La Generazione delle Immagini


6 - 1999/00 - Atmosfere metropolitane


Martí Peran



Nella cultura contemporanea esiste una specie di ingenua ossessione, consistente nel perseguire la creazione di situazioni interattive dove il pubblico sia invitato a sviluppare pienamente la propria soggettività e la democrazia trovi una singolare attuazione. Bisogna ricordare, però, che tutta l'esperienza contemporanea, nella sua regolazione egemonica di carattere tardocapitalista, si sostiene già su un'esperienza di interazione, come la compravendita, la transazione economica o, semplicemente, il consumo. In questo contesto ci sembra di enorme importanza cercare di individuare la vera direzione dell'apologia dell'interattività nell'arte contemporanea. Forse ciò che si presenta come una sottile speranza di libertà non è altro che un modo per riuscire a sopportare la pesantezza di sempre. La questione, evidentemente, non si può risolvere in modo sbrigativo: è necessario trovare prospettive di analisi che permettano di inquadrare la questione all'interno di misure ragionevoli. Mossi da questa intenzione, ci proporremo adesso di tentare una definizione delle parentele che si stabiliscono attualmente tra l'idea di città e quella di arte contemporanea, una coppia sospetta, carica di insidie. Per non perderci completamente nelle tenebre dell'astrattezza, utilizzeremo Barcellona come lontano riferimento ' non come un ortodosso caso di studio ' per esemplificare alcune delle idee che andremo ad esporre.
Un primo aspetto della questione si evidenzia nel carattere radicalmente urbano della cultura contemporanea. Per questa peculiarità - che in un certo senso si ribella davanti alla preminenza dell'aspetto visivo rispetto a quello verbale della cultura moderna - la contemporaneità appare come qualcosa di fortemente diffuso, dove non è più possibile distinguere tra generi e dove quelli che prima erano spazi plurali, tutti occupati da design, pubblicità, architettura, urbanistica, arte, antropologia o altre modalità di pensiero, adesso si è trasformato in uno spazio unico e singolare. In altre parole, la città contemporanea si è trasformata nel luogo naturale dove si è dissolta l'idea dell'arte, dove le sue pretese ontologiche sono andate in frantumi a favore di un qualcosa dal profilo mostruoso: la cultura contemporanea e basta. La prima relazione tra le nozioni di arte e di città, perciò, viene ad essere di semplice identità; ma questo felice coincidere non va interpretato come semplice coincidenza; se l'arte ' come le altre possibili discipline autonome moderne ' si è disintegrata nella città postomoderna, ciò è dovuto prima di tutto alla sua radicale mercantilizzazione, e la sua definitiva neutralizzazione è stata paradossalmente operata sotto l'epigrafe del fatto artistico. In realtà, tutta la città contemporanea si è di fatto stilizzata in modo eccessivo, arrivando al punto di offrirsi alla vista come uno spettacolo pronto per un consumo diverso. Parafrasando la scuola di Francoforte, la possibile efficacia dell'arte contemporanea è naufragata quando è stata ridotta all' idea stessa dell'arte trasformata in qualcosa di tanto vasto ed elegante da ammettere nel suo seno produzioni diverse che soltanto oggi sappiamo vedere ' consumare ' a partire dal loro fondo artistico. Paradigmi di tale estetizzazione sono il design o la pubblicità, che ovviamente si trasformano in qualcosa di terribile non in questi innoqui terreni, ma quando raggiungono l'ambito dell'informazione e della comunicazione. L'estetizzazione diventa definitivamente narcotica quando un telegiornale riduce l'informazione ad alcuni termini che impediscono di distinguere con chiarezza il valore del fatto raccontato, quando la notizia e l'annuncio pubblicitario da cui è seguita appartengono a uno stesso tempo narrativo. Sarebbe dunque un errore pensare di riuscire, nella contemporaneità, a eliminare l'idea dell'arte; si potrebbe dire, invece, che abbiamo assistito al suo definitivo trionfo, alla sua ingannevole diffusione, molto simile a una schiacciante colonizzazione. Una buona prova di ciò che abbiamo appena insinuato appare evidente se consideriamo il binomio arte-città in termini gerarchici e non di identità, ovvero se ci rendiamo conto dei fenomeni che si sviluppano quando la città appare come l'agente onnipotente, che dalla sua posizione di privilegio invoca l'arte per chiederle o esigere un qualche servizio da essa. In questa prospettiva, anche gli argomenti si mascherano astutamente (dietro le idee di patrocinio, sponsorizzazione, protezione, appoggio artistico) ma non riescono a nascondere l'ordine reale delle cose. Quando una città contemporanea, per esempio, è ossessionata dall'idea di possedere una grande infrastruttura per l' arte contemporanea (museo, Kunsthalle o altre varianti), al di là della retorica culturale che accompagna questo tipo di sforzi, è chiaro che il tentativo è prima di tutto quello di canalizzare un'interesse per i flussi turistici ed economici. Qualcuno si ricorda ancora di quei vecchi proclami illuminati sul disinteresse dell'esperienza estetica' Oggi come oggi, tutti, compresi gli epigoni dell'intellettualità organica dei partiti di sinistra, assicurano che l'importante è favorire l'industria culturale. Stando così le cose, in Spagna assistiamo, per esempio, all'invenzione della Biennale di Valencia da parte della destra più recalcitrante, e contemporaneamente all'organizzazione della Triennale di Barcellona da parte della sinistra più brillante della penisola. L'importante è garantire la presenza della città nella cartina geografica internazionale e l'arte contemporanea può essere uno dei più raffinati mezzi per raggiungere l'obiettivo. La città postmoderna è una città che dev'essere vista, e la sua promozione come centro culturale garantisce questa visualizzazione davanti al mercato affamato di spettacolo. In questo senso, in molte città del mondo l'arte contemporanea agisce in modo dichiarato come un elemento in più dello skyline promozionale. Barcellona, per una falsa tradizione di città artistica ' che si nutre di figure geniali come Gaudí, Picasso, Miró, Dalí, Tàpies - è particolarmente propensa a questa patologia. E' una città con un grande numero di artisti - nessuno lo mette in dubbio ' in cui si pretenderebbe che emergessero periodicamente personalità di un calibro pari a quello ' immenso ' delle figure sopra menzionate. Non è necesario definire alcuna politica o alcun programma, ma semplicemente vendere questa realtà perché essa stessa sia sempre più feconda. Nessuno sembra più ricordarsi che Picasso, Miró e persino Dalí, fuggirono in fretta dalla mediocrità del loro paese, e intanto tutti si stupiscono che gli artisti di Barcellona non vengano invitati ai grandi incontri internazionali. Qual è la rotella dell'ingranaggio che non funziona', si chiedono adesso, proprio quando hanno dotato la città di grandi infrastrutture (con esili bilanci) che non accolgono produzioni di artisti locali perché nessuno sa esattamente quanti di loro dovrebbero essere presenti, con quali criteri e per quale pubblico. Dal momento che Barcellona è senz'ombra di dubbio la città di Gaudí e di Miró, tutto il resto dovrebbe funzionare da solo se desidera mostrarsi al grande mercato globale. Grazie a questa eredità storica - quella dei maledetti geni - l' idea dell'arte contemporanea ormai fa parte dello skyline di Barcellona. per quanto il settore lamenti carenze di ogni tipo.
In opposizione a questo elogio della superficie - lo skyline - l'arte contemporanea può mantenere con la metropoli contemporanea una relazione di altro calibro, molto più profonda o, se si vuole, più esplicitamente vincolata al background della città. Questo è il vero bivio: o l'arte si sviluppa tra le crepe dell'esperienza reale o fa da involucro a un'operazione commerciale. In questo dilemma la posizione da prendere sembra ovvia, ma la sua facile soluzione non è esente da problemi. In primo luogo occorre ricordare che è relativamente facile rinnovare vecchie prospettive positiviste secondo le quali l'arte ' o la cultura in generale ' è una buona testimonianza del suo luogo e del suo tempo, come una specie botanica nel terreno più propizio. E' un concetto abbastanza lapalissiano, a cui è davvero fondamentale aggiungere che, accanto a questa funzione di testimone passivo, la cultura può anche esercitare un ruolo attivo come definitrice di un determinato presente in un luogo concreto. E' questa, dunque, l'ambivalenza che bisogna risolvere, e a nostro parere il parametro sul quale si può ancora oggi esercitare un gesto critico che permetta di puntare su determinate pratiche e determinati artisti e non su altri. Il background non dev'essere inteso come un fondo ontologico suscettibile di essere espresso grazie alla lucidità dello sguardo dell'artista, ma, esattamente al contrario, come qualcosa di magmatico, come un calderone dove si cuoce il reale, in perenne movimento e al contempo sempre in fieri. Il possibile impegno con il background non è di indole puramente espressiva, non è una questione di linguaggi e di meccanismi di simbolizzazione, ma è un impegno politico nel senso più generoso dell'espressione. In fondo è dove l'arte e la cultura contemporanea contribuiscono alla costruzione del presente, con tutti i loro paradossi, le loro tensioni e le inevitabili crepe.> Nel momento in cui si cerca di descrivere i meccanismi attraverso i quali l'arte contemporanea costruisce e fa parte del background di una determinata città, i migliori parametri che ci vengono in mente indicano sempre una direzione critica; ciò avviene quando le pratiche culturali in questione emergono come strategie per la trasformazione di alcune condizione date, o per la correzione di alcuni spazi convenzionali, o nello sforzo per la costruzione di spazio pubblico e di comunità in un senso volontariamente ampio e flessibile. Questo tipo di pratiche recuperano così la funzione pubblica dell'arte e sovvertono la funzione tradizionale di ciò che mal si definisce arte pubblica, la quale molto spesso pretende soltanto di abbellire ' estetizzare dicevamo prima ' il corpo già predeterminato della città.
A Barcellona, in questi ultimi anni, si sono sviluppate una serie di linee di lavoro che si devono chiarissimamente interpretare alla luce delle considerazioni che abbiamo riassunto. Ma accanto a questa costosa realtà bisogna riconoscere che la tradizione di un'arte spiccatamente formalista ed essenzialista ' e di conseguenza molto museografica - continua ad essere potentissima. Qualcuno ha detto che in Spagna l'arte contemporanea non è altro che il fronzolo risultante dallo sforzo di alcuni artisti cattolici nel fare un'arte protestante. La diagnosi, a nostro giudizio, calza a pennello. E ciò obbliga ad agire con molta cautela, perché non c'è niente di strano che questo background ormai consolidato possa essere la base sulla quale si produce l'immediatezza.
In qualsiasi caso, e oltre ad approfittare di questa opportunità per elogiare il lavoro chiaramente politico di giovani artisti come Josep M.Martín, Javier Peñafiel o Ester Partegás, o per proseguire fino a riconoscere la stessa matrice nel calvinismo apparente di Jordi Colomer, Joana Cera, Domènec o Montse Soto, forse la cosa più interessante è segnalare che; di questi tempi, le linee di lavoro impegnate nelle pieghe del reale sono soggette a un'autocritica molto opportuna. Oggi non è più possibile procedere a convocare gli amici a un party relazionale e considerare questo un progetto validissimo. In un modo certamente lento ma effettivo si sta sostituendo la mera interazione ludica ' quella che più facilmente trasforma l'ipotetico incontro gratuito in semplice consumo di esperienza artistica ' con l'interazione canalizzata attraverso l'informazione e la stimolazione di progetti.