Galleria Fiaf
Valverde (CT)
corso Vittorio Emanuele, 214
095 524187 FAX 095 7210294
WEB
Donna in...Fotografia
dal 20/11/2008 al 4/12/2008
dal 24 al 27 nov 18-20 e tutti i venerdi fino al 5 Dicembre 2008 19,30-21,30

Segnalato da

Pippo Fichera




 
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20/11/2008

Donna in...Fotografia

Galleria Fiaf, Valverde (CT)

Otto artiste italiane invitate a partecipare alla 5' edizione della mostra biennale. 0tto letture della realta' racchiuse in piccoli lavori: dal reportage salgadiano di Stefania Adami a quello realizzato in Romania da Franca Schinina' fino ad arrivare ai volti dei bimbi del sud-est asiatico di Cristina Garzone, e molto altro ancora.


comunicato stampa

E’ lecito chiedersi perché in fotografia, in meno di duecento anni di storia, si ricordino tante artiste di valore, più di quante ce ne siano state in millenni di storia artistica[1]. Le risposte potrebbero essere molteplici e a volte contraddittorie. Quella più plausibile è legata al ruolo sociale della donna stessa, che per secoli, salvo rari casi di emancipazione, è stata relegata sullo sfondo delle attività, comprese quelle artistiche, condotte dagli uomini. In campo artistico il maggior limite era posto dal lungo apprendistato in bottega che tale pratica richiedeva; botteghe pullulanti di uomini e quindi luoghi non adatti a donne perbene. Rara eccezione a questa regola è rappresentata dal caso emblematico di Artemisia Gentileschi, che, tra XVI e XVII secolo, poté lavorare a bottega, perché questa era di proprietà del padre, il noto pittore Orazio. E’ inutile ricordare le difficoltà che la giovane pittrice dovette superare per affermarsi come artista, non ultima la violenza subita, proprio in bottega, da un collega che evidentemente ne apprezzava più le “grazie” personali che la grazia nel dipingere. Ma l’artista romana, a lungo simbolo della forza delle donne nel ribellarsi al potere dell’uomo, rimase un caso pressoché isolato per secoli. Gli orizzonti dell’arte per le donne si spalancarono invece con l’inizio della loro emancipazione sociale. Proprio in quegli anni nasceva e si diffondeva la fotografia.

La nuova arte, anch’essa a lungo non riconosciuta come tale, oltre a rappresentare una novità dal grande appeal, non richiedeva un lungo apprendistato, ma poteva essere appresa in maniera relativamente semplice consultando i tanti manuali pratici che cominciarono a diffondersi all’indomani della presentazione dell’invezione di Daguerre. Non è un caso quindi che, soprattutto negli ambienti dell’aristocrazia inglese, alcune gentildonne cominciarono a interessarsi di fotografia. Impossibile non ricordare i tenui ritratti di Julia Margaret Cameron o le fotografie ambientate di Lady Clementina Hawarden, il cui “lavoro fotografico [era] espletato quasi con le stesse modalità dell’attività di una casalinga”[2]. Da queste due antesignane si è generata una moltitudine di fotografe che, ognuna con il proprio gusto e con il proprio stile, hanno esplorato ogni possibile campo fotografico, spaziando dai reportage di Margareth Bourke-White, alle fotografie di moda di Louise Dahl-Wolfe, dai ritratti destabilizzanti di Diane Arbus all’impegno politico di Tina Modotti, fino alle ricerche estetizzanti di Wanda Wultz. Quest’elenco potrebbe essere tendenzialmente infinito fino a chiudersi con artiste come Bettina Rheims e Vanessa Beecroft, che ai giorni nostri dominano la scena mondiale. Ma nonostante le tante dolorose omissioni, non possiamo non notare che tutte queste artiste sono riuscite, ognuna per la sua epoca e per il suo genere, a salire la scala del successo, molto spesso superando in originalità e capacità di osare i loro colleghi.

Tale varietà di punti di vista e di approccio alla materia ce la mostrano pure le otto artiste italiane invitate a partecipare a questa quinta edizione della mostra biennale “Donna in … fotografia”. Le stesse ci offrono otto letture della realtà racchiuse in altrettanti piccoli lavori che riescono però, nonostante il numero esiguo di immagini, a mettere in evidenza la loro capacità di essere “dentro” la fotografia. Tanti sono i generi proposti: dal reportage salgadiano di Stefania Adami sulla raccolta del sale in Africa a quello realizzato in Romania da Franca Schininà con i ragazzi assistiti dall’Associazione Parada, su cui è stato realizzato anche un film di Marco Pontecorvo, fino ad arrivare ai dolcissimi volti dei bimbi del sud-est asiatico di Cristina Garzone, che ci mostra in pochi scatti la sofferenza, la speranza e la voglia di riscatto di un’intera generazione. Apparentemente più leggere, ma non per questo meno profonde, sono le immagini di Angela Maria Antuono, che ci presentano le tre età della donna, non lette in maniera retorica ma analizzate con delicatezza e grazia, in cui il ricordo si mescola anche in questo caso alla memoria di un passato forse ormai troppo lontano e alla speranza di un futuro forse ancora non troppo vicino; il tutto riletto attraverso l’attivazione del meccanismo metafotografico.

Tanta memoria troviamo anche negli orizzonti lontani delle “marine” percorse da Cristina Bartolozzi che ci mostra, con una visione onirica, un paesaggio vissuto da una presenza umana che si fa ombra, perché non più identificabile con il singolo uomo, ma divenuta simbolo dell’umanità stessa. Tante ombre ma anche tanta luce caratterizzano le foto di Cristina Paglionico che si fa rapire dal gioco visivo della sospensione tra mondo reale e mondo parallelo delle ombre, due facce della stessa medaglia, in cui ambiguità e limpidezza si mescolano inestricabilmente. Le immagini di Cinzia Busi Thompson esprimono invece la voglia di andare oltre il limite imposto. Sono lo “specchio” in cui un novello Icaro tenta di costruire la sua nuova identità di essere alato attraverso la giustapposizione di fragili supporti di cera, ma tale identità è negata dall’impossibilità della sua prova, impedita anche da una finestra chiusa. Lo specchio rimane quindi solo quello fotografico, che per di più, paradossalmente, ci nega il volto del nostro temerario amico. Il richiamo mitologico è presente anche nelle “perturbanti” immagini di Lorella Coloni, che apre il suo vaso di Pandora mostrandoci, attraverso l’uso del dittico un ambiente domestico claustrofobico, in cui i simboli del “nido” diventano strumenti di tortura e di oppressione. Del resto da quando il vaso è stato aperto tutto il male possibile si è diffuso permeando di se ogni cosa, ma non scoraggiamoci, perché in fondo il vaso non è vuoto, contiene ancora qualcosa: la speranza; per noi la speranza di nuove foto, di nuove autrici, di nuove mostre, del resto si sa … la speranza è sempre l’ultima a morire.

Venerdì 21 Novembre 2008 alle ore 20

Galleria FIAF - Le Gru
Corso Vitt. Emanuele,214 di Valverde (CT).
dal 24 al 27 novembre dalle ore 18,00 alle ore 20
e tutti i venerdì fino al 5 Dicembre 2008 dalle ore 19,30 alle ore 21,30
ingresso libero

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