Galleria Alessandro De March (vecchia sede)
Milano
via R. Rigola 1
02 6685580
WEB
Michael Dean
dal 11/11/2008 al 29/1/2009
mart-sab 15-19

Segnalato da

Galleria Alessandro De March




 
calendario eventi  :: 




11/11/2008

Michael Dean

Galleria Alessandro De March (vecchia sede), Milano

Her body in the same place as my body. L'opera dell'artista utilizza i significati tipografici del linguaggio per veicolare testi che si trasformano poi in oggetti e figure. Il risultato visibile e' fatto di fotografie, sculture, tele e video la cui caratteristica principale e' un uso puramente calligrafico di forme e materiali.


comunicato stampa

Questo testo è la mia personale interpretazione di come sarebbe stata – se avesse mai avuto luogo – un’intervista con Michael Dean a pochi giorni dall’inaugurazione della sua prima mostra personale alla galleria Alessandro De March a Milano.Le parti tra parentesi sono accenni e ispirazioni che Michael mi ha regalato inconsapevolmente l’ultima volta che sono andato nel suo studio.

L’opera di Michael Dean utilizza i significati tipografici del linguaggio per veicolare testi, che si trasformano poi in oggetti e figure. Il risultato visibile è fatto di fotografie, sculture, tele e video la cui caratteristica principale è un uso puramente calligrafico di forme e materiali. L’assoluta fisicità del suo lavoro – la struttura mutevole e i vari strumenti usati – rimarca ulteriormente la necessità del testo, e diventa uno specchio con cui riposizionare il linguaggio nel mondo.

Mentre ti scrivo sono consapevole del fatto che, se tocco il corpo del testo con le mani fredde, si ritrarrà da me. Questo perché, quando si parla della tua opera, ogni singola parola ha la sua coerenza e necessità di essere, forse si può persino parlare di inevitabilità. Il tuo lavoro è una limpida registrazione della rete tipografica che il linguaggio condivide con il mondo. L’incarnazione visibile di tale correlazione sono gli oggetti che, in quanto segni calligrafici, restituiscono al mondo questa relazione. Quegli stessi oggetti, poi, non essendo che le conseguenze di un flusso che scorre da te ai testi scritti, incarnano nel loro aspetto una totale corrispondenza fra le tre parti costituenti: il mondo, il linguaggio e l’oggetto, che è sempre mondo. La tua poesia si basa su osservazioni e movimenti racchiusi in testi rarefatti e poi trasferiti in opere delicate e restituiti al mondo attraverso le mie – in quanto spettatore – letture ed esperienze. Le corrispondenze tra tutte queste parti sono sempre presenti e devono sempre essere ricercate.

[Si può leggere il testo come si cammina in una foresta. Questo movimento è il motivo per cui scrivo].
Ricordo di aver letto un giorno la storia incredibile di un film di Woody Allen doppiato. Adesso la mia passione per i suoi film è sulla strada di un lento ma inesorabile declino, ma all’epoca collezionavo e guardavo tutti i film con il suo nome nei titoli, a prescindere dal contenuto. Ecco, quell’articolo mostrava la non corrispondenza tra la versione inglese e la traduzione in italiano piuttosto libera di alcuni dialoghi. In sostanza scoprii che la battuta che più amavo in realtà non era altro che un’invenzione del traduttore e non di Woody Allen. Questo conferì al film, ai miei occhi, un’aura unica: non si trattava della battuta in sé, ma dei diversi contesti e della loro poetica. Tutto questo per dire che, quando guardo la tua opera, devo ricordare a me stesso di concentrare l’attenzione sul punto di fuga, e non sul dito che indica l’oggetto in quanto tale.

[L’opera è assemblata come qualcos’altro, e questo qualcos’altro è il mondo].
Il tuo lavoro è un universo di costellazioni insolute. Ciò che ci mostri è una percezione cristallizzata del mondo stesso così come ti è apparso per una frazione di secondo nel suo infinito annunciarsi. Il tempo si ferma: lo stesso istante viene ripetuto e riscritto, strato su strato, fino a che la sua forma finale è in grado, pur nella sua instabilità, di comunicare.
La difficoltà sta nell’accettare il fatto che l’aspetto di questi oggetti/costellazioni – ciò che vedrai nello spazio – sia soltanto uno strumento di consegna, un organo sostituibile che, in quel preciso istante, svolge al meglio la sua funzione.
[Ri-rappresentare il mondo attraverso l’opera; l’oggetto evoca un incontro].
Adesso sto entrando nello spazio della galleria.
[Le opere non hanno titolo].

È un’unica stanza con un percorso ricalcabile. Ci sono tanti percorsi da seguire quanti sono gli occupanti della stanza. Adesso sono di fronte all’opera: vedo due montagne, identiche l’una all’altra. Due montagne identiche, ma avrebbero potuto essere tre, quattro, cinque e così via. L’unica differenza percepibile consiste nel modo in cui la luce brilla attraverso le vallate che danno forma ai vari lati delle due pendenze. Il lato nord, il lato sud, il lato est e il lato ovest con tutte le loro combinazioni possibili.
[Salme diverse, un’unica salma].

Da dove provengono queste due montagne? Non sarebbe forse più facile concentrare la mia attenzione su una parte dell’opera ed analizzarla in base ai suoi richiami concettuali e al suo valore estetico? La mia reazione nasce dalla continua decentralizzazione dell’attenzione che l’opera stessa esprime: ciò che vedo – l’oggetto che ho di fronte – non è altro che il momentaneo incontro con un’idea, il frammento di un testo più vasto che si potrebbe ripetere all’infinito – tutte quelle montagne identiche – ma che esprimerebbe sempre la sua necessaria fisicità attraverso un oggetto specifico. L’opera è un modo possibile di parlare del mondo; quello che vedo, nella sua bella oggettività, è il mezzo per arrivare al mondo stesso attraverso qualcos’altro, attraverso il tuo testo incarnato nella sua forma necessaria. Stai lavorando ad una sorta di archeologia al contrario, in cui il risultato di continue addizioni – strati, forme, significati, processi – fa rinascere la poesia che ti ha ispirato: il corpo, la sua gestualità e la sua relazione con l’altro.
[L’opera funziona come un omologo di qualcos’altro che è il mondo].

In ogni caso le opere sono tutte lì, l’una accanto all’altra sul muro e sul pavimento. Non hai mai ricercato la smaterializzazione o la trasparenza. Al contrario, ogni oggetto è tanto necessario nella sua singolarità quanto è identico a tutti gli altri nella funzione. Le opere non sono che un’opera. Multiple come le nostre due montagne (o tre o quattro…) e tautologiche come il loro essere un’unica opera. La vera differenza sta nelle diverse forme che questa “una e millesima” montagna può incarnare in un istante specifico.

[Tutta l’opera è uguale, qualsiasi differenza è accidentale. Sto ripetendo la stessa cosa in molti modi diversi].
Questo non significa che ogni elemento sia meno importante in se stesso. Se è un tutt’uno, se fisso le due montagne identiche che ho di fronte, come potrei concentrarmi su una singola opera? Si tratta piuttosto di comprendere l’importanza delle forme sempre diverse che la luce crea brillando in innumerevoli modi tra i picchi e le valli delle montagne ad orari diversi. Queste forme sono mezzi di comunicazione che tramandano un momento, e seppure fragili sono un’istantanea della realtà, un flusso di sentimento, dal mondo passano attraverso un testo, si trasformano in un oggetto e ritornano al mondo attraverso i miei occhi.

[Dal mondo a me al testo all’oggetto a te e di nuovo al mondo].
La tua opera è sempre un omologo: il mondo come serie calligrafica di testi, e quei testi come serie fisiche di oggetti – che sono sempre il mondo. Ma c’è sempre anche un senso di inevitabilità degli oggetti e della loro materialità. Se qualcosa accade, deve accadere in una certa forma e con una determinata materia perché possa trasmettere il testo. Se utilizzi uno strumento è perché quello strumento è il testo stesso, è il suo aspetto tipografico.
[Il mezzo di trasmissione è presente nell’oggetto, in superficie, dunque sai come è accaduto].
Le due, tre, quatto montagne identiche sono ancora là, in mezzo alla stanza, ad incarnare la molteplicità fisica di un messaggio unico pronunciato con accenti diversi. Questo mi consente di vedere quelle montagne come un solo e unico processo fatto di forme infinite che, come la luce tra i picchi, riflettono il testo nel mondo.

Francesco Pedraglio, Londra, novembre 2008

Galleria Alessandro De March
via R. Rigola 1 - Milano
Mart-sab 15-19
Ingresso libero

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