In mostra la nuova serie di scatti dell'artista intitolata Tarots. Un work in progress dedicato alla rappresentazione dei 22 arcani maggiori del mazzo del Tarocco Marsigliese. La serie si apre con con l'arcano maggiore numero 3: L'Imperatrice, che viene proposta negli spazi d'ingresso del Castello in dimensioni giganti.
a cura di Franz Paludetto e Nicola Davide Angerame
E' come se io dovessi leggere nella Fotografia i miti del Fotografo, fraternizzando con loro, senza crederci troppo.
Roland Barthes, La camera chiara.
La nuova serie fotografica di Alessio Delfino si annuncia al Castello di Rivara con un'apparizione che ha il sapore di una epifania, di un disvelamento al quale i curatori hanno voluto dare il massimo risalto in termini di capacità di fascinazione.
La nuova serie s'intitola Tarots ed è un work in progress dedicato alla rappresentazione dei ventidue arcani maggiori del mazzo del Tarocco Marsigliese, del quale è stata forse la più alta espressione l'interpretazione commissionata nella prima metà del XV secolo da Filippo Maria Visconti, duca di Milano, e nei secoli usato a fini esoterici per la lettura del destino degli uomini. La serie si apre con il primo scatto realizzato, ovvero con l'arcano maggiore numero III L'Imperatrice, che viene proposta negli spazi d'ingresso del Castello di Rivara in dimensioni giganti. La statura non rappresenta un esercizio di stile ma è una dichiarazione di sudditanza dell'essere umano nei confronti del destino e del maschile nei confronti del femminile. Almeno così intende la questione dell'eterno femminino il giovane artista savonese, che nella sua copiosa produzione ha sempre messo al centro la donna come oggetto di studio, estrapolandola da quel luogo di desiderio esplicito e consumistico a cui molta fotografia l'ha relegata.
La sua esaltazione della bellezza muliebre e del nudo artistico, un genere che non impedisce di giungere ad esiti concettuali, risulta funzionale ad uno scopo non dichiarato quanto evidente se si conosce il lavoro fin qui fatto da Delfino: la conoscenza. Non si tratta di un sapere del bello, del fisico, della materia umana rappresentata, bensì di un sapere esoterico del vero, dell'autentico, dell'origine. In questo senso, i Tarots giungono in degna successione alle Dee della serie Metamorphoseis, esposte nel 2008 al Castello di Rivara in una mostra personale negli spazi delle scuderie e ora in collezione permanente del Museo. In quella serie Delfino dedicava attenzione alla pura fisicità, ai tratti somatici del corpo muliebre da cui si evincevano caratteri, personalità e temperamenti. L'artista si impegnava ad assemblarli e ad abbinarli in un gioco interpretativo tra realtà quotidiana (quella delle “modelle della porta accanto”) e le figure mitologiche di un Pantheon superato ma ancora attivo sulla nostra civiltà. Questo “gioco” chiamava in causa una fisiognomica istintuale, un “sapere della sensibilità” che sarebbe riduttivo chiamare intuizione.
Lo si potrebbe definire come un dialogo interiore alla ricerca del senso di un corpo, quello della modella, che diventa immediatamente espressione di una “persona”. Sposando inconsapevolmente le teorie del corpo della filosofia contemporanea Delfino introduce nella fotografia un elemento chiave: quello del sapere inteso come “relazione”. Anche nei Tarots la fotografia relazionale di Delfino si alimenta del rapporto tra l'artista e la modella in modi che sono eterodossi rispetto alla “pratica” della fotografia (pubblicitaria) che dei corpi sfrutta le apparenze. Delfino parla, conosce, ascolta le aspirazioni profonde delle sue donne, poi ci lavora sopra, creando per loro l'ambiente che più si adatta. L'Imperatrice è il primo esempio di questa ricerca sapienziale legata al mondo dei tarocchi, che affascina l'artista per il suo potere rivelatorio, non di una realtà oggettiva ma di un mondo di simboli che rimandano all'interiorità ed alla sensibilità.
Così come il mondo è “rappresentazione”, anche la vita e il destino degli uomini è soggetto al potere del simbolico. Gli arcani maggiori con cui Delfino mantiene un dialogo interpretativo iconologico sono i tarocchi marsigliesi. Se in Metamorphoseis l'artista usava la posa neutrale e la serialità, per intrecciare un classicismo serafico ed una , in Tarots l'esito è più raffinato e propenso alla plasticità. Delfino accoglie le istanze dei tarocchi utilizzando certe ispirazioni e atmosfere di alcuni suoi punti di riferimento, da Erwin Olaf a Helmut Newton, passando per David LaChapelle. Se del primo Delfino ammira le atmosfere vintage ed eleganti, evocative e misteriose, del secondo apprezza l'uso di modelle dotate di una bellezza post-femminista, più consapevole e dai tratti aggressivi, decisionisti, manageriali, perfino sadici.
Dell'ultimo maestro citato Delfino assume invece un certo gusto per il gioco, per l'ammiccamento (che nell'appropriazione viene appena accennato) e per un barocchismo che, se in LaChapelle conosce i noti eccessi ultrapop e manieristi, in Delfino resta sommesso per non rompere l'equilibrio imposto dal serafico afflato delle carte del destino. Un flatus voci, quello de L'Imperatrice, che irrompe da una simbiosi postmoderna in cui la fotografia sfrutta ogni sua possibilità per creare uno spazio in cui i sensi e i simboli possono aleggiare con drammatica leggerezza, senza perdere la profondità di una sensazione originaria e senza piombare nei fasti desueti della retorica.
Come fa notare Roland Barthes in un suo libro capitale, per chi guarda “è come se” dovesse “leggere nella Fotografia i miti del Fotografo, fraternizzando con loro, senza crederci troppo”. La fotografia di Delfino produce esattamente un tale effetto di fascinazione non violenta, di seduzione giocosa, di seria ilarità dando all'immagine la possibilità d'essere letta su più piani, stratificandone così il senso e annunciando una fotografia capace di unire glamour e suspense. Come se la bellezza fosse soltanto la maschera di una verità più profonda. L'Imperatrice ne è il primo frutto e rappresenta una prima porta d'ingresso dentro il lavoro di uno dei fotografi di nuova generazione più interessanti della scena italiana.
Opening 10 ottobre 2009, a partire dalle ore 18
Castello di Rivara Centro d'Arte Contemporanea
Piazza Sillano, 2 Rivara
Orari mostra:Sab/Dom 10.30-12.30; 15-18
(telefonare al num. 0124 31122 per prenotare la visita)