Cafe Kaputt. Tre grandi installazioni, tre sculture e tre grandi collage fotografici a forma di diamante sono presenti in galleria nello spazio al piano terra. Essi ritraggono memorie ed emozioni, fatti e mitologia, pensieri, citazioni e vite che intervengono e co-esistono. Il secondo appuntamento del ciclo di mostre 'Gli Abitanti del Museo' e' dedicato a un gruppo di opere di Emilio Tadini, Color & Co. del 1969, Archeologia del 1973, Museo dell'uomo del 1974 e L'occhio della pittura del 1978, esposte dagli anni Settanta ad oggi in mostre personali e collettive presso importanti musei.
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Lothar Hempel - Cafe Kaputt
La Galleria Gio Marconi è lieta di presentare la mostra personale dell'artista Lothar Hempel, intitolata “Cafe Kaputt”.
Tre grandi installazioni, tre sculture e tre grandi collage fotografici a forma di diamante sono in mostra in galleria nello spazio al piano terra. Essi ritraggono memorie ed emozioni, fatti e mitologia, pensieri, citazioni e vite, che intervengono e co-esistono, fertili o sterili. Le immagini di Hempel si radunano nel mezzo di tutto questo, come acqua in grotte sotterranee.
E' un caos, un punto zero a partire dal quale tutto e niente è possibile. Hempel dice “I miei disastri sono soprattutto bellissime e deliberate catastrofi. Sono momenti di passaggio da una possibilità ad un'altra e semplicemente segnano un momento tra le due”. Se il Modernismo ha messo in secondo piano il contesto a favore del contenuto, Hempel fa il contrario – ammassando immagini così piene di riferimenti e idee che è difficile sapere da dove iniziare a guardarle. Lothar Hempel tratta il mondo come un gigante ready-made in movimento e incoraggia l'arte – in quanto oggetto, idea o stile – a smaterializzarsi in differenti reami. Hempel chiede a chi guarda niente di meno che diventare allo stesso tempo attore e spettatore, assumendo un ruolo attivo nell'interpretazione e creazione di significato: un significato che emerge nel suo lavoro in modo simile a come emerge in un sogno - come lampi d'intuizione, momenti di lucidità/chiarezza e attraverso frammenti, connessioni, segni e suoni dell'ambiente in cui ci troviamo.
Un estratto da un'intervista tra Emma Stern e Lothar Hempel mette in luce quanto detto sopra: ES: “Una volta hai detto che il tuo lavoro riguarda lo show business. Che vuoi dire con questo?” LH: “Lo Show business nei suoi vari aspetti è visto qui come una metafora. Mi diverte vedere l'Io entrare per scelta in un ruolo. Tu impersoni questo ruolo e nient'altro, ma lo stesso c'è un momento di estraniamento, un gap, qualcosa di fisico, anche se completamente astratto. E' una ferita che non smetterà mai di sanguinare. Un dramma senza fine. Quando tu dici “Io”, è come se entrassi in un teatro. E' troppo luminoso là sopra e ti accecherà. E' troppo caldo là sopra, e tu ti senti goffo e irrigidito, ma sei un professionista e vai avanti.
Alla fine ti prende il panico quando realizzi la presenza della folla davanti a te, che tu non puoi vedere, solo sentire, perché respira. Come un animale, eppure meccanica. Ma tu sei un professionista e quindi vai avanti. Il teatro è un macchinario. Il pubblico è parte di questo macchinario come viti, tubi, porte e puntelli e allarmi antincendio e tickets e piumini e fiori e altoparlanti e lampade. Il pubblico è parte di questo macchinario anche quando non sta seduto sulle sedie. Il pubblico è parte di questo macchinario persino prima che venga a teatro. Gli spettatori sono parte di questo macchinario dopo aver lasciato il teatro. Quando sono nelle loro macchine e quando guidano verso casa, fumando, sognando, dimenticando velocemente quello che hanno appena visto.” ES: “Aha, bene, e che cos'è Kafe Kaputt?” LH: “Cafe Kaputt è il luogo dove gli attori vanno quando lo spettacolo è finito.”
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Lothar Hempel - Cafe Kaputt
Gio Marconi Gallery is pleased to announce the first solo exhibition "Cafe Kaputt" of Berlin-based artist Lothar Hempel.
Three larger installations, three sculptures and three large diamond shaped photographic collages are on display in the gallery groundfloor space. They portray memories and emotions, facts and mythologies, thoughts, references and lives, that intertwine and coexist, fertile or sterile. In the middle of all this is where Hempel!s images gather, like water in subterranean caves.
It!s a chaos, a zero point from where nothing and everything is possible. Hempel says: “My disasters are mostly beautiful and deliberating catastrophes. They are transitions from one possibility to another and just mark a moment in between”.
If Modernism expunged context for the sake of content, Hempel does the opposite – cramming images so full of references and ideas that it is difficult to know where to start looking at them. Lothar Hempel treats the world like a giant ready-made on the move. He encourages art - as an object, an idea or an attitude – to dematerialise into different realms. He asks the viewer nothing less than to become both actor and spectator, therewith taking an active role in the interpretation and creation of meaning: a meaning that emerges in his work which is comparable to the way it emerges in a dream - as flashes of intuition, moments of clarity and through the fragments, connections, signs and sounds of our environment.
An excerpt from an interview between Emma Stern and Lothar Hempel sheds light on it: ES: "You once said somewhere that your work is about show business. What the hell do you mean with this?" LH: "Show business in it's various aspects is meant as a metaphor here. I enjoy to see the self as a role that one becomes by choice. This role is you and nothing else, but still there is a moment of estrangement here, a certain gap, something physical, even though entirely abstract. It's a wound that will never stop bleeding. An endless drama. When you say I, it is as if you enter a stage. It's too bright up there and you'll be blinded. It's too hot up there and you feel awkward and stiff, but you are a professional and so you pull through. Eventually you panic as you realise the presence of the crowd in front of you which you can't see, only hear, as it breathes.
Like an animal, and yet mechanical. But you are a professional. You'll pull through. The stage is a machinery. The audience is part of this machinery like screws and pipes and doors and props and fire alarms and tickets and feathers and flowers and speakers and lamps. The audience is part of this machinery even when they are not sitting in their seats. The audience is part of this machinery before they even come to the theater. The audience is part of this machinery after they have left the theater. When they are in their cars and when they drive home, smoking, dreaming, slowly forgetting what they just have seen." ES: "Aha, well, and what is Cafe Kaputt?" LH: "Cafe Kaputt is the place where the actors go when the show is over."
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Abitanti del museo n.2 - Emilio Tadini
Il secondo appuntamento del nuovo ciclo di mostre, Gli Abitanti del Museo, sarà dedicato a un gruppo di opere di Emilio Tadini, Color & Co. del 1969, Archeologia del 1973, Museo dell’uomo del 1974 e L’occhio della pittura del 1978, esposte dagli anni Settanta ad oggi in mostre personali e collettive presso importanti musei. Queste opere hanno testimoniato il lavoro di Tadini in mostre rappresentative dell’arte italiana come “20 Artistas Italianos” del Museo de Arte Moderno di Città del Messico nel 1971, “Arte Italiana 1960-1982” alla Hayward Gallery di Londra nel 1982 e “Italics.Arte Italiana fra tradizione e rivoluzione 1968-2008” a Palazzo Grassi, Venezia nel 2008. Non solo, hanno anche fatto parte di mostre antologiche dedicate ad Emilio Tadini come quella itinerante tenutasi tra il 1995 e il 1996 nei tre musei tedeschi, l’Institut Mathildenhoe di Darmstadt, il Kulturhistorisches Museum di Stralsund e il Bochum Museum di Bochum e quella che si è tenuta a Milano a Palazzo Reale nel 2001.
Con questo nuovo ciclo di mostre, Gli Abitanti del Museo, Giorgio Marconi vuole essere più specifico e “provocante” nella revisione del lavoro svolto nei quarantanni dello Studio Marconi (1965-1992) partendo dall’analisi di opere esposte nei musei con una rilettura in base agli scritti dell’epoca e di oggi. Riprendendo l’idea dei “giornalini” dello Studio Marconi degli anni ’70 e inizio ’80, le mostre del ciclo degli Abitanti del Museo saranno accompagnate dai Quaderni della Fondazione Marconi. Il secondo numero dedicato a Tadini riproporrà una selezione di testi critici del passato tra i quali si segnalano quello di Guido Ballo e di Alain Jouffroy e due nuovi testi scritti appositamente da Arturo Carlo Quintavalle e Klaus Wolbert su Color & Co., Archeologia, Museo dell’uomo e L’occhio della pittura.
Al primo e al secondo piano della Fondazione Marconi saranno riproposte al pubblico insieme a documenti d’epoca quindici opere già esposte nei musei sopracitati. L’assenza totale della figura umana in Color & Co. rende la pittura stessa oggetto della critica pungente da parte di Tadini che la riduce a vasetti e vasche di colore dissociando così il colore dall’immagine e sottolineandone quindi la materialità ma che prende forma e “forme” nelle combinazioni dei colori: non c’è nessuna allusione metafisica, ma è solo rappresentato l’oggetto in quanto oggetto. In Archeologia messe in scena di oggetti nello spazio pittorico, la poltrona, la pianta, la maschera, il manichino come ricordi, per Tadini “archeologia” è rievocare la memoria. In Museo dell’uomo la scena si allarga, si moltiplicano i personaggi e gli oggetti volano in tutte le direzioni perdendo completamente il loro senso e la loro funzione. Un caos privo di angoscia e tristezza: una semplice constatazione dell’attuale condizione umana. Compaiono qui le parole che sconfinano dal testo e s’inseriscono nella pittura quali immagini come riferimenti all’universo letterario del Tadini scrittore.
Emilio Tadini
Nato a Milano nel 1927, si laurea in lettere e si distingue subito tra le voci più vive ed originali nel dibattito culturale del secondo dopoguerra. Nel 1947 esordisce su “Il Politecnico” di Elio Vittorini con un poemetto, cui fa seguito un’intensa attività critica e teorica sull’arte (Possibilità di relazione,1960; Alternative attuali, 1962; l’ampio saggio Organicità del reale, su “Il Verri”). Nel 1963 esce il suo primo romanzo, Le armi l’amore (Rizzoli), cui seguono nel 1980 L’opera (Einaudi), nel 1987 La lunga notte (Rizzoli), nel 1991 il libro di poesie L’insieme delle cose (Garzanti) e nel 1993 l’ultimo romanzo, La tempesta (Einaudi). Al lavoro critico e letterario Tadini affianca sin dalla fine degli anni Cinquanta la pratica della pittura. La sua prima esposizione personale è del 1961 alla Galleria del Cavallino di Venezia. Fin dagli esordi sviluppa la propria pittura per grandi cicli, costruendo il quadro secondo una tecnica di sovrapposizione di piani temporali in cui ricordo e realtà, tragico e comico giocano di continuo uno contro l’altro.
Dal 1967 espone regolarmente allo Studio Marconie nel corso degli anni Settanta tiene esposizioni personali all’estero, a Parigi, Stoccolma, Bruxelles, Londra, Anversa, negli Stati Uniti e in America Latina, sia in gallerie private che in spazi pubblici e musei. È presente in numerose collettive. Dopo la partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1978 e nel 1982, allestisce una grande personale alla Rotonda di via Besana nel 1986, dove espone una serie di tele che preannunciano i successivi cicli dei Profughi e delle Città italiane, quest’ultimo presentato poi nel 1988 alla Tour Fromage di Aosta. Nel 1990 espone allo Studio Marconi sette grandi trittici. Del 1992 è la mostra Oltremare alla Galerie du Centre di Parigi. Nel 1993 la mostra Oltremare, con nuovi quadri, è riproposta da Marconi a Milano. Nel 1995 espone alla Villa delle Rose di Bologna otto trittici del ciclo Il ballo dei filosofi. A partire dall’autunno del 1995 fino all’estate del 1996 ha luogo in Germania una grande mostra antologica nei musei di Stralsund, Bochum e Darmstadt, accompagnata da una monografia a cura di Arturo Carlo Quintavalle. Nel 1996 Il ballo dei filosofi è riproposto da Marconi.
Nel 1997 tiene mostre personali presso la Galerie Karin Fesel di Düsseldorf, la Galerie Georges Fall di Parigi e il Museo di Castelvecchio a Verona. Gli ultimi cicli esposti sono quelli delle Fiabe e delle Nature morte. Nel 1999 presenta il ciclo delle Fiabe alla Die Galerie di Francoforte. Per alcuni anni è commentatore del “Corriere della Sera” e dal 1997 al 2000 è presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 2001 gli è dedicata un’ampia retrospettiva nel Palazzo Reale di Milano. Muore nel settembre 2002. Nella primavera del 2005 il Museo Villa dei Cedri di Bellinzona gli dedica una grande mostra antologica. Nel 2007 viene inaugurata a Milano la mostra Emilio Tadini 1960-1985. L’occhio della pittura, negli spazi espositivi delle Fondazioni Marconi e Mudima e dell’Accademia di Brera.
PressOffice: Cristina Pariset
T.+39 024812584 F +39 024812486 Cell.+39 3485109589
cristina.pariset@libero.it
Inaugurazione giovedì 19 novembre 2009 dalle 18 alle 22, con una performance dell'artista
Gio' Marconi
via Tadino, 15 Milano
mart-sab 10:30-12:30, 15:30-19
ingresso libero