Una mostra e un incontro. E' una posizione del tutto particolare quella che D'Ottavi assume - nei tardi anni '50 - nell'ambito delle emergenti pratiche di creazione verbovisiva. Se si escludono infatti le primissime prove, incentrate su una sorta di anticalligrafia di ascendenza informale, la ricerca dell'artista si concentra su una associazione fra testo e immagine astratta.
In occasione dell’incontro
dal 6 al 15 marzo 2009
nella Sala Conferenze
del Museo sarà esposta
una selezione di opere
della Donazione D’Ottavi
Si dice spesso, non senza un pizzico
di retorica, che l’istituzione museale
rappresenta il naturale approdo del lavoro
di un artista, la sua consacrazione
uffi ciale, ma anche il suo inserimento
nella dimensione della storia giacché
le opere, conservate nelle collezioni del
museo, rappresentano una insostituibile
testimonianza della vita e dell’opera,
consegnata alle generazioni future.
Il caso della donazione D’Ottavi, la cui
intenzione fu espressa dalla vedova con
una lettera all’assessore
Sartori del febbraio
1984, solo un mese
dopo la prematura
scomparsa dell’artista,
è in questo senso emblematico
del rapporto
non solo di studio, ma
anche di relazione
emozionale tra l’artista
e il suo pubblico. Non
mi riferisco soltanto
alle occasioni espositive
– la grande mostra
retrospettiva curata
da Guido Giubbini nel
novembre 1988, la
presenza di opere di
Corrado in altre rassegne curate dal
Museo – ma alla quotidianità delle visite
guidate e dei laboratori rivolti ai bambini
e ai ragazzi che hanno scoperto grazie
al lavoro di D’Ottavi le potenzialità
espressive del “montaggio” di parole e
immagini (ma anche di forme e di colori)
ricavate dall’immenso serbatoio della
carta stampata e della pubblicità, così
come hanno imparato la prassi e la fi losofi
a del ribaltamento di signifi cato degli
slogan prefabbricati che si impongono
come rassicuranti verità condivise.
Per usare il titolo di una delle sue opere
più intense, Ognuno vede ciò che
sa, ognuno coglie nel lavoro di D’Ottavi
aspetti diversi che consuonano con
diverse sensibilità: il ricercato sincretismo
tra le geometrie concretiste e una
poesia delle piccole cose di timbro gozzaniano
nelle prime composizioni del
1960 (Domani pomeriggio verrà il sacerdote
a benedire; Saranno premiate
al venerdi); l’impegno politico e sociale
delle opere degli anni ’60 e ’70 dedicate
alla guerra del Vietnam, alla fame
nel mondo, al crescente consumismo
tecnologico; la raffi natezza formale
dei collage di parole, da Alfa Omega
(1960) a La vita ci chiama… (1975)
e Le ambiguità della vita (1977); la
struggente, autobiografi ca rifl essione
sui grandi temi della vita e della morte
(In attesa del giorno dopo, 1982, Altri
esami per conoscere le cause della
vita, 1983).
Nell’ambito della Poesia visiva, cui si
riconduce per comodità classifi catoria,
l’opera di D’Ottavi occupa uno spazio
tutto suo in cui la parola, anche quando
è frammentata in grafemi colorati
o in ritagli tipografi ci, rimanda comunque
alla centralità dell’esperienza del
vivere di “un poeta in via di sviluppo.
Perché scrive. Perché è”.
Sandra Solimano
Direttore del Museo di Villa Croce
E’ una posizione del tutto particolare
quella che Corrado D’Ottavi assume -
agli esordi, nei tardi anni ’50 - nell’ambito
delle emergenti pratiche di creazione
verbovisiva. Se si escludono infatti
le primissime prove, incentrate su una
sorta di anticalligrafi a di ascendenza informale,
la ricerca dell’artista si concentra,
nella prima fase, su una associazione
fra testo (dattiloscritto o ricavato “con
le forbici” da pubblicazioni di vario tipo)
e immagine astratta, legata – seppure
con grande libertà – ai canoni del concretismo
internazionale, che aveva caratterizzato
la stagione artistica europea
dopo il secondo confl itto mondiale. La
fi losofi a del montaggio enunciata da
Martino Oberto in Uno specifi co letterario
(e fi lmico) (Ana eccetera 3) trova
così una variante del tutto originale,
che facendo uso, dopo i primi saggi
a tempera, del collage, rielabora una
componente maggiore dell’esperienza
artistica contemporanea, destabilizzandola
sottilmente con intermissioni
testuali che rimandano all’“esperienza
della realtà”, sia attraverso l’attivazione
di un registro di rifl essione esistenziale
(Quello che è stato, 1960), sia con l’inglobamento
della quotidianità spicciola,
come si avverte in Domani pomeriggio
verrà il Sacerdote a benedire (1960).
Una linea precoce e autonoma, distante
dagli impianti mediatici della “poesia
tecnologica” del Gruppo ’70, cui si avvicina
più tardi, attorno alla metà degli
anni ’60, specie nei lavori di più evidente
connotazione politica (fra i quali non
si può omettere la citazione dell’esemplare
Ognuno vede ciò che sa, 1967,
incentrato sul confl itto in Vietnam),
mantenendo però sempre un’intonazione
differenziata, attenta – nel suo “inestetismo controllato” – agli equilibri
strutturali e cromatici della composizione.
Nascono allora, accanto alla rinnovata
meditazione su La condizione umana
(1974), la vertiginosa costellazione de
I simboli contenuti in questo foglio e, a
breve distanza di tempo, lavori di ancor
più marcata valenza pittorica come Senza
titolo (1976), un accumulo di lettere
dis/ordinate a celebrare l’unione di Caos
e Armonia. Armonia che caratterizza
anche gli “squisiti frammenti” (Giubbini) dell’opera ultima: “raffi nate pezzature di
carte antiche” da cui emergono volti femminili
e testi poetici, messaggio estremo
di un’artista “in viaggio nella vita”.
Sandro Ricaldone
6 marzo 2009 h.17
Intervengono:
Martino Oberto,
Sandro Ricaldone,
Sandra Solimano,
Giorgio Zanchetti
Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce
via Jacopo Ruffini, 3 - Genova
Orario
da martedì a venerdì 9.00 – 18.00
sabato e domenica
10.00 – 18.00
lunedì chiuso