La Generazione delle Immagini


6 - 1999/00 - Atmosfere metropolitane


Franklin Sirmans



Non per farmi bello, ma a differenza di molti newyorkesi, io sono nato qui: vivo a cento metri dalla casa in cui ho passato i primi quattordici anni della mia vita. Eppure, New York è il genere di città che tutti fanno propria.
Sinatra era di Hoboken, ma non c'erano dubbi sulle sue radici culturali, attecchite dalle parti di Little Italy. Per me casa vuol dire Harlem: geograficamente, una parte piuttosto piccola di New York, ma storicamente e culturalmente, molto più grande di tante altre. E proprio come Harlem ai tempi della Grande Immigrazione (nera, dal Sud rurale al Nord urbano, verso la fine dell'Ottocento), New York resta il traguardo di molti sognatori ' sognatori di vite, lavori e opportunità semplicemente migliori, o sognatori affamati di celebrità, luci sfavillanti e vita metropolitana. Ma visto che qui parliamo di arte, bisogna dire che dal dopoguerra NY è diventata la meta principale di molti artisti visivi, come le capitali europee prima del conflitto.
Negli ultimi tempi, il mondo dell'arte sembra aver abbracciato una definizione più ampia di 'arte visiva contemporanea'. A metà degli anni Novanta Shifra Goldman scriveva: ''gli artisti sono riusciti a superare confini che i politici non hanno varcato.'1. E mentre gli artisti comunicavano meglio e imparavano a condividere un certo linguaggio visivo ' arrivando, talvolta, a sfiorare l'omologazione ' tra le maggiori esposizioni internazionali si affacciavano presenze nuove o rinnovate (per esempio, nel solo 1997, Venezia, São Paulo, Istanbul, Johannesburg). Anche se in modo piuttosto elementare, queste grandi mostre hanno presentato un livello di differenziazione geografica raramente, se non mai, esplorato prima. Il risultato è stato l'emergere di artisti provenienti da paesi fino ad allora quasi sconosciuti ai connoisseurs, e in caso contrario, non certo per la loro produzione artistica, ma per le comuni storie di imperialismo e colonialismo, seguite da un'identica, famelica corruzione.

In questo flusso recente, New York rimane un banco di prova ' o un ufficio di cambio ' fondamentale per gli artisti emergenti, con cui testare il proprio lavoro e il modo in cui viene accolto dal 'mondo dell'arte'. La città continua ad attrarre artisti e idee da tutte le nazioni del mondo, rimanendo fedele alla propria natura, immutata dal Seicento, quando gli europei invasero l'America, la sottrassero ai nativi americani e poi vi deportarono gli africani per costruire il loro Nuovo Mondo. A parte le verità storiche, ancora aspramente dibattute, quando si parla del melting pot americano, New York City resta il posto in cui quest'espressione assume un senso ben più che retorico: come l'ampia comunità di artisti che partecipano alla scena contemporanea a livello mondiale, è piena di gente che viene da ogni parte del mondo, ed è così da parecchio tempo. Questa mostra celebra New York come centro di produzione culturale attraverso le opere di artisti che non sono nati qui, ma ne hanno fatto la propria casa, seguendo le orme dei tanti predecessori che hanno contribuito a fondare la sua grande, seppur recente, importanza storica per l'arte contemporanea.

New York, New York' si fonda sullo scambio culturale come strumento di dialogo indirizzato a una più profonda comprensione della nostra vita su questo pianeta. Questa mostra, che devo all'ospitalità del mio amico Roberto Pinto, è una puntata ' spero interessante ' di un più ampio ciclo intitolato Atmosfere Metropolitane. Avendo lavorato a Milano per due anni e conoscendo Roberto da allora, è per me un piacere poter presentare questi artisti che hanno scelto di vivere proprio nella mia città, anche se il loro lavoro non conosce barriere geografiche.
La ampie e vibranti cibachrome di Nicole Cherubini, originaria di Boston, alludono a molti luoghi, ma non ne richiamano alcuno in particolare. Nei suoi paesaggi brulli, è il terreno psicologico delle donne armate di pistola a provocare una riflessione sugli stereotipi di genere della società globale. Nadia Coen è nata e cresciuta a Harare, in Zimbabwe, ma vive a New York dai tempi dell'università. Con i suoi collage sotto vetro, esplora il vocabolario dell'architettura e le sottigliezze delle minuscole manipolazioni degli ambienti domestici.
I dipinti di Jeff Hargrave evocano una serie di immagini storiche legate alle sue radici del sud. Nato in North Carolina, culla psicologica del razzismo americano, Hargrave dipinge immagini stereotipate di corvi e mammies (tate) nere, stravolte dai rossi, blu e gialli di una tavolozza espressionista che fa il verso alla banalità di clichés tanto palesi.
Anche la californiana Kira Lynn Harris opera una decostruzione del razzismo e della miriade di modi in cui ci si percepisce a vicenda al primo sguardo, pur affrontando questi temi con sottile distacco. Laureatasi alla celebre CalArts, Harris sviluppa il discorso relativo a multiculturalismo e politiche identitarie nel campo dell'arte con sgurdo lucido, attento agli aspetti teorici del Concettualismo.
Nata e cresciuta a Bogotà, in Colombia, Adriana Arenas Ilian si è diplomata al Chelsea College of Art & Design di Londra, e ora vive e lavora a New York. Le sue videoinstallazioni pongono ironicamente in discussione le convenzioni formali della pittura modernista attraverso colonne sonore contemporanee che devono molto alla musica ambient.
Originaria dell'Ohio, Jennie Jones crea grandi installazioni a parete con cui analizza i sistemi di potere e controllo. I suoi monocromi a colori cifrati pongono in discussione le tendenze formaliste, spesso prive di contenuto, dei movimenti storico-artistici degli anni Sessanta e Settanta, e la scarsità di artisti neri che emerge dal contesto di tale storia.
Nato a Mexico City, Mosco vive a New York City da tre anni. Un aspetto importante dell'arte newyorkese degli anni Ottanta ' e ora universale, di tutte le metropoli mondiali ' sono quelli che chiamiamo graffiti. La pratica artistica di Mosco si svolge su due piani: creare lavori direttamente nelle strade e dipingere su tela in studio. La pressione snervante del lavorare illegalmente si trasforma in dipinti con le vigorose astrazioni di Mosco, frammenti di lavori più grandi realizzati in strada.
Odili Donald Odita è nato in Nigeria, ma è anche cresciuto in Ohio. Il suo lavoro esplora il colore in quanto significante estetico delle specificità culturali. Citando 'occultamente' i tessuti tradizionali africani e i colori dei sobborghi americani anni Cinquanta, Odita esamina la dualità di una cultura in perenne evoluzione così comune per gli African-American e, più recentemente, per un quadro contemporaneo caratterizzato dalla globalizzazione, dai viaggi o dall'esilio.
Il fatto che nessuno degli artisti sia originario di New York mi ha spinto a includere un video decisamente newyorkese, Wild Style. La sala di consultazione è invasa dal suo suono ruvido e sincopato, quello che in musica si chiama staccato, perfetto per il contesto in cui tutti viviamo come cittadini metropolitani. Il video è un vivace ritratto della cultura Hip Hop, un aspetto della produzione culturale che è un ingrediente essenziale della mia vita e che mi auguro possa rafforzare e trasformare le differenti voci presentate dalla mostra.

1 Shifra Goldman, 'Modern Art of the Spanish-Speaking Caribbean,' Caribbean Visions: Contemporary Painting and Sculpture (Alexandria, VA: Art Services International), 1995, p. 90.

Grazie agli artisti, a Roberto Pinto, Alessandra, Giasco Bertoli, Gabriele di Matteo, Loredana, Mario e Zeffi, Deborah Ligorio, e Undo.net.