Oppy De Bernardo, Aldo Mozzini, Katia Bassanini, Sylvie Baumann. In una sala espositiva e' stata installata una vera e propria giungla composta di piante neofite e di alcuni oggetti prelevati da soffitte e marciapiedi - cimeli di un passato rurale - trasformati in originali vasi da fiori.
A colazione, quando mescolo nella tazza e seguo la rotazione degli addensamenti, mi balza agli occhi la legge secondo cui si muove l'universo - nel gorgo delle nebulose, nel vortice delle galassie. Dal che possono trarsi conseguenze intellettuali e anche pratiche. Lo spettacolo mi ricorda la mela di Newton, o il vapore che Watt fanciullo vide scaturire dalla teiera ben prima di inventare la sua macchina. ''Questo da da pensare'' diciamo. A quanto sembra l'atto di pensare è preceduto dalla sintonia con la materia, a cui segue quello stato di fantasticheria che genera il pensiero e lo suscita.
Ma a che serve? Che l'universo ruoti o si disgreghi - sotto rimane il problema.
Ernst Junger, Il problema di Aladino
Dando continuità al desiderio di mettere in luce la produzione artistica locale e di creare nuovi network capaci di mettere in relazione gli artisti ticinesi con la scena d’oltralpe, la rada ha elaborato, assieme agli artisti Oppy De Bernardo (Ti) e Aldo Mozzini (Zh/Ti), un progetto di studio sul problema dell’invasione delle piante neofite sul territorio ticinese. Questo studio sfocia, in un secondo tempo, nel concepimento di un originale modulo installativo capace di fondere in se propositi didattici e un irriverente analisi della società odierna, o delle sue istituzioni.
Il progetto “Le invasioni barbariche”nasce dall'idea di capovolgere i canoni dell'allestimento museale. Portando infatti l'elemento naturale (le piante neofite) a far parte di una configurazione del tutto innaturale o fintamente naturalistica come quella di un dispositivo da museo di storia naturale, Mozzini e De Bernardo sovvertono i rigidi parametri dell’archivio convertendoli a una situazione di entropia. In una sala espositiva è stata quindi installata una vera e propria giungla composta di piante neofite e di alcuni oggetti prelevati da soffitte e marciapiedi – cimeli di un passato rurale – trasformati in originali vasi da fiori, come quelli che si trovano generalmente ai bordi delle strade cantonali che attraversano in nostri villaggi di campagna. Gli stessi oggetti sono poi riprodotti simmetricamente in un secondo ambiente, nettamente più spoglio, che richiama una funzione didattica. Nello stesso locale sarà dunque disposta un’area informativa dove il visitatore può sostare e consultare i materiali cartacei raccolti nell’arco degli ultimi mesi dai due artisti. L’idea di questo piccolo centro di documentazione segue la logica del work in progress: chiunque volesse contribuire portando documenti interessanti sul tema delle neofite è invitato a farlo. Magari qualcuno ha uno zio che ha portato la prima pianta da cocco in Ticino, o sa per certo che la tal pianta è giunta sul nostro territorio per determinate cause e in un determinato momento storico. Ogni storia originale può entrare a far parte di questo archivio, basta inviare un’e-mail a la rada (info@larada.ch).
Il dispositivo museale è oggetto di una debacle storica che ha inizio con la costituzione del primo museo istituzionale (il Louvre) e che è destinata a rimanere irrisolta anche nell’era contemporanea. La rigida struttura del dispositivo museale si presenta infatti come una forma chiusa e gerarchica, il suo scopo non può fare a meno di affrancarsi a criteri di ordine scientifico che a loro volta sono dettati dalla necessità di rappresentare la cultura ufficiale e istituzionale. Il nucleo profondamente radicato di questa problematica riguarda quindi l’applicazione di questi criteri scientifici ad una realtà culturale diversificata e in continua evoluzione. Il museo nasce come strumento di studio e di approfondimento scientifico e, in quanto tale, nell’era globale è destinato a vivere la sua crisi più profonda dall’epoca della sua comparsa. Il “white cube”, che è probabilmente l’ultima e la più “democratica” tra le evoluzioni subite da questa istituzione non risolve affatto il problema.
La natura di questa installazione nasce quindi proprio da questo assunto; prendendo in prestito la sua struttura organizzativa da modelli istituzionali esistenti (musei delle tradizioni popolari, musei di storia naturale, ecc.) i due artisti intendono insinuarvi il germe dell’entropia per aprire il dibattito sull’istituzione la dove era stato interrotto.
Le piante neofite diventano così il simbolo di un fenomeno di metissage culturale incontrollato e al quale nemmeno la natura si può sottrarre. Nel nostro cantone come in altre regioni della Svizzera e d’Europa le neofite sono state inserite in una “lista nera”, poiché causano gravi danni all’ambiente rischiando a volte di prendere il sopravvento su altre piante originarie, se non addirittura causare reazioni allergiche pericolose per gli individui. Questa situazione, sta divenendo un problema pubblico importante e difficilmente risolvibile, che a ben pensarci può ricordare altre problematiche sociali di grande attualità – per esempio il problema del crescente esodo di extracomunitari e le relative reazioni delle varie comunità dell’occidente.
Fino ad ora le piante neofite rispondevano a ben altri appellativi dei quali il più usato e generico era certamente quello di pianta esotica. Ricostruendo la storia di questa migrazione silenziosa si scopre che queste piante sono giunte, a volte da molto lontano, seguendo l’onda lunga di un ideale diffuso della modernità, o per meglio dire del colonialismo culturale. Dietro alla presunta innocuità del termine “esotico”, si sono quindi sviluppati i germi di una problematica complessa e, spesso senza sbocchi risolutivi, quella della progressiva perdita dell’identità. Questo fenomeno si traduce oggi in uno scenario di “paura” che se osservato dalla giusta angolazione non può che farci riflettere sulla natura delle nostre convinzioni, delle nostre certezze e sulla capacità di adattamento di ogni sorta di convenzione che ordina e struttura la nostra vita sociale. I fattori che più determinano la mutazione di queste convenzioni, sono oggi riconosciuti nel cambiamento climatico, nell’incremento esponenziale della mobilità delle merci e degli individui e così via, ma… Sotto rimane il poblema!
La talpa (Katia Bassanini e Sylvie Baumann)
“…non succede nulla, non arriva nessuno, non parte nessuno, è orribile.”
Samuel Beckett, Aspettando Godot.
In concomitanza con “Le invasioni barbariche”, la rada presenta inoltre una webcam performance dell’artista ticinese Katia Bassanini e del suo avatar Sylvie Baumann. In diretta da New York la Bassanini ci propone l’allestimento di un tableau vivant in continua mutazione. Alcuni improbabili personaggi porteranno il visitatore a scoprire luoghi insoliti, scenografie volutamente artificiali e ambienti che ammiccano alle stilizzazioni della pittura e del teatro espressionista.
Questi personaggi presenteranno delle caratteristiche di segno opposto. Un po’ come succede ai supereroi essi saranno in grado di trasformarsi, saranno capaci di compiere azioni straordinarie e così via. Allo stesso tempo i loro comportamenti tradiscono una leggera tendenza all’autismo; abitudinari, eseguiranno attività quotidiane minimali in spazi chiusi, paesaggi limitati e possibilmente angusti. Accumuleranno contraddizioni deformando la percezione che abbiamo della realtà.
Lo spettatore sarà incoscientemente responsabile delle mutazioni degli stati d’animo e delle attività della comparsa, che in situazioni alquanto grottesche, con espressioni ambigue e distorte, lascerà il pubblico nell’incertezza dell’esistenza o meno di una effettiva possibilità di comunicare. Si tratta dunque di una forma grottesca di tamagochi, che sfugge però perfidamente al controllo e alla rassicurante quanto illusoria possibilità di interazione con l’oggetto rappresentato.
La Rada
P.zza Remo Rossi (Ex scuole comunali) - Locarno