Room Arte Contemporanea
Milano
via Alessandro Stradella, 4
02 36516000 FAX 02 36516000
WEB
Manuel Scano
dal 3/3/2010 al 29/3/2010
lun - sab 10-13 e 14,30-17,30 o su appuntamento

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Room Arte Contemporanea




 
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3/3/2010

Manuel Scano

Room Arte Contemporanea, Milano

Tinkerbell. "Giravamo di continuo, poco convinti della disposizione degli oggetti, ma non sapevi esattamente come li volevi, la casualita' era difficilissima da ottenere, e ad ogni modo nessuno poteva sapere..." Da un racconto di Vincenzo Latronico.


comunicato stampa

Mostra personale

LA STAGIONE DEGLI OGGETTI

Accatastati nel capannone c’erano un ventilatore che girava a vuoto con l’inutilità aggressiva di una saponetta, nani da giardino di svariate dimensioni, un ficus ornamentale incastonato in un cilindro di cemento, una miriade di pennarelli secchi, uno scheletro d’acciaio che ignorava tutto l’abbandono del mondo, dei pedali musicali, un sacco di statuette, una tastiera giocattolo, un paio di sonate notturne ed alcune altre cose. "Voglio che lo faccia tu perché sei più bravo di me con le mani." "Vuoi che lo faccia io perché fai sempre le cose tramite gli altri." Lo ho premuto. Ogni tanto i fari delle macchine intermittenti sul cavalcavia proiettavano la nostra ombra al di là del guard-rail, così obliqua ed allungata che attraversava quasi tutto il giardino, lambiva la facciata dell’edificio, sfiorava il tetto. Andavamo spesso a mangiare sul tetto, prima, quando dentro ancora c’era spazio. Ai tempi al ventilatore si attaccavano delle cose che agivano al posto tuo. Già avevi pensato di far scoppiare le cose, di constringerle a svelare la loro segreta virtù. Ma il capannone, dicevi, ti era indispensabile, e comunque era ancora in corso d’opera, era ancora inerte. Ora che è pieno non ha più ragione di esistere, come le scatole. Sbattevi la testa contro le scatole. Gli elettroni corrono nei sintetizzatori e nei corpi stellari a pulsazione radiante e lungo i cavi del detonatore, agendo da soli come tutto il resto delle cose, come i fari e i ventilatori e gli oggetti lasciati a se stessi. Non capivamo le scatole. "Non capisco le scatole," ti dicevo. "Nemmeno io." Io nascosto io profondo io sdoppiato io un po’ es un po’ io e un po’ superio anche io e io no noto tostapane necessità taschino nonlosopportavamo mostarda damocle clericalisti stiracchiamento tolla lasciapassare rematori ridacchiavi viscidi diodi diodi diodi diodi diodi diodi diodi diodi dioscuri ripetizione ripetizione ripetizione ti ripeto che io non sono d’accordo con io quello che proprio non sopporto è io sono convinto che io nella vita voglio essere io del mio corpo cambierei io ascolto prevalentemente io il mio colore preferito è. La cosa difficile non è tanto costruire uno strumento quanto non costruirlo, con così tante cose tutte affastellate una qualche cassa di risonanza verrà a farsi comunque. I mattoni spessi dei muri portanti, la lamiera, la plastica. La questione dell’esplosivo era la più incerta, non ne eri soddisfatto. Forse una macchina per le demolizioni." Ma erano troppi passaggi, e troppo stratificati, e, per cui alla fine un bottone e basta. Prima di chiudere i portoni ti avevo aiutato a radunare ogni cosa mentre disponevi le cariche, strizzando gli occhi per la polvere. Giravamo di continuo, poco convinti dalla disposizione degli oggetti, ma non sapevi esattamente come li volevi. La casualità era difficilissima da ottenere, e ad ogni modo nessuno poteva sapere cosa sarebbe successo, se l’intensità sarebbe stata sufficiente. Ai concerti si applaude anche il soundcheck. Non riuscivo a capire come potessi fare una cosa del genere. "Dev’essere da tantissimo che aspetti questo momento." "Oh, sì, da tantissimo," mi hai risposto. "Dall’altro ieri". Che cosa aspettavi? Aspettavi che il tasto pulsasse e brillassero le cariche esplosive sepolte nella struttura del capannone. Aspettavi che l’edificio si squarciasse a beneficio della memoria di nessun microfono, aprendo voragini dalle quali sarebbero scaturite le vestigia accumulate, gli strumenti, i lavori, un singhiozzo incerto e caotico di cose proiettate verso se stesse, di regali, di scarti e frammenti. Graffette carta igienica strumenti musicali libri di Gandhi libri di Houellebecq cd masterizzati cd comprati cd presi in prestito cd rubati all’edicolante distratto dalla gonna di una passante bionda cd graffiati contro l’asfalto cadendo dalla bicicletta scatole in legno cartone e poliestere maschere appoggiate o impiantate chirurgicamente o erette con suppellettili e mucchi di effetti speciali pezzi di materiali poco noti casse di risonanza calce mattoni plexiglass linoleum vetri squassati cavi elettrici sezioni di tubature tele pennelli bacchette acquistate all’ingrosso al ristorante cinese saldatori tig a testina autoalimentante ventilatori sacchetti di plastica alberi finti adesivi bottoni miniature bambole carrozze resti immondizia scarti detriti rifiuti armati e amati e ritagliati e restituiti forse finalmente a una qualche forma di verginità: oggetti immacolati, oggetti senza storia, oggetti che racchiudono tutta la musica del mondo, giocattoli, giocattoli.

La stagione degli oggetti è un racconto di Vincenzo Latronico.

Vincenzo Latronico è nato a Roma nel 1984, vive e lavora a Milano. Ha studiato lettere e filosofia all’ universita Statale di Milano; ha tradotto, tra le altre cose, opere di Hanif Kureiski, E. E. Cummins e P. G. Wodehouse. Ginnastica e rivoluzione, il suo primo romanzo, è uscito per Bompiani nel 2008.

Inaugurazione: 4 Marzo 2010 ore 18:30

Room Galleria
via Stradella 4, 20129 Milano
Lun - Sab, 10:00 - 13:00 / 14:30 -17:30, o su appuntamento

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