S.t. Foto Libreria Galleria
Roma
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An Occasional Dream
dal 18/4/2009 al 6/6/2009

Segnalato da

S.t. Foto Libreria Galleria



approfondimenti

Matteo Di Castro



 
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18/4/2009

An Occasional Dream

S.t. Foto Libreria Galleria, Roma

Immagini singolari di fotografi anonimi. Protagonista della mostra e' una serie di istantanee di piccolo formato, realizzate nel secolo scorso, senza intendimenti professionali, da fotografi anonimi e destinati a rimanere tali.


comunicato stampa

a cura di Matteo Di Castro.

Il titolo del progetto è preso in prestito da un brano David Bowie della fine degli anni sessanta, inserito poi nell’album Space Oddity: una canzone d’amore in cui la fotografia viene evocata come un oggetto familiare ma dalle potenzialità perturbanti, se non esplosive:

“In my madness
I see your face in mine
I keep a photograph
It burns my wall with time”.

Protagoniste della mostra sono appunto delle immagini-oggetto: una serie di istantanee di piccolo formato, realizzate nel secolo scorso, senza intendimenti professionali o artistici, da fotografi anonimi e destinati a rimanere tali: fotografie occasionali.

Le occasioni sono quelle offerte dal tempo libero, che proprio nel Novecento va definendosi come tale in opposizione alle regole e ai ritmi della società industriale. Il tempo sottratto al lavoro è quello della vita domestica e degli affetti familiari, delle gite, dei viaggi e delle vacanze, dello sport, delle curiosità improduttive e delle passioni private. La macchina fotografica -man mano che gli apparecchi diventano più leggeri e di facile utilizzo- diviene non solo lo strumento privilegiato per documentare i diversi scenari e rituali del tempo libero, ma essa stessa una nuova straordinaria occasione di nutrimento dell'immaginario liberato dalle logiche della produttività sociale.
An Occasional Dream non propone tuttavia una visione panoramica e analitica della fotografia extra-professionale del secolo scorso. La mostra nasce come il primo esito espositivo di un progetto di ricerca che s.t. foto libreria galleria ha già avviato con continuità, evocandolo nel nome stesso di questo spazio, aperto a Roma nel 2007: raccogliere immagini anonime, fotografie senza titolo (s.t.) e valorizzarle nella loro individualità, a partire dalla sensibilità estetica contemporanea.

L’interesse per le immagini trovate, senza una acclarata paternità, non è certo una novità nella nostra cultura artistica. Le avanguardie del Novecento –surrealismo e dada soprattutto- avevano già eletto l’objet trouvé non solo a inedita musa della ricerca estetica, ma a metafora stessa dell’opera d’arte.

In ambito propriamente fotografico la “scoperta” della fotografia anonima è invece un fenomeno relativamente recente. Le ricerche sulle immagini extra-professionali -ad esempio sulle foto e gli album di famiglia, sono state a lungo condotte con un approccio storico-documentario, o socio-antropologico, con l'obiettivo di recuperare dei fondi fotografici omogenei, oppure di studiare fenomeni ritenuti altrettanto codificati, come appunto la pratica amatoriale dell'istantanea.

E' invece soprattutto per iniziativa di singoli collezionisti (tra cui alcuni artisti, fotografi e visual designer come Christan Skrein, Martin Parr, Rosângela Rennó, Kessel Kramer) che negli ultimi quindici anni, in particolare negli Stati Uniti -ma anche in Francia, Germania, Olanda- i progetti su quella che viene oggi chiamata vernacular o found photography hanno superato la fase della rivalutazione di un genere secondario, puntando a rilettura fortemente personalizzata delle fotografie riconducibili a tale ambito di produzione.
An Occasional Dream è probabilmente il primo evento espositivo, nel nostro Paese, che, partendo appunto da un'approccio collezionistico, propone una rassegna volutamente selettiva di foto trovate del Novecento: una quarantina di immagini singolari.

La singolarità della foto anonima si rivela in primo luogo nei termini di una paradossale unicità dell'opera: l'istantanea che, pur potenzialmente riproducibile in vari formati e in infinite repliche, viene recepita come un esemplare unico da chi si imbatte nella sua più comune forma di vita: quella stampa originale di minime dimensioni, realizzata dai laboratori fotografici dell’epoca, su carte ormai desuete, che viene conservata in casa, nelle scatole, negli album, fino a quando, fatalmente, finisce abbandonata, dispersa, gettata tra i rifiuti e infine conquista lo sguardo di un nuovo spettatore.

Ciò che rende singolari queste immagini è poi proprio quel non so che di curioso, affascinante, enigmatico, che le foto del passato possono rivelare indipendentemente dal soggetto rappresentato, o dalle intenzioni di chi le ha realizzate. La singolarità, in tal senso, è un valore difficilmente definibile e tuttavia lampante: è lo scarto della realtà rispetto alla sua forma codificata, è il rivelarsi subitaneo di un senso accidentale, ulteriore, nella vita comunicativa dell'immagine.

Ma se quello scarto illuminante è una qualità potenzialmente presente in ogni foto, la dinamica di svelamento di un senso altro può risultare ulteriormente folgorante dinanzi a un'immagine nata al di fuori di un riconoscibile progetto professionale e/o artistico.

E' come se, proprio di fronte alle foto trovate -prodotte in circostanze fortuite e comunque ignote, senza una riconoscibile intenzionalità estetica o competenza tecnica, anzi proprio grazie a una serie di effetti non voluti o ingenuamente esibiti- lo spettatore sperimentasse una condizione privilegiata di approssimazione alla scena del reale e di riappropriazione del senso dell'immagine.

E’ stato Roland Barthes, trent'anni fa anni fa, ne La camera chiara, partendo non a caso da un'interpretazione pseudo-referenzialistica della fotografia, a teorizzare e sperimentare un approccio alle immagini come scansione fulminante del visibile, capace di individuare, trattenere e riscrivere le più diverse tracce significanti impressionate sulla materia sensibile. Barthes chiamava punctum questo supplemento di senso che è possibile rintracciare nelle fotografie che più ci emozionano. All’epoca –quando la cultura fotografica era ancora impegnata a legittimare l’autonomia estetica del medium rispetto ad altri linguaggi- l’idea di studiare la fotografia stessa a partire dalle sue implicazioni emotive, affettive, non poteva che apparire fuorviante, controproducente.

Oggi si potrebbe forse rileggere La camera chiara come un ulteriore esempio di quell'approccio collezionistico, in prima persona, alla fotografia (e in particolare alle foto del passato) che si è sviluppato in maniera esemplare nella forma-libro. Vale la pena ricordare, a questo proposito, il lavoro recente di uno degli storici della fotografia più conosciuti sulla scena internazionale, Michel Frizot, che con Cédric de Veigny ha pubblicato per Phaidon nel 2006 Photo trouvé.

Ma se il libro rappresenta ancora il canale privilegiato del lavoro di riscrittura delle foto trovate, una risorsa altrettanto straordinaria è offerta ovviamente da internet. E’ sempre dagli Stati Uniti che ci vengono gli esempi più stimolanti di siti e blog dedicati esclusivamente a questo genere di immagini. Segnaliamo almeno i seguenti: www.bighappyfunhouse.com, www.squareamerica.com e www.projectb.com, curato da Barbara Levine.

Il web ha non solo moltiplicato le possibilità di trovare, catalogare e pubblicare le proprie foto preferite; ha proiettato il demone spesso solipsitico del collezionista in un inedito scenario di condivisione delle proprie fissazioni e ha quindi offerto al lavoro di riscrittura delle immagini anonime una sintassi via via più ricca.

In occasione della mostra, sugli scaffali di s.t. foto libreria sarà possibile trovare diversi volumi sulle fotografie anonime, editi negli ultimi anni in ambito internazionale. Verrà inoltre pubblicato un catalogo, con una presentazione di autorevole storica della fotografia, Marina Miraglia e un testo del curatore.
Comunicato-stampa e immagini web:
http://www.stsenzatitolo.it/content/occasional-dream-immagini-singolari-fotografi-anonimi

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Giovanni Del Brenna
dal 19/10/2014 al 4/11/2014

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