La Generazione delle Immagini


6 - 1999/00 - Atmosfere metropolitane


Roberto Pinto



Negli ultimi anni la città italiana più importante per l'arte contemporanea è stata Milano nonostante questo campo espressivo non sia quasi mai assurto all'onore delle cronache, surclassato da altri aspetti della creatività, più 'produttivi' e legati all'industria, quali il design, la moda, la pubblicità. Eppure, a dispetto del modo silenzioso con cui sono state realizzate la maggior parte delle cose, Milano, soprattutto grazie alla sua rete di gallerie private, è stato uno dei centri più interessanti a livello europeo. Anche solo per restare all'interno della cronaca degli ultimi anni, Milano ha 'allevato' (almeno per la maggior parte del loro percorso) artisti diventati star come Maurizio Cattelan o Vanessa Beecroft.
Se è vero dunque che la città è dotata di un humus fertile, resta tuttavia difficile per gli artisti riuscire a confrontarsi e a proporsi a livello internazionale: i sopracitati Cattelan e Beecroft sono andati a cercare la loro fortuna a New York, anche se, ad onor del vero, non mancano esempi di artisti stranieri residenti stabilmente in Italia. A Milano la presenza, ingombrante e invadente, di un'industria di produzione di immagini a volte ha influenzato l'arte in modo negativo, con la conseguente proliferazione di prodotti di imitazione (quanti' troppi artisti si sono accodati nel costruire 'oggetti' pseudo-design o sbiadite riproposizioni di più aggressive e seducenti immagini della pubblicità e della moda). Ma altrettanti sono stati i momenti in cui questa presenza, e l'interscambio che ne deriva, è diventata importante anche per gli stessi artisti. In questi anni abbiamo visto nelle opere un maggiore interesse nei riguardi del reale, conseguenza anche della contiguità con un mondo pragmatico di una città legata all'economia. Ovviamente le opere più interessanti non sono tanto quelle che illustrano processi produttivi o che si sono 'fatte usare' accettando un annullamento delle proprie precipue caratteristiche, ma quelle basate sull'interazione con persone e situazioni, quelle che riflettono sui problemi e cercano di affrontare temi di interesse generale. Sarebbe però un errore pensare a questi artisti come vicini a un passato di impegno politico: è sparita la radicalità che gli artisti mettevano nelle loro opere negli anni Sessanta e Settanta per raccontare la società; un grigio diffuso si è sostituito al bianco e nero e le opere, pur mantenendo vigile uno sguardo critico, hanno accantonato ogni substrato ideologico. Il ritorno al reale significa cercare di guardare il nostro mondo (inclusi i media che ce lo raccontano), magari con l'intenzione di decostruirlo cercandone punti deboli e motivi di tensione; ma soprattutto rompere con l'abitudine a guardare unidirezionalmente il nostro universo sensibile senza aver voglia di spostare lo sguardo.
Ed è interessante partire dallo sguardo sul reale adottato da alcuni artisti arrivati in Italia da Paesi più poveri. E' molto difficile trovare un punto di vista privilegiato, che li accomuni; si potrebbe pensare che questi artisti si sono trovati troppe volte inchiodati da una realtà senza troppi spiragli aperti per potere fare dell'arte che tenda ad occuparsi ancora di problemi sociali (troppo quotidiani per loro). Ma, quando meno te lo aspetti, ci sono degli affioramenti di quella realtà, come il lavoro Rumena di Laura Matei, una specie di sogno ad occhi aperti. Anzi un sogno ad occhi chiusi: chiusi per impedire di guardarsi attorno per vedere quanto la realtà italiana è distante dal sogno e quanto questo sogno ' con una parte un po' naif e con dei vestiti folkloristici un po' di altri tempi e dei tappeti volanti appartenenti alla nostra letteratura per l'infanzia ' ci sia rimasto dentro al cuore. Forse questo lavoro può essere usato come uno specchio di quello che noi ci aspettiamo di vedere nelle opere di un artista proveniente da un Paese europeo, ma di serie B. Povero. Ci sono tutti gli elementi che consideriamo indispensabili: un po' di povertà, un po' di dignitosa tradizione e un po' di ingenuità. Ma quanto è 'vera' questa immagine' In fondo la nostra visione è sempre oscillante tra il distacco di appartenere a una civiltà 'più evoluta' e la paura dell'estraneo, della sua diversità, della sua violenza; ed entrambi gli atteggiamenti ci portano soltanto a una conseguente miopia e a una chiusura dentro a scatole prefabbricate di 'sano' ideologico distacco. Così l'artista 'straniero' si diverte a bilanciare ironia e autoironia, visione e realtà, cercando sempre di mutare il punto di vista senza perdere il precario equilibrio su cui si poggia il suo discorso. Forse anche altre opere della stessa Matei ci raccontano questa situazione. Forse non è un caso che questo lavoro, il primo che esplicitamente si riferisce a tali problematiche, sia stato prodotto per una mostra di artisti di Milano . Molto più 'concretamente' legati alla realtà sono invece i lavori di Katarzyna Matoga che spesso mettono in gioco elementi presenti nella nostra vita quotidiana. Oggetti che confinano, in modo brillante e visionario, con il design e che assumono sempre un aspetto inquietante. Ma anche lei, alle prese con la stessa mostra che costringeva a confrontarsi con la sua, di fatto, appartenenza alla 'comunità artistica milanese', costruisce un lavoro in cui con una serie di fotografie (in cui si alternano vedute di mare e letti da dormitorio pubblico) e un letto ci viene proposta la distanza tra sogno e realtà, tra la voglia di varcare i confini per confrontarsi con una diversa situazione e la vita quotidiana fatta anche di centri di prima accoglienza molto più simili a prigioni che non all'Italia edulcorata delle immagini televisive e cinematografiche che oltrepassano il canale d'Otranto molto più facilmente di quanto lo facciano gli emigranti sui lori gommoni.
Identità, crisi della stessa e aspettative di identità, sono temi che non riguardano soltanto artisti di Paesi poveri ma anche di quelli più ricchi, come il nostro. Simone Berti parte dal luogo, la sua identità, e cerca di capire quanto noi siamo 'plasmati' dal luogo (in questo caso un luogo di lavoro, il Settore Giovani del Comune di Milano) e dalle convenzioni che esistono. Berti ha presentato una foto delle persone che compongono lo staff di lavoro (e che ha realizzato e prodotto questa serie di mostre così come questo catalogo) in una posa rigida, sottolineata da strutture che la evidenziano. Certamente un omaggio, ma anche una riflessione sulla mobilità di ruoli e funzioni. Allo stesso tempo Simone Berti vuole implicitamente ricercare le origini della fotografia, quando i tempi di posa erano talmente lunghi da rendere necessari quei supporti ' che le sue immagini rendono visibili ' per rendere ferme le persone.
Nel lavoro di Sarah Ciracì la realtà sembra invece presentata in forma evidente, 'così com'è' si potrebbe dire. Si tratta di una stanza in cui una grande immagine fotografica ci fa sentire avvolti dal mare e dal sole. Su entrambi i lati della stanza, che è necessario attraversare per proseguire nell'itinerario della mostra, c'è una fotografia che cattura il nostro sguardo e lo disorienta con il moltiplicarsi dei punti di vista. Così nasce il dubbio che, forse proprio quel paesaggio che riconosciamo come il più familiare sia proprio il più falso. L'inganno si fa sottile proprio perché gioca con elementi che sono i più tradizionali, come un paesaggio marino icona della pittura, ma anche della pubblicità. Tutti i prodotti che hanno in qualche modo a che fare con l'idea di vacanza (dalle auto ai gelati, dalle bevande ai più pertinenti oli solari) vengono infatti ambientati in 'utopici' luoghi costruiti con criteri del tutto analoghi a quelli usati in questo lavoro.
Vero e falso, realtà e rappresentazione entrano in gioco, e rimangono in una situazione di equilibrio instabile, anche nel lavoro di Stefania Galegati. La fotografia presentata in mostra ci fa vedere una stanza sconvolta da un vento improvviso con un turbinio di fogli di carta che invadono lo spazio. Poi ci accorgiamo che dei fili quasi invisibili sostengono tutta questa messa in scena. La realtà, l'evento straordinario e capace di scardinare l'ordine delle cose, non è reale, ma è costruita manualmente. Il suo è anche un modo di rispondere alla velocità della comunicazione bloccando le immagini di una costruzione paziente e laboriosa, artigianale, infischiandosene di photoshop e di tutte le risorse che il computer ci mette a disposizione. La fotografia in questo caso torna ad essere testimonianza (pur mantenendo la sua ambiguità) dell'accaduto: non dell'evento straordinario 'rappresentato' ma di un'installazione fatta ad imitazione del vero.
Deborah Ligorio presenta in questa mostra un video girato sott'acqua. Delle lunghe sequenze, in un montaggio incrociato, si sovrappongono in un percorso sottomarino ad inseguire i cavi di trasmissione telefonica che collegano e uniscono (molto più di ponti o tunnel) continenti e isole. Anche nel suo lavoro la tecnologia e la comunicazione sono fortemente presenti, ma, invece di usarle come in passato creando immagini realistiche ma assolutamente artificiali, nel lavoro qui presentato si limita ad andare alla ricerca della fisicità della trasmissione dei dati. Anche in questo caso l'opera sembra discutere la concretezza e la tangibilità di una realtà sempre più mischiata alla rappresentazione stessa. Non si tratta di ricercare, o di rimpiangere, paradisi perduti ma di analizzare la realtà senza troppi preconcetti cercando angoli nascosti o visioni diverse da quelle preconfezionate. Nel suo lavoro, come anche in quello degli altri artisti in mostra, si percepisce chiaramente la voglia di continuare a pensare, continuare a vedere con i propri occhi e, per quanto possibile, di cercar di costruire e raccontare la propria realtà.

La mostra era completata da una rassegna video curata da Mario Gorni e dallo spazio Care of di cui riportiamo l'elenco e alcune righe di presentazione.
Tavolo per due - variante / Alicia Erba. 1998, (12'). Un tavolo per sei, con tre commensali. Solo due sono di fronte, il terzo è incomodo. Una metafora per possibili accoppiamenti.
An other city / Maurizio Mirai. 1996, (3'). Lo stupore per una città (Milano) in rapido cambiamento con le prime ondate migratorie dai paesi del terzo mondo.
Maria / Paola Gaggiotti. 1998, (6'). Una serie di fotografie trovate e trasformate in disegni per raccontare la storia immaginata della persona ritratta, che forse si chiamava Maria.
Zazen / Chiara Foletto Giorgio Borgazzi. 1999, (5'). In una fabbrica abbandonata uno stato allucinatorio con effetti speciali
Pause / Anna Sguazzi. 1999, ( 7'30'). La camera indaga in un prato di trifoglio. La fortuna è a portata di mano.
Se i tuoi occhi si abbassano / Martha Sforni. 1999, (5'). Immergersi nella natura, sentirsi parte di essa. She went to sleep and forgot to wake up / Barbara Brugola. 1998, (3'). Un'occasione per guardare da vicino una persona.
Scarica / Marcella Vanzo. 1999, (1'). Quando si dice 'sei come un lavandino'...
Hurt so good / Ottonella Mocelin Nicola Pellegrini. 1999, (5'). Una lotta serrata a fior d'acqua per sopraffare l'altro/a. Una metafora della vita di coppia.
Smog / Sara Rossi. 1999, (3'). Nebbia, fango e l'antenna di un ripetitore. Un ritratto ridotto e pessimistico per una città'
Azigurà / Leonardo Pellegatta. 1995, (9'). Nello stato di New York come in Lombardia, i margini delle strade si somigliano.
00. / Marco Papa Andrea Sala. 1999, (2'). Un clima di tensione come spesso troviamo in alcuni film americani. Uno scherzo innocente che serve per giocare.
Tatatatà / Sabrina Muzi. 1998, (8'). A partire dai giocattoli è in atto una rivolta generazionale. Le conseguenze sono imprevedibili. Da qualche parte sta succedendo.
Quello che i due non si dicono (estratto) / Federico Tanzi Mira. 1998, (15'). Alcune interviste su storie d'amore, fantasie erotiche, rapporti inconfessati e passioni, raccolte su uno spezzone violento di un film americano molto noto.
Forse dovrei... / Massimo Uberti. 1997, (2'). Forse dovrei stare in un posto tranquillo e smetterla di inventarmi dei motivi per muovermi. Accenderò un fuoco.
Shy Hamburgher / Stefania Galegati. 1999, (13'). Lunghe tavolate di commensali viste come grandi sculture. Il viaggio all'interno di un ologramma.
Tape End / Andrea Lottero. 1998, (3'). La camera riprende il monitor, gli effetti larsen illuminano le dita fino a che finisce il nastro.
Blue Blow / Francesca Semeria. 1999, (5,30'). Il sogno dei manga di trasformare il corpo umano e di conferirgli capacità e poteri futuribili.
S.T. / Simone Berti. 1997, (7'30'). Due amici fanno una passeggiata in riva al fiume, prolungando i segmenti del proprio corpo, forse ricordando Itten.
Liberazione del serpente viaggiatore / musica: di Malcom Fischer Sabrina Sabato. 1998, (18'). Un viaggio in auto verso un lago della Brianza, per liberare il serpente viaggiatore.
Asse 5 / Annamaria Martena. 1999 (5'). L'occhio della telecamera viene costretto a 'vedere' con gli stessi gradi di miopia dell'autrice. E anche noi.
Ophelia's awakening / Bruna Ginammi, (2'30'). Il mito di Ophelia rivisitato oggi. Forse Ophelia non è morta....
S.T. / Diego Perrone. 1999, (32'). Giocare con l'idea della costruzione, dell'architettura, molto lentamente. Fino a desistere.