CACT Centro d'Arte Contemporanea Ticino
Settanta/Seventies. L'esposizione presenta una selezione di opere video risalenti agli anni '70, che rivelano il taglio performativo dell'artista. Acconci si confronta con la tecnologia filmica e con l'architettura degli spazi chiusi, con la coazione architettonica e si auto-immortala e documenta la propria azione carnale e corporale attraverso la macchina.
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Da sempre l’artista si confronta con lo spazio a lui circostante, quasi fosse un necessario tentativo di conferire e conferirsi – in generale – una dimensione oltre e altra. Nello spazio il creatore lascia da sempre un segno del suo passaggio, della sua potenza, come se tale traccia individuale potesse rappresentarsi nel modello per una società del futuro, stratificando le esperienze e rafforzando così il concetto di evoluzionismo.
L’arte contemporanea, interfaccia di una realtà paradossale in un’era post-moderna, tecnologica e livellatrice, necessita di ridefinire gli spazi architettonici in cui opera, poiché attraverso tessuti urbani si potrebbe fortificare o indebolire l’identità dell’uomo. Sono gli anni di Marc Augé, di Marshall McLuhan e tanti di altri, che dagli anni ’50 sono operativi in questo senso; del concetto di ‘arte nello spazio’ e del binomio arte/architettura, laddove in seguito la struttura architettonica museale si assoggetta completamente alle esigenze e proposte spaziali degli artisti.
È in questi anni che l’autore di opere d’arte sente il bisogno di assumere completamente la propria responsabilità sociale, a fronte di una situazione, in cui critici e storici d’arte si rivelano incapaci di delineare al meglio i mutamenti, ma anche le coazioni societali ed epocali, in atto, fino all’avvento della telematica, forza nuova e forse ultima grande rivoluzione: scoperta rivoluzionaria, poiché essa va nuovamente a toccare, attraverso i suoi linguaggi virtuali, i parametri e i confini identitari dell’uomo, rimettendo in seria discussione la nozione di corpo, di spazio e di tempo viepiù smagnetizzato.
[…] La géométrie de l’espace est entièrement déterminée par son contenu matériel. […] (Michel Cassé, Parigi, 1985)
I body artisti, di cui è verace teorica Lea Vergine, introducono in maniera diretta il corpo ch’essi usano ‘come linguaggio’, transmutandolo da oggetto carnale a identità soggettiva. Ecco che questi autori si misurano con l’io e con il sé, rapportandosi allo spazio in cui agiscono e facendo proprio il bisogno di (ri)definizione sociale, intellettuale-analitica, dell’uomo attraverso il proprio corpo. Se l’architettura ridisegna la propria identità, gli artisti si rapportano ad essa implementando il proprio corpo, ridotto e riconfigurato a seguito della scoperta, per esempio, di altri cosmi come l’attraversamento dell’atmosfera per arrivare fino alla luna, di cui abbiamo immagini satellitari.
La mostra SETTANTA/SEVENTIES realizzata negli spazi del CACT Chiasso è interamente dedicata ad uno degli artisti, che assieme ad altri ha segnato questo momento storico di passaggio e di consapevolezza: VITO ACCONCI (USA, 1940).
L’esposizione presenta una selezione di opere video risalenti agli anni ’70, appunto, che rivelano il taglio performativo poc’anzi espresso. Acconci si confronta con la tecnologia filmica e con l’architettura degli spazi chiusi, con la coazione architettonica, si auto-immortala e documenta la propria azione carnale e corporale attraverso la macchina; diventa un soggetto psicologico quasi staccato dall’esercizio della cultura, ma che tende – talvolta recluso o disperato – a ricostruire la propria consapevolezza identitaria, ma prima umana, attraverso l’ossessiva liturgia del gesto o la ripetitiva concettualizzazione di una sua ossessione, ch’egli esprime verbalmente.
Le azioni di Acconci sono impresse su di un nastro, scomposte e scollate da una realtà tangibile, e restituite in differita al pubblico attraverso il mezzo tecnologico. Com’è stato il caso di tutta una generazione di body artisti, v’è nella loro gestualità, documentata dal film, dalla fotografia o dagli scritti, una perniciosa malattia comunicativa, un paradossale tentativo di ricostituire la propria personalità psicologica e corporale o sessuale, di riappropriarsi di quegli archetipi che da sempre appartengono all’uomo.
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Artists have always dialogued with the space around them, almost as though driven to undertake a necessary attempt to confer on it and on themselves – in general – a different, further-reaching dimension. In space, the creative has always left the sign of his passing, of his power, as though that individual trace could be represented in the model for a society of the future, thus stratifying experiences and ultimately strengthening the concept of evolutionism.
Contemporary art, the interface with a paradoxical reality in a technological post-modern era that tends to level us all, needs to redefine the architectural spaces in which it operates, since it is through urban fabrics that man’s identity stands to be strengthened or weakened. This applies to the years of Marc Augé, of Marshall McLuhan and many, many more, who have been working in this sense ever since the fifties; to the concept of ‘art in space’ and the duality of art and architecture, in which the architectural structure of the museum was later destined to become totally subject to the requirements of artists’ spatial needs and proposals.
it was in those same years that the author of works of art started sensing the need fully to accept his social responsibility, faced with a situation in which art critics and historians were revealed to be incapable of competently outlining the changes taking place, but also the societal and epoch-making constructions under way, culminating in the advent of the new force and potentially ultimate great revolution of telematics: a revolutionary discovery, because it uses virtual languages, once again, to influence the parameters and confines of man’s identity, seriously questioning the very notion of body, of space and of time that, moreover, has become demagnetised.
[…] La géométrie de l’espace est entièrement déterminée par son contenu matériel. […] (Michel Cassé, Paris 1985)
The body artists veraciously theorised by Lea Vergine introduce the body directly, using it ‘as a language’, transmuting it from a carnal object to a subjective identity. So we find these authors coming to grips with the Ego and the Id, relating to the space in which they act and adopting man’s need for social, intellectual and analytical (re)definition by means of his own body. While architecture redesigns its identity, artists relate to it, implementing their own bodies, reduced and reconfigured as a consequence, for example, of the discovery of other universes, such as the feat of breaking through the atmosphere to reach the moon, of which we have satellite images.
Installed in the spaces in the CACT Chiasso, the SETTANTA/SEVENTIES exhibition is dedicated entirely to one of these artists who, together with others, has left his mark on this historical phase of passage and awareness: VITO ACCONCI (USA 1940).
The exhibition presents a selection of video works, aptly dating back to the seventies, which reveal the performance-oriented slant mentioned above. Acconci tackled film technology and the architecture of closed spaces, so architectural constriction, preserving himself for posterity and recording his carnal and corporal action with the camera. He became a psychological subject almost detached from the actual exercise of culture, but that tended – at times imprisoned or desperate – to reconstruct his own awareness of identity, though before that his human awareness, through the obsessive liturgy of the gesture or the repetitive conceptualisation of an obsession that he repeated verbally.
Acconci’s actions were recorded on film, decomposed and detached from tangible reality, then restored to an audience after a time-lapse through a technological medium. Just as in the case of a whole generation of body artists, in their gestures as recorded on film, in photography or in writings, there is a pernicious communicative malaise, a paradoxical attempt to reconstruct the artist’s own psychological, corporal or sexual personality, to regain possession of those archetypes that have always belonged to man.
[Translation Pete Kercher]
Centro d'Arte Contemporanea Ticino - CACT
Via Tamaro 3 - Bellinzona
Orario: da ven a dom 14-18 o su appuntamento
Ingresso: CHF 5 Euro 3.20, gratis membri Cact