Galleria Overfoto
Napoli
vico San Pietro a Maiella, 6
081 19578345 FAX 081 19578345
WEB
Arash Radpour
dal 14/5/2009 al 14/9/2009
martedi' - venerdi' 11-13 e 16.30-19.30, sabato 11-14

Segnalato da

Overfoto



approfondimenti

Arash Radpour
Maya Pacifico



 
calendario eventi  :: 




14/5/2009

Arash Radpour

Galleria Overfoto, Napoli

Napoletani a Roma. Iraniano di nascita e romano d'adozione, l'artista gioca col tema ambiguo dello sdoppiamento, calando i suoi soggetti in ambientazioni non immediatamente riconoscibili e moltiplicandone la presenza all'interno della stessa immagine. A cura di Maya Pacifico.


comunicato stampa

Galleria Overfoto ospita a partire dal prossimo 15 maggio, la personale di Arash Radpour curata da Maya Pacifico. Iraniano di nascita e romano d’adozione, l’artista gioca col tema ambiguo dello sdoppiamento, calando i suoi soggetti in ambientazioni non immediatamente riconoscibili e moltiplicandone la presenza all’interno della stessa immagine. Il risultato è una serie di scatti in cui lo sfondo diventa microcosmo paradossale e partecipante e i suoi abitanti vi agiscono e si muovono al suo interno ripetuti - potenzialmente all’infinito- e tuttavia sempre unici. L’effetto finale è straniante, in certi casi surreale, ma mai per questo respingente. Lo stesso titolo della mostra, Napoletani a Roma, volutamente scelto dall’autore quasi a provocare un disorientamento nel pubblico, punta l’attenzione su un aspetto apparentemente secondario e meno vistoso, ossia l’origine partenopea della quasi totalità dei protagonisti, che sono giovani attori - come Michelangelo Dalisi - o artisti - vedi Giancarlo Savino - e più in generale creativi che a Roma hanno posato per Arash, portando sul set i loro multipli in una sorta di ironico campionario dell’uomo contemporaneo.

Napoletani a Roma
di Maya Pacifico

Come si può sfuggire all’ovvietà dell’immagine fotografica? Si è chiesto Arash Radpour prima di afferrare la macchina e scattare il suo primo clic. Iraniano di nascita ma romano d’adozione, l’artista ha scoperto questa passione durante un suo soggiorno a New York. Alcuni scorci notturni di Brooklyn gli hanno dato la misura dell’inconsueto, la cifra che porta fuori dall’ordinario, in questi paesaggi ha colto il segreto dell’intimità delle cose cercando di non violentarle. Ma ben presto l’artista si è reso conto che la variabile più indipendente è l’uomo. Per raccontare uno spicchio di mondo bisogna immergersi nella contraddizioni umane cogliere l’umanità nella sua condizione contemporanea, l’assurdità dei gesti, la solitudine che ne deriva. Questa sospensione metafisica, questa attenzione al transitorio, appartiene più all’arte che alla fotografia. E’ il corrispettivo della pittura precisionista di Hopper che sulla tela ha dato corpo ai ritratti più emblematici della solitudine americana: incomunicabilità, immobilità, silenzio si sottraggono a quel “troppo vicino “ dove le parole non si possono sentire. Nella fotografia invece le immagini creano quella distanza che è “ giusta” perché è ideale per il linguaggio contemporaneo, è oscillazione, equivoco, fraintendimento, è tutto un gioco di allusione, cifra enigmatica per l’altro che è in noi e fuori di noi. In realtà nessuno sa più come funzioni un dispositivo di rappresentazione e neppure se ne resista ancora uno. Ma è sempre più urgente razionalizzare quello che può accadere nell’universo della simulazione: la singola immagine non rende più l’idea dell’esistenza perché tende sempre a irrigidirsi in una forma. Complice il ritocco, il soggetto si moltiplica, la rappresentazione si arricchisce di una componente spettacolare indipendente da ogni logica che non sia il piacere puramente visivo. La compresenza dello stesso personaggio in atteggiamenti e momenti diversi crea una dinamica narrativa che sfrutta l’irrealtà della situazione per concretizzare una trappola visiva in continuo movimento: anche quando l’immagine è una è sempre il momento di una sequenza idealmente collegato con un prima e un poi. L’’artista si serve volentieri della tecnologia avanzata, delle potenzialità impreviste che l’arte può abbracciare nel Terzo millennio. Nulla di nuovo dal punto di vista “tecnico”, da quando la fotografia digitale si è imposta anche il mondo pubblicitario e quello della moda sono inflazionati da maghetti del computer e acrobati del photoshop. Semmai la sua originalità consiste nell’ aver analizzato il processo percettivo e la sua fondamentale soggettività, di aver elaborato questo materiale in funzione di un pensiero visivo, libero dalle censure logiche della ragione in cui l ’immaginazione ha rappresentato una sorta di scappatoia . In questa mostra nessuna delle immagini nasce da un set accuratamente preparato, a parte quella della piscina ( fucking pool). Ogni scatto nasce dall’incontro tra il soggetto e l’artista alla luce naturale. E’ uno scambio intimo, un intreccio tra sogno e realtà dall’esito visionario che richiama alla mente dello spettatore la sensazione di una visione folgorante, con in più uno spirito sensuale e giocoso. La fotografia diventa un gioco trasgressivo in cui si sfidano vari componenti, Il cinema, il mondo della moda,il teatro, in un certo senso Radpour deve qualcosa a tutti senza somigliare a nessuno, se non a se stesso. I contrasti di forme e colori si basano sulla fantasia contorta e abbagliante che giace all’origine dei suoi pensieri, diventano un sistema inedito dal fascino irriducibile e seduttivo . Se Radpour ha scelto la fotografia e non la pittura lo ha fatto perché è il mezzo che rappresenta la più efficace scorciatoia nello sfumare i confini tra l’arte e la cosiddetta vita, tra gli oggetti e gli eventi, tra il voluto e il non intenzionale. Ad esempio, nel ritratto di Michelangelo Dalisi , non c’è un’interpretazione del soggetto, piuttosto uno scambio psicologico, l’artista lascia libero l’attore di esprimere la sua mimica facciale, di comunicare spontaneamente dando senso a un gioco di segni, come in una sfida tra bambini, in questo modo tratta le immagini in modo leggero, rapido, veloce e tuttavia profondo. Il fatto che la foto sia “contemporanea” , confusa con la nostra quotidianità più attuale, non impedisce che in essa vi sia come un punto enigmatico d’inattualità, una stasi strana, una immobilità del tempo. Quando si definisce una foto come un’immagine immobile, non si vuole dire solamente che i personaggi che essa ritrae non si muovono, si intende dire che essi non ne escono fuori, sono come anestetizzati, immersi in un ambiente che è un campo cieco. L’atmosfera metafisica, la sospensione del tempo sono evidenti nel ritratto di Fabrizia Sacchi, trafitta da un raggio di luce all’interno di una antichissima chiesa romana o in quello di Lorena Dellaccio che si immola contro la parete di un muro di mattoni medievali come la protagonista di un rito ancestrale. Come il mondo reale , anche il mondo rappresentato dalla fotografia svanisce, deperisce e muore, come se l’immagine, presa in un flusso venisse sospinta, trascinata verso altre visioni. Di questo istante, fermato per un attimo, l’artista è il solo artefice. Del resto lui stesso ammette di essere un istintivo, dietro all’obiettivo della macchina si trasforma in voyer , prova un’attrazione innocente e insieme perversa verso la figura femminile che a tratti è dolcemente crudele. Ciò che lo seduce è guardare attraverso il dispositivo, un filtro tra la realtà che gli sta di fronte e il suo occhio o la sua mente. Non cerca mai la bellezza naturale ma la bellezza rituale perché questa si fonda su giochi infiniti di analogia, che vanno al di là di ogni tempo e ancora oggi ci affascinano. La donna è un idolo, un oggetto di culto posto su un piedistallo ( ritratto di Camilla Alibrandi ) trasfigurata e altera è circondata da un alone misterioso, è di una perfezione crudele, un’apparenza pura e irreale. C’è un intimità del soggetto con se stesso che poggia sull’immaterialità del suo doppio, sul fatto che questo sia e resti un fantasma, una proiezione nello specchio del codice genetico. Ognuno può sognare, e certo ha sognato per tutta la vita, una duplicazione o moltiplicazione perfetta del suo essere, ma solo in sogno. E’ come se la nostra epoca volesse materializzare questo fantasma, in un controsenso assoluto, in un sogno cellulare di scissione. Nel ritratto di Giorgia Sinicorni c’è l’iperrealtà del corpo nudo e l’irrealtà della sua moltiplicazione in una finzione affascinante e artificiosa dove il sesso non è l’oggetto centrale. Pur essendoci la presenza della nudità c’è l’incarnazione di un erotismo solare, allegro, come se l’immagine proiettasse il desiderio al di là di ciò che essa dà a vedere. L’irruzione della tecnologia a portato alla proliferazione dei corpi: non c’è protesi più bella del DNA, della sua formula molecolare. Qui il corpo è matrice che genera esseri identici, immagini identiche, nella ripetizione indefinita del suo essere biologico, un narcisismo che parte non dallo specchio ma dalla formula. La clonazione come stadio ultimo della simulazione del corpo in cui non c’è più neanche più il soggetto. Il soggetto è senza volto come nel ritratto di Giancarlo Savino o reso ancora più anonimo dal cappello e dalla maglietta a strisce come in quello di Alessandro Giuliano, perché la duplicazione dell’identico mette fine alla sua divisione e l’uomo è solo la somma di se stesso, esattamente come accadeva nei quadri di Magritte popolati da figure con la bombetta in testa, uomini melanconici tutti uguali e intercambiabili. Il cielo con le nuvole all’interno della pupilla di Magritte è surreale quanto lo può essere la giacca indossata da Giancarlo Savino, è l’ occhio delirante in cui tutto ciò che appare è pronto a dichiarare il suo nonsenso, in cui qualsiasi ordine può aprirsi e mostrare l’orrore della sua solitudine.

BIO
Arash Radpour nasce a Teheran nel 1976. Vive in Italia dal 1980. Dopo un diploma alla Rossellini di Roma comincia a collaborare in qualità di assistente per fotografi di moda come Paolo Roversi, Norbert Schoerner, Carter Smith. Trasferitosi a New York nel 2003, in un anno entra in contatto con diversi giovani esponenti della scena artistica internazionale.Tornato a Roma nel 2004 viene introdotto nel mondo dell’arte grazie ad una serie di paesaggi notturni realizzati durante il suo soggiorno newyorkese. Da allora ha realizzato quattro mostre personali e numerose collettive in spazi museali e gallerie in tutta Italia e all’estero. Ha partecipato alla mostra “On the Edge Of Vision” al Victoria Memorial Hall di Calcutta, mostra organizzata dal ministero degli Affari Esteri Italiano in collaborazione con la Gallery of Modern Art di New Delhi. Ha inoltre partecipato, fuori concorso, alla 52ima Biennale di Venezia con la mostra “Faccia Lei”, organizzata dall’Arterra Museum di Vienna, allo spazio Thetis/Arsenale. Un suo lavoro realizzato in collaborazione con Matteo Basilè è presente nella collezione permanente della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Mostre personali
2008
Snobcream, Goa Club, Roma (Italy)
The Zone, Atelier35, Roma (Italy)
2006
Carnival (A Black Comedy), Sergio Tossi Gallery, Firenze (Italy)
2005
The Sweet Hereafter, Altri Lavori in Corso, Roma (Italy)

Inaugurazione: venerdì 15 maggio 2009, ore 19:00-22:00

Galleria Overfoto
vico S. Pietro a Majella 6, 80138 Napoli
La galleria è aperta al pubblico dal martedì al venerdì la mattina dalle 11.00 alle 13.00 ed il pomeriggio dalle 16.00 alle 19.00, il sabato dalle 11.00 alle 13.00

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Fernanda Veron
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