “segni” specifici della loro individualità materiale e vi intravede la possibilità di un’altra esistenza, quella speciale di “segni” comunicanti, con cui l’osservatore può entrare in rapporto sia visivo che tattile, esprimendone così compiutamente la bellezza delle superfici ora fluide e lustre, ora scabre e solcate
da textures misteriose.
Daniele Aletti
Olten/Svizzera 1962
Nasce in Svizzera da genitori di origine bergamasca. Nel 1976 si avvicina all'arte con la sorella frequentando un corso serale di disegno e di formazione generale (freies Gestalten). Dopo la scuola d'Arte e Mestieri di Zurigo nel 1980 è allievo praticante presso lo scultore romano Alessandro Righetti dove affina la tecnica scultorea con il marmo, viaggia e fa esperienza nelle cave della Maremma Toscana. Nel1982 apre il suo primo Atelier a Dulliken (Svizzera) dove nascono le prime sculture da lui stesso definite "organiche" , contemporaneamente studia nudo alla Scuola d'Arte di Berna. Nel 1994 si trasferisce in Italia dove tutt' ora vive e lavora.
Daniela Madeleine Guggisberg
La vita di Daniela è trascorsa prima in Svizzera e più recentemente nelle terre di Langa che le permettono di meglio cogliere la vastità della percezione. Nella Langa c’è una creatività diversa, più libera, più ampia, meno razionale, più istintiva. E’ come se i due aspetti di questi luoghi si scontrassero e si armonizzassero nelle sue sculture. Da un lato la luce più severa e i profili maestosi delle montagne, che inducono a forme più dure e angolose, dall'altro lato i contorni ondulati delle colline, la luce dorata e pacifica delle vigne che suggeriscono forme più piene e plastiche, maggiore morbidezza. Da un lato la sua scultura comunica al tempo stesso una sensazione di forza, di solidità, dall’altra una infinita leggerezza. Il tutto in un perfetto dinamico equilibrio. Le due tesi si fronteggiano con espressioni differenti eppure complementari tra loro. Le modalità vivono in una situazione compenetrante per cui nessuna delle due preesiste all’altra. Le connessioni, le relazioni sono molteplici e immediate, tuttavia la presentazione non propone la comparazione tra diversi punti di vista, ne, tanto meno, la loro differenziazione, ma si propone di trasmettere la sensazione, la coscienza della complessità, non la sua conoscenza. Tra questi opposti l’opera di Daniela appare in un concretarsi plastico, immersa in una atmosfera magica, misteriosa, avvolta dal silenzio.
Da una parte le opere che affrontano per intero la tradizione della scultura, all’interno della cultura di forme e materiali, dall’altra opere che si misurano con l’esterno attraverso una relazione di forma e di volumi che scandiscono lo spazio. In entrambi la scultura si muove con sottili oscillazioni, con una costante capacità di compenetrarsi con l’esterno senza falsi mimetismi. Prevale in assoluto l’idea della costruzione e del sistema di relazioni tra gli elementi, nel tentativo di superare lo stallo di un’opera retoricamente frammentaria. Sfumando le forme, Daniela non ottiene, come ci si potrebbe attendere, di accentuare il carattere di blocco pesante del materiale, ma una generale alleggerimento della pesante fisicità della scultura. Il lento materializzarsi della forma nello spazio, tipica della scultura in marmo, scandisce il senso della ricerca di Daniela Madeleine Guggisberg. Daniela opera all’insegna di una continua, inesausta, coerente pulizia dei volumi in una sorta di indagine intorno alla qualità e all’interiore energia della materia. La sua abilità le consente di scolpire il pensiero nella pietra, di trasformare la materia in linguaggio, di tradurre il sentimento in messaggio tridimensionale. Nella superficie levigata, nella purezza delle forme, nell’irreale tenerezza del materiale, la sua è scultura di idee e meditazione. Nelle sue sculture si ravvisa un clima di sottile spiritualità, un andamento di serena pacatezza. Si può dunque affermare che le opere di Daniela sono figlie della sua anima, sono intimo affresco che esprime sentimento e sensazioni.
Certe forme rimangono lì come puri elementi segnaletici del procedere, o come intense autocitazioni e come tali tessono una rete stimolante di rapporti. In altre forme il suo stile realistico è solo apparenza o gesto. La natura non è riprodotta, ma evocata. Sono grandi razze che odorano di mare, sono grandi ali di guizzi trattenuti. Sono grandi rocce che odorano di salmastro, sono grandi steli che profumano di fiori. Sono steli opachi di fiori inaccessibili. In queste forme, l’atto scultoreo, gestuale, spesso allentato o ampliato per scolpire lo spazio, si concentra di nuovo, si precisa. Quasi minuziosamente. Daniela usa la materia come memoria e come racconto, le razze, le rocce, i fiori diventano carattere di impronta e di traccia fossile, a metà strada tra le tradizione figurale e l’arte astratta, anche per l’asciuttezza della materia.
Daniela Madeleine Guggisberg
Zurigo 1963
Dall' incontro nel 1990 con Daniele Aletti nascono i suoi primi lavori in marmo.
Nel 1994 si trasferisce in Italia, a Sale S. Giovanni (CN).
Nel 2003 inizia la sua attivita` espositiva. Con la mostra personale del 2006
"Un fiore è un fiore" alla galleria Porta Rose di Garessio da prova di una notevole chiarezza formale.
Inaugurazione sabato 8 novembre 2008, ore 18
Villa Casalegno
Via al Borgo, 2 Pianezza (TO)
Apertura mostra: sabato dalle ore 16 alle 19,30
domenica dalle ore 10,00 alle 12,30 e dalle 16 alle 19,30