Anonymous Art
Silvia Argiolas
Blue&Joy
Mirko Canesi
Silvia Idili
Valentina Morandi
Michela Muserra
Nais
Elena Rapa
Riot Queer
Giuliano Sale
Shanti
Signora K
Ivan Quaroni
La mostra esplora una serie di modalita' pittoriche borderline, in bilico con altri ambiti creativi, come l'illustrazione, il fumetto tradizionale e underground, la grafica, i murales, oppure ricerche pittoriche fortemente influenzate dall'immaginario fantastico. A cura di Ivan Quaroni.
a cura di Ivan Quaroni
Artisti: Anonymous Art, Silvia Argiolas, Blue&Joy, Mirko Canesi, Silvia Idili, Valentina Morandi, Michela Muserra, Nais, Elena Rapa, Riot Queer, Giuliano Sale, Shanti, Signora K.
Chi fa pittura oggi non può isolarsi in un mondo di pura soggettività, non può ignorare il rigoglioso insorgere d'immagini provenienti da ogni parte, dalla pubblicità alla computer grafica, dal design al fumetto, dalla cronaca al cinema realistico e d'animazione. Nel mondo globale e connesso del Ventunesimo secolo è impossibile rimanere indifferenti alla grande massa di stimoli visivi che giungono da ogni parte. Ogni artista, che se ne lasci influenzare oppure no, deve oggi fare i conti con la cultura di massa, che attraverso il web è divenuta cultura globale, cultura pop. In questa società ipervisiva, le immagini assumono un'importanza fondamentale. Ovunque andiamo, esse ci inseguono con tenace persistenza, per strada, in ufficio, a casa.
Dopo l'ondata neofigurativa che ha caratterizzato la scena pittorica degli ultimi anni in Italia, è affiorata una nuova generazione di artisti che sembra avere capito e metabolizzato lo spirito dei tempi, prendendo le distanze dalla figurazione realistica, e bassamente mimetica dello scorso decennio. Alcuni hanno tratto palesemente ispirazione da linguaggi extra-pittorici, altri hanno preferito utilizzare la pittura in un'accezione più tradizionale, concentrandosi sulla definizione di uno stile riconoscibile. In tutti i casi, queste nuove generazioni di artisti hanno sviluppato un rapporto obliquo, anomalo appunto, rispetto la realtà. L'approccio mimetico e documentaristico ha, infatti, ceduto il passo ad un'attitudine spiccatamente metaforica e fantastica. La visione del mondo passa ora attraverso il filtro dell'affabulazione, dell'illusione, della traslitterazione. La bugia, la menzogna diventano strumenti necessari a reggere l'impatto con un mondo, segnato, ora come non mai, da crisi, guerre e altre forme d'instabilità. In tali circostanze, la favola assume un ruolo importante, poiché diventa una sorta di argine contro il dilagante riflusso di realtà.
L'anomalia a cui si riferisce il titolo di questa mostra è innanzitutto un'anomalia dello spirito contemporaneo, una bizzarria del carattere del nuovo millennio, per così dire, che porta gli artisti - e per estensione gli uomini in genere - a sublimare l'evidenza del quotidiano in una dimensione di confortevole irrealtà. Come ha scritto Oscar Wilde nel celebre saggio La decadenza della menzogna, "L'arte trova la propria perfezione all'interno, e non all'esterno di se stessa". "Essa non va giudicata", continua lo scrittore irlandese, "secondo alcun criterio esterno di somiglianza. È un velo, piuttosto che uno specchio. Ha fiori sconosciuti a qualsiasi foresta, uccelli che nessun bosco possiede.
Fa e disfa molti mondi, e può tirar via la luna dal cielo con un filo scarlatto…" .
Anomala, rispetto alla tradizione dell'arte concettuale, è anche la disaffezione politica e sociale di questi artisti, che esorcizzano il disagio attraverso l'ironia e il sarcasmo oppure attraverso la condizione allucinatoria del sogno e dell'incubo. Ciò che davvero è venuto meno è l'interesse verso un certo tipo di umanitarismo e progressismo ideologico. Insomma, è la crisi della cultura engagé, ormai divenuta una struttura astratta, distante dalla sostanza vitale dell'esistenza. Anche se, come dice Franco Bolelli, "qui da noi si continua a sguazzare nello stagno dei più desolanti luoghi comuni cosiddetti progressisti: la lezione morale di Pasolini, i cantautori impegnati, il calcio brasiliano, la letteratura beat, il pensiero psicanalitico, Imagine (minimo storico di John Lennon), l'utopia terzomondista, lo slow food, il cinema-che-fa-pensare e in generale tutto ciò che rattrista e depotenzia" .
Invece, anche quando fabbrica immagini di eccezionale violenza, anche quando allestisce rappresentazioni disturbanti, l'arte anomala di questi giovani non è, né "triste" né "depotenziante", ma al contrario energetica e corroborante. In tutte le sue varianti, dalla favolistica alla gotica, questa onda anomala dimostra di essere più vicina alla natura di qualsiasi iperrealismo. Essa eredita dal Romanticismo lo spirito vitale e gioioso, traducendolo nell'estensivo codice del linguaggio pop, e, parallelamente coltiva gli stati d'animo morbosi, alimentando la curiosità verso tutto ciò che è misterioso e mostruoso. Si tratta, tuttavia, di un dualismo solo formale, poiché entrambe le "fazioni" rappresentano una reazione tanto verso il realismo accademico quanto verso le più astruse espressioni concettuali.
Una pittura ibridata con il linguaggio della grafica e dell'illustrazione è quella di Blue & Joy, duo formato da Daniele Sigalot e Fabio La Fauci, i quali mettono a frutto la lezione dell'advertising, trasportando nell'arte la logica della riconoscibilità del brand. Nel loro caso, però, il brand è rappresentato da due personaggi, due maschere, in verità, una triste e l'altra gioiosa, ognuna delle quali nasconde una personalità di segno opposto. Così, il lamentoso Blue è in realtà un eterno ottimista, mentre il ridanciano Joy è un incorreggibile pessimista. L'anomalia, ma anche l'originalità, dell'arte di Blue & Joy consiste nell'aver compiuto l'imperdonabile peccato di portare nella pittura, per definizione unica, la serialità delle serie a fumetti.
Estremamente grafico è anche lo stile di Nais, che nasce dalla pratica urbana del murale e del graffito e poi trova una sua collocazione anche su tela, dove assume toni più elegiaci. L'artista usa un linguaggio sintetico e lineare, mutuato dalla pratica del disegno, ma impreziosito da una vivace gamma cromatica, che contrasta con l'atmosfera vagamente malinconica dei suoi personaggi. Quelli dipinti da Nais sono, infatti, volti femminili dai lineamenti semplificati, che richiamano tanto le fisionomie ieratiche della tradizione bizantina, quanto quelle delle illustrazioni per bambini. Le donne di Nais sono simili a entità metafisiche, archetipi che simbolizzano emozioni e stati d'animo fondamentali, in dialogo con una natura metamorfica e rigogliosa.
Nata dai comics e dall'illustrazione, la pittura di Valentina Morandi è influenzata dallo stile di Jamie Hewlett, mitico creatore di Tank Girl e co-fondatore con Damon Albarn del progetto visivo e sonoro denominato Gorillaz. Rispetto al disegnatore inglese, però, l'artista ha elaborato una sua personale mitologia iconografica, aggiungendo al suo "modo disegnativo" elementi di matrice tribale ed etnica. I personaggi creati dalla Morandi sono ibridi, esseri in cui l'anatomia antropomorfica incontra quella zoomorfica, generando così nuove entità biologiche, come avviene nella migliore tradizione del cartoon disneyano, ma con un pizzico di malizia underground.
Illustratrice tout court è, invece, Shanti Ranchetti, che con i suoi spaccati di side show, in bilico tra l'eredità di Tod Browning e quella di Tim Burton, indaga il mondo degli emarginati e dei fenomeni da baraccone. L'artista dispone i suoi freaks in una cornice che ricorda i teatri di marionette ed evoca l'atmosfera un po' scalcagnata delle fiere di paese. I suoi sono disegni spesso arricchiti da inserti a collage, dove l'atmosfera di fiabesca e insieme surreale, è percorsa dal palpito di una sottile inquietudine.
Una pittura di pattern, dall'inflessione quasi araldica è quella di Anonymous Art, duo livornese formato da Elena Bertoni e Simone Romano. Per loro la decorazione costituisce l'ossatura dell'immagine, la trama su cui si stagliano, come decalcomanie, enigmatiche apparizioni e bizzarre epifanie. Con le loro immagini criptiche, gli Anonymous Art ci forniscono una rappresentazione astratta, perfino cerebrale, dell'umanità, che affiora attraverso figure traslate e segni emblematici, che ne denunciano la natura fondamentalmente scissa.
Figurine di raggelante, quanto sospetta, felicità, sono quelle disegnate da Michela Muserra, bambole sorridenti, dallo sguardo vagamente allucinato, che incarnano l'ideale anatomico della big eye art, una corrente figurativa americana che predilige la rappresentazione di personaggi dagli occhi spropositatamente grandi e dal corpo piccolo. I giapponesi denominano questa tipologia anatomica con l'aggettivo kawaii, che significa "carino", mentre gli anglofoni utilizzano l'aggettivo corrispondente "cute", divenuta una vera e propria categoria estetica.
Creature di evanescente sostanza digitale sono quelle create da Mirko Canesi, che s'ispira, solo nominalmente, al mondo dei Pokémon e, più segnatamente, all'universo dei manga in genere. Frutto della computer grafica, i Pokemonini di Canesi rappresentano una galleria, potenzialmente infinita, di virtuali tipologie espressive, un campionario di caratteri artificiali, disegnati con delicato puntiglio. Sono esseri metamorfici, dalla natura incerta, che l'artista delinea con straordinaria grazia e originalità, stando attento a guarnire ogni figura con accenni ornamentali che evocano, come una lontana eco, l'antico amore dei decadenti per le japonaiserie.
Si affida a una pluralità di stili e di tecniche Signora K, che spazia dal murale al quadro, dal fumetto all'incisione per indagare la dimensione fantastica del grottesco. I disegni in mostra illustrano, attraverso scene bislacche e surreali, l'inclinazione di questa giovane verso immagini stravaganti e illogiche, come quelle del militare in sella a uno struzzo o quella della pesca di un gigantesco pesce. Disegnate con un tratto scarno e sottile, le immagini di Signora K sono squarci aperti sull'essenza folle e contraddittoria dell'esistenza.
Influenzato dal fumetto underground, dal tatuaggio e dal punk rock, Riot Queer è autore di immagini disturbanti, in cui si mescolano elementi orrorifici ed erotici. Si tratta di pin up dal look aggressivo, vestite con capi d'abbigliamento fetish e con tanto di tatuaggi e piercing. Sull'esempio delle Suicide Girls, che hanno rivoluzionato l'erotismo softcore ispirandosi allo stile dark, punk, indie ed alternativo, Riot Queer è diventato il propugnatore di nuovo tipo di bellezza ribelle e irregolare, che sa essere allo stesso tempo conturbante e pericolosa, macabra e seducente.
L'anomalia rappresentata da Silvia Idili riguarda l'anatomia ibrida dei suoi soggetti, bambini con teste zoomorfe, che paiono usciti da un'oscura fiaba dei fratelli Grimm. In ambienti bui e non ben definiti, dove l'oscurità sembra essere una qualità tangibile dello spazio, la giovane artista ambienta racconti misteriosi ed enigmatici, frammenti di un probabile epos inconcluso. I protagonisti delle sue tavole si muovono con dubbiosa cautela in una dimensione circoscritta, quasi claustrofobica, sospesi sull'incerto confine tra la luce e le tenebre.
La deformazione, l'ipertrofia, l'alterazione sono strumenti tipici della grammatica visiva di Elena Rapa in ogni ambito della sua ricerca, dal fumetto alla grafica, dall'illustrazione alla pittura. Qualunque sia la tecnica scelta dall'artista, la rappresentazione di personaggi anatomicamente bizzarri e prevalentemente macrocefali costituisce una sorta di fil rouge, come dimostrano anche i cinque piccoli dipinti della serie Gita al lago di Vischio. In queste opere quasi miniaturistiche, l'artista si concentra sull'analisi di particolari qualità luministiche, collocando i suoi bizzarri personaggi in scorci di paesaggio pervasi da una tenace luce opaca, persistente come quella di certe grigie giornate invernali.
Dominati da una luce silvestre, giocata sui toni del verde e della terra, sono i paesaggi notturni di Silvia Argiolas, luoghi dell'anima in cui riverbera l'eco di sentimenti crepuscolari, incarnati da malinconiche ninfe arboree. Gli esseri che popolano le tele dell'artista sono, infatti, creature rizomatiche, con braccia e gambe ramificate, metafore di un malessere profondo, che le rende più simili ai suicidi dell'Inferno dantesco - che nel XIII Canto dichiarano "Uomini fummo, e or siam fatti sterpi" - piuttosto che alle mitologiche e, in fondo solari, metamorfosi ovidiane.
Degno figlio delle tenebre è Giuliano Sale, che con la sua pittura descrive un'umanità miserevole, ridotta allo stato larvale, una società sterile, composta da individui aberranti, da vampiri tossicomani e apatici parassiti, che si aggirano, come spettri, in una dimensione temporale imprecisata, che potrebbe essere la versione degenerata e perversa dell'Era vittoriana. Latore, suo malgrado, di una nuova estetica gotica, l'artista ha messo a punto una ritrattistica inquietante e sinistra, da cui traspirano i letali miasmi della cattiva coscienza occidentale.
Inaugurazione 10 Febbraio 2009 ore 19
Spazioinmostra
via Cagnola, 26 (angolo Melzi d'Eril) Milano
Orario lunedì-sabato 15.30-19.30
Fuori orario su appuntamento
ingresso libero