La Permanente
Milano
via Turati, 34
02 6551445 FAX 02 6590840
WEB
Alfredo Mazzotta e Salvatore Sebaste
dal 14/4/2009 al 29/4/2009
mart - ven 10-13 e 14.30-18.30, sab e dom 10-16.30

Segnalato da

Salvatore Sebaste




 
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14/4/2009

Alfredo Mazzotta e Salvatore Sebaste

La Permanente, Milano

Doppia personale. La radice "sia per le lisce superfici scultoree del calabrese Mazzotta che per le tavole combuste ed inquiete del pugliese Sebaste, e' quella dell'antica cultura mediterranea, nei suoi miti e leggende, nei suoi eroismi e furori, nei suoi valori fantastici, che si allargano dalle ombre degli antichi popoli delle sue sponde" (Giorgio Seveso)


comunicato stampa

La formula della mostra di coppia della Permanente si rivela, anche in questa occasione, quanto mai efficace e adatta, riunendo nella stessa sala due artisti che per forme e per poetiche presentano più di un parallelismo.
Pur nell’evidenza delle loro diversità di accento, infatti, il modo di sentire di Mazzotta e quello di Sebaste sono complementari, quasi paralleli all’interno dell’ambito linguistico che ognuno di loro ha autonomamente sviluppato, e dunque, nel confronto che si determina, vengono esaltate ed evidenziate in sommo grado le peculiarità di ciascuno.
Non per caso insomma, o solo per stima o amicizia, si sono scelti: il loro è invece un confronto significante, attivo, in quanto c’è in questa mostra a quattro mani il riconoscimento e l’esplorazione di un sotterraneo humus comune, di una condivisa radice profonda, che nutre il loro immaginario e le loro fantasticazioni, che restituisce affinità di tono al lirismo delle loro differenti impostazioni formali e tecniche.

E tale radice, sia per le lisce superfici scultoree del calabrese Mazzotta che per le tavole combuste ed inquiete del pugliese Sebaste (ma entrambi hanno con Milano una lunga consuetudine di vita e lavoro), è quella dell’antica cultura mediterranea, nei suoi miti e leggende, nei suoi eroismi e furori, nei suoi valori fantastici, che si allargano dalle ombre degli antichi popoli delle sue sponde fino agli sparsi lacerti di una Magna Grecia favolosa che ancora trapela dal tessuto del presente.
Il mediterraneo, un mare di passaggi e profezie, di navigazioni e contemplazioni, d’eros e di morte, di magìe e di storie intrecciate di uomini e di dei. Ma anche di forme, di sapori, di sensazioni e profumi dall’anima unica, irripetibile.

Ma di questo tratterà appropriatamente Maria Torelli nelle pagine che seguono. Vorrei qui invece sottolineare come, appunto, quest’anima mediterranea, sorgiva e radicale, impressa nella sensibilità dei nostri due autori, abbia trovato con loro un’espressione singolare e in qualche modo anche inedita. Vale a dire la capacità di fissarsi senza forzature e senza opportunismi alle ragioni più sofisticate e disinvolte del linguaggio dell’arte contemporanea.
Se consideriamo, infatti, le forme di Mazzotta, così turgide e felpate nell’evocare il senso del femminile, le tracce dell’eros ma anche della spiritualità, non si può non cogliere il cortocircuito tra le forme di una arcaicità mediterranea e la plasticità sintetica delle avanguardie europee, in una linea che tiene al suo centro il grande esempio di Henry Moore, in una fervida dialettica interiore tra allusione figurativa e pura forma.

Ecco: dialettica, vale a dire confronto, frizione, conflitto e composizione, scontro e conciliazione tra elementi e pulsioni diverse che, intrecciandosi nelle immagini di Mazzotta, danno vita ad accese suggestioni, a languori inauditi, a melanconie tanto silenziose quanto affascinanti.
Una dialettica che si tende soprattutto sull’eterno rovello espressivo di una tensione antropomorfica che vede qui il corpo, e segnatamente il corpo femminile con il suo carico di guizzanti sensualità e di sentimenti spirituali diffusi, al centro di ogni tensione, di ogni dilatazione e insieme concentrazione del segno plastico.

In Sebaste, invece, quest’anima antica di un linguaggio contemporaneo prende sembianze infuocate e brulicanti.
E ciò avviene nel nome della magia e del mito, ove il fuoco (di cui del resto si serve per fondere e distribuire i suoi impasti cromatici sul supporto del quadro) è quasi il fuoco delle sibille o quello dei fulmini degli dei, o, ancora, è quello dell’alchimista che, in un territorio di sensibilità plastiche essenziali, di sottili e palpitanti valori simbolici, trasformando le materie e i pigmenti, trasforma anche lo sguardo e fors’anche l’anima di se stesso.

Anche qui un altro grande esempio, quello di Jackson Pollock e della sua action painting, è in qualche misura assimilato e metabolizzato dal nostro autore, fondendo l’antico nel moderno in un appassionato susseguirsi di segni e di gesti, di superfici scabre e di guizzanti e tormentati arabescamenti.
Ne scaturisce un suggestivo intreccio di contemplazione dell’inconscio ma anche d’impulso, una espressività allucinata e rorida che si distribuisce tra memoria dell’arcaico e aggiornata raffinatezza del contemporaneo alla ricerca dello spirito primario e del suo senso definitivo nell’economia dell’esistere, quasi come se il gesto della creazione artistica partecipasse alla ricerca di una sorta di quintessenza del significato della vita, di un suo principio definitivo ed assoluto.
Giorgio Seveso

Immagine: Alfredo Mazzotta, Premaman, 1973, bronzo patinato.

Inaugurazione 15 aprile alle ore 18

Museo della Permanente
via Turati, 34 Milano
Orari: martedì - venerdì ore 10-13 e 14.30-18.30, sabato e domenica ore 10-16.30

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