Chiesa di San Stae
Venezia
Campo San Stae, Santa Croce
041 5264546 FAX 041 2769056

Fabrice Gygi
dal 2/6/2009 al 21/11/2009
martedi' - domenica 10-19
041 5218711
WEB
Segnalato da

Agentur & Kunst



approfondimenti

Fabrice Gygi
Andreas Munch



 
calendario eventi  :: 




2/6/2009

Fabrice Gygi

Chiesa di San Stae, Venezia

L'artista ginevrino rappresenta la Svizzera alla 53a Esposizione Internazionale d'Arte nella seconda sede del suo padiglione. Presenta un'installazione dal titolo "Lo spazio monotremo" che rievoca come lo spazio di una chiesa sia destinato ad ospitare valori intellettuali e materiali, in tempi sereni ma anche in periodi di crisi. I suoi lavori sono una reazione irritante densa di significati al contesto.


comunicato stampa

Silvia Bächli e Fabrice Gygi alla Biennale di Venezia

Commissario Andreas Münch

Su raccomandazione della Commissione federale d’arte l'artista basilese Silvia Bächli e l'artista ginevrino Fabrice Gygi rappresentano la Svizzera alla 53a Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. Silvia Bächli presenterà i suoi disegni nel Padiglione svizzero ai Giardini di Castello e Fabrice Gygi esporrà una delle sue installazioni nella Chiesa di San Stae sul Canal Grande. Entrambi i contributi svizzeri sono sotto il patrocinio dell’Ufficio federale della cultura (UFC).

La Biennale di Venezia sarà inaugurata il 7 giugno e resterà aperta al pubblico fino al 22 novembre 2009. Silvia Bächli, nata a Baden/AG nel 1956, ha studiato a Basilea e Ginevra e dal 1993 ha una cattedra all’Accademia d’arte nazionale di Karlsruhe. Con il disegno, che sviluppa con coerenza da oltre tre decenni, Silvia Bächli ha ottenuto notorietà internazionale. Per le sale del Padiglione svizzero ai Giardini di Castello, l’artista presenta disegni realizzati dal 2008 al 2009 in una forma installativa che permette un approccio rappresentativo alla sua opera figurativa.

Nato a Ginevra nel 1965, Fabrice Gygi è da tempo tra i principali artefici della scena artistica svizzera ed è noto anche a livello internazionale. Le sue performance, installazioni e opere grafiche sono una reazione densa di significati e irritante al contesto situativo. Per la Biennale di Venezia l'artista realizza un'installazione nella Chiesa di San Stae che rievoca come lo spazio di una chiesa è destinato ad ospitare valori intellettuali e materiali, in tempi sereni ma anche in periodi di crisi.

In occasione della partecipazione svizzera alla Biennale di Venezia, l'Ufficio federale della cultura pubblica: Sulla mostra di Silvia Bächli nel Padiglione svizzero il volume "Silvia Bächli – das" per i tipi della casa editrice Lars Müller Publishers, Baden. Immagini scattate nell’atelier dal 2008 al 2009 e una citazione della scrittrice danese Inger Christensen consentono di dare uno sguardo all’attività dell'artista (136 pagine, ISBN 978-3-03778-155-5).

Sulla mostra di Fabrice Gygi nella Chiesa di San Stae il volume dal titolo "Fabrice Gygi – A Manual", contenente disegni e schizzi dell'artista per i tipi della casa editrice jrp/Ringier, Zurigo (ISBN 978-3-03764-057-9).

Fabrice Gygi Lo spazio monotremo

Christophe Kihm, Parigi

Entrando nella Chiesa di San Stae, il pubblico della Biennale di Venezia farà un'esperienza: una struttura aperta, posata a terra, composta di armadi e griglie di ferro, delimiterà il suo percorso nello spazio e guiderà il suo sguardo (potrà circondarla, percorrerla, attraversarla, guardarla da diverse prospettive). La struttura occupa il centro geometrico dell'edificio. Essa lo ricentra e lo decentra, temporaneamente, segnando fisicamente le sue delimitazioni e rimettendole in gioco simbolicamente. È un luogo di stoccaggio, in attesa di oggetti che lo riempiano e di individui disposti a classificarli o manipolarli. È un luogo mobile e mobilitabile, attuale nella sua presenza e potenziale nel suo uso. Questi sono, allo stato grezzo, i punti cardinali dell'esperienza che il pubblico potrà fare. Non si limiterà ovviamente alla semplice ripetizione di questa localizzazione, ma prenderà tutt'altro risvolto non appena verrà attivata la trappola dello spazio "monotremo", questo tipo di spazio singolare che l'artista non ha cessato di costruire e sviluppare nel suo lavoro.

Fabrice Gygi ha compiuto i suoi primi passi di artista alla stregua di un animale strano alla ricerca del suo habitat e della sua specie. Nel 1994, produce l'ultima tavola della serie di lavori grafici Psycopompe, che rappresenta un ornitorinco stilizzato con quattro zampe prominenti: "Utilizzavo questo motivo come firma, alla scuola di arti decorative. Questo animale mi faceva da segno zodiacale, in una relazione di identificazione e di scambio. È una creatura appartenente alla famiglia dei monotremi che fa da legame tra l'uccello e il mammifero. Depone le uova, ma allatta i piccoli 1". Così tra "motivo" e "firma", "scambio" e "identificazione" si mobilitano immediatamente nella sua pratica e nella sua opera uno spazio fisico e simbolico, che si potrebbe considerare a sua volta "monotremo". In questo spazio sono interconnesse le prerogative di due ordini separati e contradditori: è un luogo di transizione dove si realizza una relazione di scambio tra un ordine e un altro, da dove scaturisce un'anomalia che perturba categorie, repertori e localizzazioni.

Una prima operazione precisa questo processo creativo e l'orienta su un piano formale: "Ritrascrivere le cose osservate nel mondo" in un intento di "realismo 2 ". Per costruire i suoi oggetti e dare loro forma, l'artista impiega dunque trascrizioni e rimandi, ma procede anche alla "trasformazione" e al "miglioramento" di elementi preesistenti, mediante la "semplificazione" e la "caricatura". Questa esigenza realista implica l'osservazione e l'esperienza secondo i principi del rimando: le opere di Fabrice Gygi sono ricavate dal mondo, conservano l'impronta di altri oggetti che, trasformati da differenti operazioni di aggiunta e di sottrazione (materiali, formali, simboliche) rivengono al mondo, portatrici di nuove proposte di azioni, di nuove promesse di gesti e di nuove possibilità di esperienze. Esperienze, queste, che sono associate all'escursione, alla marcia, al combattimento, a condizioni estreme in cui il timore della realtà è legato allo sforzo, alla prova, e in cui il realismo è subordinato a un contesto ostile e a uno stato limite. Ma questi spostamenti non sono esclusivamente fisici; riguardano i segni e applicano distorsioni, aggiunte e derivazioni a oggetti che popolano il mondo: ne guadagnano in potere ed efficacia che migliorano l'ordinario, in polisemia e multifunzionalità che rendono le cose più complesse, in neutralizzazione che interroga e inquieta.

Questo gioco sui segni riguarda i loro significati e significanti. Passeremo così insieme a Fabrice Gygi dal campeggio all'accampamento, poi dall'accampamento al campo. Gli attributi di un cortile di scuola potranno diventare quelli di un cortile di prigione e ancora, osservando altre derivazioni, uno strumento di soccorso potrà trasformarsi in arma da combattimento. Ma sempre, dall'osservazione alla trasformazione, avviene un passaggio, uno scambio che, sul piano tecnico (montabile / smontabile, gonfiabile / sgonfiabile), fisico (mobile / immobile), politico (libertario / autoritario) o morale (emancipatore / conformista), segnano un nuovo stato delle cose... Due lati opposti si combinano nell' estensione delle forme e nell'intercambiabilità delle funzioni: lo "spazio monotremo" scaverà il suo spiraglio sottomettendo l'accostamento degli elementi contradditori ai principi di equivalenza, su tutti i piani.

Gli oggetti osservati da Fabrice Gygi rivengono al mondo dopo aver subito tutta una serie di trasformazioni per "fare segni", per segnalare qualcosa. Sono equipaggiamenti di sopravvivenza, di protezione, armi, strumenti, forme che mettono in guardia da un pericolo o una minaccia, che manifestano una posizione di autorità e/o di emergenza.
L'esigenza di realismo formulata dall'artista implica dunque una relazione di tensione massima tra l'ordine del discorso (un'organizzazione dei segni tale da costituire una specie di segnaletica) e l'ordine dell'azione (la funzionalità contrariata degli oggetti, ma anche la loro attesa di un possibile avvenimento futuro). Se la protezione è un'aggressione, la sicurezza una prigione, la parola chiave una parola d'ordine, allora il campo di forze prodotto dalla messa in tensione dei contrari regge un equilibrio altrettanto precario e preciso, minaccioso, pronto a rompersi o a esplodere da un momento all'altro. Il realismo di Fabrice Gygi nasce dall'amplificazione delle contraddizioni e dall'esaltazione delle tensioni: si produce all'interno dello spazio "monotremo", aperto all'accostamento dei contrari, a prodursi in una dimensione allegorica.

Fabrice Gygi crea oggetti, ma anche luoghi di stoccaggio e di ordine in cui gli oggetti potrebbero essere classificati o depositati, come l'opera presentata nella Chiesa di San Stae, che fissa una configurazione e una disposizione possibile. La funzione di questi mobili è fluttuante, al punto che occorre considerare che possono rinchiudere, ospitare, proteggere, nascondere, impedire, limitare, accogliere ... oggetti ma anche individui. E quale sarà allora la minaccia o il timore, il pericolo o la catastrofe, il desiderio o la volontà che ne motiverebbe l'uso? Domande senza risposte e prospettive dovute alla risonanza tra questo luogo di stoccaggio e lo spazio in cui è ubicata una chiesa.
Perché questa relazione da un luogo all'altro si effettua proprio in termini di scambio, di trasferimento di qualità in cui lo stoccaggio diventa caratterizzante e nuovo centro di una chiesa che, al contrario, determina le sue condizioni di presenza e di leggibilità (in quanto luogo liturgico, storico e sociale). Questa doppia limitazione partecipa a tutti gli effetti alla messa in tensione proposta dall'artista, maniera di determinare un "posto" per l'oggetto prodotto (in quanto dotato di nuovi limiti e di nuove localizzazioni), ma anche di fissare la sua apparizione, presentazione e presenza nel suo rapporto con l'altro (l'ordine di stoccaggio e quello della chiesa).

È in questa unione dell'Uno e dell'Altro che si determina la qualità "monotrema" dello spazio in cui l'esperienza dello spettatore sarà portata a consolidarsi. L'ambivalenza di questo spazio non fa che prolungare l'ambivalenza degli oggetti che lo configurano e lo ambientano (i mobili di stoccaggio in attesa, vigili, le loro qualità contraddittorie implicanti innumerevoli interrogativi legati a numerosi avvenimenti potenziali). Questa ambivalenza è il motore dell'inquietudine, intrinseco dell'esperienza di questi luoghi. Si fonda anzitutto sulla perturbazione dei valori prodotti dal dispiegamento di potenze contrarie. Se ciò che informa è anche ciò che deforma, si produce un malessere, e l'equilibrio prodotto sprigiona una profonda ambiguità. Lo sguardo è aggredito, ma il malessere è critico: in questo lo spazio monotremo di Fabrice Gygi è anche una trappola morale.

1 Conversazione con Christophe Chérix in "Self-Tattoos", Cabinet des estampes du Musée d’art et d’histoire.
Ginevra 2001. 2 op. cit.

Photo: Dominique Uldry

Dal 3 al 6 giugno 2009 le rappresentanti e i rappresentanti della stampa internazionale hanno accesso in anteprima alle mostre allestite nel Padiglione svizzero ai Giardini di Castello e nella Chiesa di San Stae sul Canal Grande.

Per informazioni:
Addetto stampa: Agentur & Kunst, Oliver Wick, tel. +41 79 656 20 95, o_wick@bluewin.ch

Responsabili dei contributi ufficiali della Svizzera alla Biennale di Venezia:
Urs Staub, Capo Sezione Produzione culturale, Ufficio federale della cultura, Hallwylstrasse 15, 3003 Berna, tel. +41 31 322 92 70, fax +41 322 78 34, urs.staub@bak.admin.ch
Dr. Andreas Münch, Servizio Arte, Bundesamt für Kultur, Hallwylstrasse 15, 3003 Bern, Tel. +41 31 322 92 89; Fax +41 322 78 34; Email: andreas.muench@bak.admin.ch

Chiesa di San Stae
sul Canal Grande
dal martedì alla domenica, dalle 10 alle 19 (lunedì chiuso).

IN ARCHIVIO [7]
Mikola Zhuravel e Vitaliy Ocheretyanyy
dal 31/5/2011 al 26/11/2011

Attiva la tua LINEA DIRETTA con questa sede