Chiesa Madonna di Loreto
Longiano (FC)
piazza Malatestiana, 1 (Castello Malatestiano)

Giacinto Cerone
dal 9/12/2008 al 14/1/2009
mart-dom 10-12 / 15-19
0547 665850

Segnalato da

Fondazione Tito Balestra




 
calendario eventi  :: 




9/12/2008

Giacinto Cerone

Chiesa Madonna di Loreto, Longiano (FC)

L'esposizione accoglie il Presepe drammatico costituito da 25 personaggi in legno e gesso creati nel 1996, una serie di sculture e disegni datati 1985-2004 e una selezione di immagini e documenti utili per mettere in luce il talento dell'artista lucano. Mostra curata da Giuseppe Appella.


comunicato stampa

a cura di Giuseppe Appella

Ultimo appuntamento per il 2008 alla Fondazione Balestra di Longiano. Mercoledì 10 dicembre inaugura nella ex chiesa Madonna di Loreto la mostra dedicata a Giacinto Cerone, lo scultore, già allievo di Fazzini nell’Accademia di Belle Arti di Roma, scomparso nel 2004. L'iniziativa si avvale del contributo dei soci onorari sostenitori della fondazione (Ceisa Costruzioni, Gruppo IVAS, La Gommaria, Isoltema, Ren,Technogym).

Curata da Giuseppe Appella, l'esposizione accoglie il Presepe drammatico costituito da 25 personaggi in legno e gesso creati nel 1996, una serie di sculture e disegni datati 1985-2004 e una selezione di immagini e documenti utili per mettere in luce il talento dell’artista lucano. Accompagnano la mostra due volumi di Giuseppe Appella, uno pubblicato dall’Editore De Luca nella collana “Documenti” e l’altro dedicato al Presepe drammatico e pubblicato dalle Edizioni della Cometa.

Negli ultimi anni della sua vita, Giacinto Cerone, coltivava con maggiore frequenza il metodo dell’interiorità, del ripiegamento intimo. Aveva fissato un rapporto intenso e fecondo con la poesia nel momento preciso in cui considerava raggiunta quell’unità di libertà e di necessità indispensabile al nucleo fondante dell’esperienza artistica e alla capacità di averla sottratta al guscio accademico, a una sorta di sotterranea religiosità del fare che da una parte traeva vitalità dall’idea della “statua” e dall’altra si perdeva nel furore di riconoscersi nel suo destino di scultore quotidianamente assiso sulla propria voragine. L’opera radicata nella vita, dunque, che non diventa mai passato, che si evolve, accompagna e prolunga la quotidianità, ristabilisce i collegamenti dopo le inevitabili cadute, assicura fluidità e segno di appartenenza alle più piccole norme di esistenza chiarendo quanto lo spirito dello scultore contemporaneo confermi e non neghi il principio d’identità.

Cerone, nonostante abbia cercato nei residui esterni al proprio agire le conferme a quanto andava facendo, ha vissuto questa esperienza come procedimento per accettare l’essenziale persistenza della forma nell’ardore espressivo che lo consumava. Una straordinaria attitudine a cogliere le occasioni lo metteva in rapporto diretto con i legni di Pericle Fazzini e di Arturo Martini prima, con le terrecotte, i cementi e le ceramiche policrome di Lucio Fontana poi, per farne i propulsori, se non i suscitatori, del culto per l’antica Ellade e di un interesse per i ritmi dialettici del barocco da cui far scaturire un messaggio nuovo che fosse, al tempo stesso, una diretta manifestazione del suo essere artista. In questo senso, la scultura diventa la coscienza della sua ricerca di poesia, di voler rimanere integro e totale nelle folgorazioni ricevute maneggiando terra e legno, gesso e plastica, vetroresina, alluminio e ghisa, ceramica e marmo, bende e stracci, i materiali in cui, nei due decenni di lavoro, convergevano, di volta in volta, tutte le sue energie, l’abilità di assorbire e superare quanto intorno a lui si muoveva e andava sistemandosi nella sostanza di emblemi araldici, di miti documentabili e flagranti.

Alcuni disegni dei primi anni, evidenziano le caratteristiche dei suoi interessi e del modo di guardare Fazzini degli studi per la Danza, La Tempesta e il Ritratto del poeta Ungaretti (1933-1936) per arrivare a capire Brancusi o a leggere Boccioni in cui scova l’esigenza, nello stesso tempo meditata e come nata all’istante, di realizzare forme nello spazio mediante la compenetrazione dei piani, in modo che esse assumano la libertà di oggetti in movimento, senza rimanenti sensibilità di superfici impressioniste. Subito dopo, la natura di mediazione presente nei problemi espressivi di quegli anni, tesi a sciogliere nodi e articolazioni al limite del puntiglio, sposta considerevolmente la soglia di proposizione per una tendenza ad arricchirsi non con la ragione (La ragione non crea, diceva Fontana) ma con la totalità delle sue facoltà sviluppate attraverso la somma di conoscenze acquisiste. Ecco, allora, l’impetuosità di Fazzini, l’analisi di Boccioni e la sintesi di Fontana, la meditazione di Licini e la spontaneità di Leoncillo, la costruzione di Melotti e la sensazione di Novelli assunti come valori che debbono concorrere all’articolazione logica di quell’unità funzionale che è la scultura.

Il presupposto, se torniamo a ripensare le tappe più evidenti del suo percorso, negli anni in cui isola la sua fantasia in modi autonomi e anche indipendenti da puntelli internazionali di linguaggio quali Kounellis e Penone, Marisa Merz e Pistoletto che, tra il 1980 e il 1984, ripercorrendo le scoperte dell’uomo, progettano il ritrovamento dell’integrità di una immagine della nostra cultura, il presupposto è la definizione di un canone di purezza che nello stesso uso del gesso, quasi sempre bianco, nutre e prepara l’elemento metafisico, di magia, senza rifiutarsi allo schema neoclassico, alla trascrizione del frammento, al calco, all’archetipo, al dio di legno caro a Pascali, che vince la paura con l’opposto della logica e della coscienza.

L’albero di sette metri o il grande gesto vegetale di Penone, la natività di Pistoletto, diventano in Cerone un piccolo bastone che segna un muro diroccato o un presepe drammatico che cancella gli schemi logici e gli appigli scenici, un paesaggio sott’acqua o una scala santa, il grande carciofo di Tor Bella Monaca o un gruppo di calici piangenti, Ortensia solenne e solitaria, senza dimenticare la Maàra che nel dialetto del suo paese lucano, Melfi, indica la parte interna del focolare, non dissimile dalla nicchia delle chiese romaniche, dove la legna si fa cenere, dopo essere stata carbone ardente, e si raccolgono lampi d’occhi, pensieri, i gesti della vita e della morte.

Informazioni per il pubblico
Fondazione Tito Balestra
Tel. 0547 665850 info@fondazionetitobalestra.org

Ufficio stampa
CLARART
Tel. 039 2721502 info@clarart.com

Ex chiesa Madonna di Loreto
Castello Malatestiano di Longiano (FC)
Orari: dal martedì alla domenica 10 - 12 / 15 - 19
ingresso libero

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