Giardino dell'Eden. In mostra una serie di acquarelli dell'artista dove morbide creazioni indistinte si trasformano in strutture telluriche forate in piu' punti, diventando un cosmo notturno, sospeso.
Martina Essig (*1978) concentra in sé un’energia incredibile. Come se volesse assorbire del tutto luce, impressioni, emozioni, per poi catapultarle fuori con pennello e colore. La decisione con cui lo fa ti va sotto la pelle. Discorrendo con lei, si è colpiti dalla velocità con cui afferra un contesto e dal vasto sapere di cui dispone, un sapere legato tuttavia al luogo preciso da cui scaturiscono gli spunti. Martina Essig dunque non parla, agisce.
Lavora con un misto di acrilico e acquarello. Niente matita. Possiede forse venti pennelli di grandezza diversa, alcuni larghi anche dieci centimetri.
In occasione di una visita ad Alex Katz a New York, rimasi stupito dalla selva di pennelli sul suo tavolo da lavoro. Molti li comprava perché, credeva, avrebbero potuto ispirargli un motivo – soprattutto quelli larghi. Ma poi rimanevano inutilizzati.
Martina Essig conosce la forza seduttiva dei pennelli. I pennelli sono il prolungamento del suo respiro, dei suoi pensieri, delle sue idee e sensazioni. Ci sono lavori che lei esegue per terra: il più delle volte, però, fissa le strisce di carta con nastro adesivo su un’asse di legno e dipinge frontalmente.
Nel corso di un lungo pomeriggio le cose si chiariscono: quest’artista è in grado di scaricare a terra come un parafulmine. In altre parole: ha le radici in se stessa. Parliamo di una “verticalità” che la attraversa come una sorta di fune, permettendole di muoversi in ogni direzione. Martina Essig cerca e trova l’anarchico, ma si controlla come un derviscio che danza. L’acume concettuale del suo pensiero visivo può fluttuare in maniera eccitante: morbide creazioni indistinte si trasformano in strutture telluriche forate in più punti, diventano un cosmo notturno, sospeso (2008, 188,8 X 108,4).
Martina Essig si rifà a modelli. Quelli che trova, fotografa, attacca alla parete, porta in sé a volte per mesi. Ma ciò che più conta, è che nei suoi lavori questi modelli subiscono una trasformazione totale. Non è tanto il motivo a interessarla, quanto piuttosto il suo aspetto strutturale, forse anche la profondità di campo.
Tempo e spazio si compenetrano in maniera “digitale”. In Martina Essig questo ha a che fare non tanto con il sentimento, quanto con la percezione. Nell’oscurità notturna si può credere di riconoscere, nella parte inferiore, la curvatura del pianeta. La parte superiore è occupata da una finestra illuminata. Lo sguardo dentro l”universo” consiste in strisce e fasce verticali, un po’ titubanti, di un blu biancastro. L’artista ha usato matite colorate. Per me, nella mia interpretazione, si tratta di un’affermazione incredibile: i bambini usano matite colorate, fantasticano, gli scienziati immaginano, calcolano, cercano una “formula universale”, stanno di fronte a un enigma. L’immagine della finestra che l’artista ci pone davanti agli occhi è come la vibrazione ronzante e un po’ distorta di una “verticalità” misteriosa, carica di energia.
Chi mai parla, oggi, della bellezza di un’opera d’arte? Al suo posto, di certo, sono subentrate la veridicità, l’autenticità, l’intensità. Nel faccia a faccia con i lavori di Martina Essig, il concetto di “bellezza” si ripresenta e reca in sé, credo, qualcosa come un ”sentirsi commossi”. Credo che lei cerchi questo sentirsi commossi, ma non ne parli. Vuole arrivare alle radici dell’arte. Là dove tutto ha avuto inizio, con un’inequivocabile dichiarazione di presenza, un pensiero di presenza, una coscienza del presente.
Prof. Dr. Jean-Christoph Ammann
Traduzione di Paola Tedeschi-Pellanda
Inaugurazione 13 marzo 2010 ore 17
Laboratorio Kunsthalle Lugano
Salita Chiattone 18 - Lugano
giov-ven 14-19, sab 13-17, 15 maggio 17-22
Ingresso libero