Interno Ventidue Arte Contemporanea
In mostra una nuova serie di opere che si inscrivono all'interno di una ricerca sulla possibilita' di ripensare l'arte del ritratto, individuando nelle icone del cinema hollywoodiano degli anni '60 uno strumento per rintracciare i resti di unicita' che le serigrafie warholiane avevano abraso.
La mostra personale di Cristiano Pinna realizzata da Interno Ventidue Arte Contemporanea con il Patrocinio dell’Associazione Roma Contemporary presenta una nuova serie di ritratti di medie dimensioni eseguiti su tavola e una serie di lavori di maggiore formato ad olio su tela che si inscrivono all’interno della suggestiva ricerca, condotta dall’artista negli ultimi due anni, sulla possibilità di recuperare e ripensare l’arte del ritratto, individuando nei personaggi interpretati dalle icone del cinema hollywoodiano degli anni sessanta uno strumento per rintracciare i resti di unicità e i tratti di irripetibilità che le serigrafie warholiane avevano sistematicamente abraso. Sia la tecnica pittorica che l’uso del colore, fedele all’impianto cromatico dei fotogrammi o dei ritratti fotografici originali, sembrano suggerire un enigmatico ritorno alla concezione tradizionale del ritratto.
La capacità di restituire un tratto di malinconica umanità attraverso quei volti che hanno veicolato il massimo grado di esponibilità della società di massa, colloca lo stile dell’artista in un ambito in cui l’iperrealismo, l’asetticità, la spersonalizzazione e l’indifferenziazione emotiva dei ritratti pop vengono incondizionatamente meno. Houdini, Cleopatra e Mosè, - rispettivamente impersonati da Clodette Colbert e Charlton Heston - tentano di svincolarsi da corde e catene, costretti in una smorfia d’insofferenza e irrequietezza. Altre catene trattengono i pensieri di Orson Welles, camuffato nei cinquecenteschi abiti del il cardinal Wolsey, indossati per il film Un uomo per tutte le stagioni. Un profondo disagio traspare sia dal volto grottescamente truccato di Marcello Mastroianni, nei panni del folle dottor Bonaccorsi, che dal malinconico sguardo del poeta russo Chlébnikov. Ritratti di figure controverse, che richiedono di oltrepassare lo schermo della loro indiscussa popolarità per poter scorgere quei tratti di singolarità che l’artista ha saputo audacemente intercettare.
Nel trittico, di dimensioni considerevolmente superiori rispetto a quelle dei ritratti, il fascino discreto delle figure incastonate nel rigoroso spazio prospettico del salone hitchcockiano - la villa di Alexander Sebastian (Claude Rains) a Rio de Janeiro, in cui si svolge parte la vicenda di Notorious, l'amante perduta - interrompe la rigida quiete e esattezza geometrica che scandisce la scena, inquietando e rendendo disarmonica l’intera opera. Allo stesso modo in cui nel film di Hitchcock la suspence si rivela essere il meccanismo principale di drammatizzazione narrativa, così in questo trittico una sorta di incatenamento provocato dalla suspence genera nell’osservatore un epidermico piacere di paura, fondato sul presentimento dell’irruzione di un avvenimento terrifico destinato a sconvolgere il banale ordine delle cose. L’incantamento-incatenamento amoroso di un Henry Fonda goffo e impacciato nei confronti di Barbara Stanwyck (ritratta nei panni di una spregiudicata e astuta Lady Eve), tradotto nel devoto gesto di calzarle la scarpa, è come turbato dal suono della trombetta di uno dei ragazzi della via Pal, collocato in primo piano. Per quanto le figure godano di un’indiscutibile autonomia, a tratti sconfinante nell’isolamento, il trittico nel suo insieme subisce il mistero e l’angoscia suscitati dall’irruzione di un gruppo di personaggi ‘satireschi’ che danzano ebbri, occupando l’intera ala sinistra del salone.
Il dittico, come afferma l’autore, “odora di carta” e rimanda alla frigida eleganza delle vuote architetture giapponesi in bambù. Anche in quest’opera le figure che occupano la scena sembrano apparentemente disomogenee e prive di connessione reciproca. Ma anche in questo caso occorre indagare la determinazione e la decisa volontà che si scorge dallo sguardo dei singoli personaggi - il mitico campione di Judo Sugata Sanshiro, vissuto in Giappone alla fine dell'Ottocento protagonista del primo lungometraggio di Kurosawa, e l’attore americano Warner Baxter nei panni dell’eroe di “Ad ovest di Zanzibar” - per giungere ad una comprensione unitaria dell’opera.
Marie Rebecchi
Cristiano Pinna, nato ad Ancona nel 1969, si laurea in giurisprudenza a Bologna, studia regia e scenografia a Londra (St. Martin’s School of Art) e montaggio a Milano, lavora per il teatro e per il cinema. Oggi vive nella sua casa studio sugli Appennini tosco-romagnoli. Lavora su tela e legno, ad olio e misto, ritraendo i volti di cineasti, militanti anarchici, scrittori e poeti russi, eremiti, gangsters e musicisti, che compongono il suo pantheon personale. Ibridando parole e immagini, suggestioni filmiche e evocazioni letterarie, l’artista utilizza la pittura per veicolare le impronte lasciate da una complessa costellazione culturale nelle stanze della propria memoria.
Recenti esposizioni: personale, Palazzo Medici Clarelli, Roma 2006; personale, Comune di Loreo, Rovigo 2006; Palazzo all’Arsenale, Verona 2007.
Opening mercoledì 18 febbraio ore 19
Interno Ventidue Arte Contemporanea
via di Monte Giordano, 36 - Roma
lun-sab | 16 alle 20
ingresso libero