Per Francesco Monico cio' che e' importante e' indagare i nessi tra tecnologia e coscienza, Maria Elisabetta Novello usa la cenere per esplorare la linea sottile dell'invisibile tra tempo e memoria, Zoltan Kemeny affronta il dialogo tra forma e pensiero.
a cura di Martina Cavallarin
alla presenza degli artisti
Zoltàn Kemény
Francesco Monico
Maria Elisabetta Novello
Catalogo in galleria con testo critico di Martina Cavallarin e Cristina Trivellin
GERMINAZIONI
Di Martina Cavallarin
L’arte ha un suo respiro biologico, una sua genesi e continue germinazioni di movimenti, stili e impressioni che si ripetono con cadenza concentrica rispondendo a movimenti trasversali. E in questo senso Germinazioni, pur essendo una mostra che esibisce tre artisti differenti per generazioni e linguaggi, contiene il suo elemento corale nello svolgimento di una logica interna alle sue premesse che sono quelle che costituiscono l’ossessione di Francesco Monico, Zoltàn Kemény e Maria Elisabetta Novello, ovvero una ricerca sulle relazioni, sulla natura, sui materiali organici.
Per Monico ciò che è importante è indagare i nessi tra tecnologia e coscienza, Novello usa la cenere per esplorare la linea sottile dell’invisibile tra tempo e memoria, Zoltan affronta il dialogo tra forma e pensiero. L’intenzione prevalente resta quella di unire le differenze attraverso la condizione di attraversamento della frontiera tra arte e vita.
Nel lavoro Tafkav di Francesco Monico la possibilità di amplificare la denotazione del livello cosciente dell’essere umano nella zona dell’artificiale ha una plurima valenza, ovvero quella di sostenere le illimitate e positive peculiarità della tecnologia, compiere un tentativo di matrice sinestetica sull’opera, usare la resistenza dell’arte per evolvere il senso della pratica artistica allargata e percorsa dalla scienza, dal suono, dalla bellezza inquietante dell’orchidea vanda cerulea.
L’opera di Maria Elisabetta Novello rappresenta una continua ri-declinazione del già accaduto, prima di tutto attraverso il ri-adeguamento della polvere di qualcosa che si trasforma in qualcosa d’altro. Il suo lavoro esprime un flusso controllato della storia, personale ed universale, mediante le relazioni ordinate ed organizzate delle linee, dei cerchi, della creazione che nella sua interezza sembra custodire l’energia vitale del mondo intero in un’unica immagine. Lo strumento principale del suo lavoro è già una dichiarazione di mistero, una composizione manuale che contiene in sé un’impronta di matrice fortemente concettuale. Nell’ornare e formare merletti di pigmento Novello compie un’operazione rituale, precisa, pensata, un atto di memoria, un dettaglio domestico che rallenta il tempo presente, rimbomba di passato, si va componendo nel futuro.
Zoltàn Kemény è un artista sapiente, conoscitore raffinato di tecniche e percorsi differenti avendo indagato materia, struttura, gestualità e forme. La sua pratica pittorica indaga le più svariate tonalità cromatiche compresse e “catalogate” in griglie geometriche che hanno il sapore di una partitura musicale, una scrittura fatta di toni e equilibri impressi su tavole di legno, un codice di poesia visiva colta e misteriosa. La consistenza della superficie impiegata è un grado ulteriore di svolgimento del suo alfabeto, un riconoscimento di originalità e stile che attraversa i grandi movimenti del Novecento per approdare ad una imparziale e lucida contemporaneità.
La concezione temporale dell’arte non è mai lineare presentando ritorni e ripetizioni, sincopi e deviazioni. Tuttavia la contemporaneità emette delle revisioni “dimenticate a memoria” per spirito sovversivo o strategie di tradimento, per un’ineluttabile spinta in avanti compiuta con l’elasticità di passi intelligenti e complessità connaturate. Germinazioni è una mostra che riflette su sé stessa attraverso tre livelli di coscienza differenti, tre tentativi solitari e solidali di compiere il balzo nel terreno fertile e straniante dell’arte strumento imperfetto e straordinario di abbandono di certezze ed entrata nel limbo crudo e necessario della perplessità e della perdita intese entrambe come pedine per mettere sotto scacco realtà e mondo.
TAFKAV
the artist formerly known as Vanda
Di Cristina Trivellin
Poco più di un anno fa, il 14 ottobre 2008, il quotidiano italiano Repubblica riportava
notizia che la commissione federale etica del parlamento svizzero ha decretato che “il
mondo vegetale possiede dignità e valore morale”(condannando ogni forma di
violenza nei suoi confronti, compresa la decapitazione di un fiore). Come spesso
accade, gli artisti anticipano gli eventi, cogliendo tra le righe i sottili cambiamenti di
sensibilità, le necessità più profonde dell’umano incedere.
Francesco Monico, fondatore e direttore della Scuola di Media Design & Arti
Multimediali della Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, è impegnato in una ricerca
sulla technoetica, intesa come ricerca artistica che esplori le relazioni tra tecnologia e
coscienza. Tafkav è un opera del tutto particolare, un’installazione costituita da un
fiore d’orchidea vanda cerulea collegata mediante sensori a un misuratore di elettricità
galvanometrica della pianta, a sua volta collegato ad Arduino. L’hardware traduce gli
impulsi in Max Msp, e richiama una sequenza di sonorità preregistrate nel computer.
L’amplificazione di tali suoni, talvolta impercettibili, permette di percepire una sorta di
linguaggio poetico, simbolo di possibilità di scambio pianta–uomo.
L’opera è ricca di
stratificazioni culturali e livelli di lettura, ma stupisce notare come ogni volta che essa
viene esposta, il pubblico -eterogeneo per età e formazione- ne comprenda
intimamente il senso. Essa pone l’accento sulla necessità e la possibilità di
un’estensione della coscienza umana nel cosiddetto non-umano -a partire dalla
comunicazione interspecie- e sottolinea come la tecnologia non costituisca un limite:
lontano dal portare all’abbruttimento dell’uomo, essa può arrivare a favorire questo
processo, aumentandone esponenzialmente le possibilità percettive.
L’operazione, che sarebbe riduttivo chiamare artistica, in quanto attraversa diverse
discipline legate alla conoscenza, è uno dei rari esempi italiani di avanguardia di
rottura, cioè quel nuovo pensiero prodotto da una neospecie di filosofi/artisti/scienziati
dall’approccio sincretico che sentono la necessità di abbattere certi limiti
epistemologici appartenenti al secolo passato.
Uso il termine avanguardia anche
perché occorre ricordare che proprio dalle avanguardie storiche del secolo scorso
parte quella svolta epocale, portata in alto da Duchamp, che passa dalla
rappresentazione alla presentazione dell’oggetto. Una presentazione che cambia il
senso del fare artistico e che dimostra quanto l’arte possa da sempre portare in sé i
semi del cambiamento. Uno dei punti saldi di questo nuovo pensiero è lo spostamento
dell’asse antropocentrico. Monico, puntando il riflettore su una pianta che in questo
caso costituisce una metonimia, (una parte per il tutto), cambia le carte e inverte il
rapporto sfondo/primo piano, dove la natura è finalmente protagonista in uno sfondo
umano, celebrando la possibilità di interazione vicendevole e il rispetto per il diverso,
l’altro-da-sè, primo passo di un lungo cammino verso un postumano decisamente
auspicabile.
Infatti, come scrive Roberto Marchesini, leggere l’uomo come sistema aperto, in
grado cioè di interrompere il vicolo cieco del narcisismo (ossia della riflessione)
autoreferenziale, è a tutti gli effetti un nuovo modo di interpretare sia la filogenesi che
l’ontogenesi, riconducendo la peculiarità della nostra specie non allo svolgimento (exvolvere
)di essenze primigenie, quanto piuttosto a un processo di meticciamento con il mondo.
Inaugurazione 12 novembre ore 18.30
Mya Lurgo Gallery
Piazza Riforma 9, Lugano, Svizzera
Orario: lun-mer e ven, 10-14, mar-giov 15-19, sab 10-12,30
Ingresso libero