Attraversare le contingenze allargando le prospettive

27/09/2007
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OTTIMISMI

Not only possible but also necessary: optimism in the age of global war
La X biennale di Istanbul si e' inaugurata al pubblico venerdi' 7 settembre. Curata da Hou Hanru, e' una biennale che promuove una immagine di Istanbul non tanto legata alla sua storia millenaria quanto, con i suoi 16 milioni di abitanti censiti sei anni fa e i circa tre milioni non dichiarati, alle grandi metropoli contemporanee. Una citta' gia' proiettata nel futuro che la vedra', nel 2010, diventare capitale della cultura europea











L'evento biennale diventa così particolarmente funzionale a uno scopo politico da non sottovalutare: rafforzare un'idea della Turchia moderna e occidentale in forte crescita economica e culturale. Questa "strumentalizzazione" si è resa evidente, a mio avviso, sabato sera quando, contemporaneamente a uno dei più importanti eventi collaterali della biennale ( l'apertura a Santralistanbul - una vecchia area industriale, ora sede di un vero e proprio campus universitario - di una sezione dedicata alla documentazione di organizzazioni artistiche indipendenti, alla visione di film e a diversi panel di discussione ) è avvenuta l'inaugurazione del nuovo museo d'arte contemporanea Santralistanbul ( www.santralistanbul.org ). In questo modo gli eventi si sono naturalmente fusi e l'inaugurazione del museo e della mostra ospitata ha coinvolto il pubblico internazionale della biennale, stordito dal fantastico gioco di luci proiettate sulle pareti di vetro del grande museo (a cura di United Visual Artists), sfamato e avvinazzato da interminabili buffet e assordato dalla musica techno house e dal rumore degli elicotteri della polizia davvero troppo presenti e incombenti.
Un avvenimento di proporzioni gigantesche in confronto alle capacità organizzative e finanziarie della sola biennale che si è inserito però, non a caso, nel programma della biennale.
Ecco infatti l'immagine della grande Turchia che il primo ministro Recep Tayyip Erdogan ed il neo presidente Abdullah Gul vogliono dare all'occidente.

Tuttavia bisognerebbe informarsi un po' sulla situazione complessa e particolarmente critica della Turchia oggi prima di prestare il fianco a commenti troppo entusiasti sulla modernizzazione e occidentalizzazione di Istanbul. Difatti, comè è noto, Abdullah Gul è il primo islamico capo dello stato, eletto grazie all'astensione al voto della destra nazionalista e nonostante la dura opposizione della sinistra, sempre più risicata e emarginata. E' il primo presidente musulmano, dopo 84 anni di storia laica dalla proclamazione della prima repubblica di Mustafa Kemal - Atatürk, ad avere una moglie velata. Inoltre il nuovo ministro degli esteri è il braccio destro di Gul, che non fa nulla senza il suo consenso, e non stupirebbe nessuno se anche i vertici della giustizia fossero per qualche ragione via via sostituiti con figure di fiducia particolarmente vicine al capo del governo e dello stato.

Certamente queste preoccupazioni possono non riguardare l'arte ma si presume che una manifestazione dal carattere così politico e sociale dovesse per lo meno sottrarsi a manovre eccessivamente propagandistiche. E ancora, le premesse teoriche su cui si fonda questa biennale, esplicitamente dichiarate da Hanru nel testo introduttivo al catalogo, diffuso nel sito ufficiale della biennale www.iksv.org/bienal10 , mirano a denunciare il processo di globalizzazione avviato dall'Impero (il nuovo ordine mondiale del sistema economico capitalistico) e a documentare un nuovo e alternativo progetto di globalizzazione avviato dal cosiddetto terzo mondo capace, secondo Hanru, di reinventare, anche e nonostante le molte contraddizioni, nuovi concetti di modernità, democrazia e progresso. Un progetto che necessita di ottimismo da parte di tutti, come ben esplicita il titolo della biennale.

Premesse più che giuste e condivisibili. Ed è proprio a causa di questa totale condivisione che ci poniamo una domanda fondamentale: chi finanzia questa biennale cosi' ottimista?
La riposta è molto semplice: lo sponsor principale della biennale è la KOC, il più grande gruppo finanziario della Turchia con 106 filiali nell'energia, la macchina, l'agroalimentare, l'elettrodomestico, la banca, l'assicurazione e la distribuzione. La Koc controlla inoltra la metà del mercato mondiale di nylon ed ha proprietà e filiali in tutto il mondo.
Koc, da quest'anno primo sponsor della biennale, ha firmato un contratto decennale con la biennale, chiamato Istanbul Kultur Sanat Vakfi ( Istanbul foundation for culture and arts ). Mustafà Koc, presidente della holding, partecipa da diversi anni ai meeting del Gruppo Bilderberg, una società quasi segreta che dalla fondazione, nel 1954, raccoglie un centinaio di potenti della terra, leader politici ed economici di diversi Paesi, veri e propri precursori della globalizzazione.
Gli incontri annuali sono avvolti dalla più totale segretezza, avvengono a porte chiuse in località diverse e in alberghi protetti dalla Cia. Nulla di quello che decidono e di cui discutono è pubblicato dalla stampa e, ovviamente, quello che decidono riguarda tutti noi e può cambiare le sorti del mondo. Per questa metodologia massonica la Bilderberg ha attirato, inutilmente, la critica di opinionisti e politici di tutto il mondo oltre che dei no-global.
Bene, l'ultima riunione del cosiddetto "meeting annuale degli alti sacerdoti della globalizzazione", quest'anno si è tenuto, dal 30 maggio al 3 giugno, a 40 km da Istanbul, presso il Klassis Hotel di Silivri. I temi trattati - secondo il giornale dell'associazione industriali turchi (www.tusiad.us/specific_page.cfm?CONTENT_ID=688), che non è un giornalino estremista turco - pare fossero "operazioni contro l'Iraq, la politica energetica e il processo di ingresso della Turchia nella Comunità Europea".

Ecco un dato, spero interessante, su cui riflettere: una biennale che ha come tema portante la critica, seppure ottimista e propositiva, al sistema economico globale e che dichiara già nel titolo la necessità di un'alternativa possibile nell'era delle guerre globali, è sponsorizzata dalla banca e dalla holding piu' potente della Turchia che di un certo tipo di globalizzazione, che prevede le guerre come sistema di controllo,è più che responsabile. E probabilmente, i personaggi più importanti e potenti di questa holding, insieme ai politici che contano, erano presenti alla serata inaugurale del grande museo Santralistanbul, compiaciuti sia del loro ruolo di protettori della cultura, sia della nuova immagine di Istanbul, città sempre più occidentale e in netta ripresa economica. Una ripresa che schiaccia proprio quelli che erano i tratti distintivi e creativi della democrazia in questa città e che continua a voler rimuovere il genocidio armeno. E in questo modo, ancora una volta, la finanza diventa il cavallo di troia con cui, in maniera subdola e strategica, il potere controlla l'arte e si lava la cattiva coscienza.

Sono dubbi e domande che non vogliono assolutamente delegittimare il lavoro degli artisti e del curatore ma che tuttavia vogliono sottolineare l'urgenza di porsi in maniera davvero critica nei confronti del sistema dell'arte. Non si può essere troppo leggeri e, purtroppo, neanche troppo ottimisti.
Se si crede che il margine del sistema è in realtà il luogo dove maggiore è la tensione dinamica del sistema, e quindi dove maggiore è la sua capacità evolutiva, bisogna rischiare di più e sfidare davvero la complessità del sistema. Mi sembra, per esempio, che Documenta, pur essendo una manifestazione ufficiale e quindi affatto marginale, si ponga da anni come un modello rigoroso e radicale che non cerca facili consensi, capace di generare domande e di sollevare questioni utili al rinnovamento del sistema.
Dalla biennale di Hanru, curatore tra i più innovativi e capaci di cartografare la contemporaneità, ci si aspettava davvero di più, soprattutto una direzione meno "protagonista". Difatti nonostante le numerose sedi - tutte architetture significative del processo di modernizzazione avviato negli anni Cinquanta e Settanta, che rendono Istanbul una tra le più spettacolari, ibride e dinamiche metropoli del mondo - e il numero esorbitante di artisti, centoventi circa, le mostre tradiscono uno schema espositivo unico, seppure vitale e caotico e un appiattimento nei lavori e nei progetti presentati.
Non mi sembra quindi rispettato un modello caro a Obrist, e fino ad ora allo stesso Hanru, di "mostra a matrioska" dove una esibizione è un invito a invitare altri curatori e a suggerire proposte diverse e in connessione tra di loro.
Inoltre, se è vero che il tutto è più della somma delle parti e che quindi, al di là dei singoli lavori, una mostra, e ancora di più una biennale, deve concentrarsi sulle relazioni e far emergere dalla comunità degli artisti una nuova visione dell'arte e una proposta diversa di realtà e contemporaneità, ebbene qualcosa a Istanbul non ha funzionato.
Il frammentario rimane tale e non riesce a far emergere un disegno altro, qualcosa che davvero possa far generare un nuovo punto di vista.
Non basta il progetto sulla carta e il catalogo, seppur ben fatto, non può sostituire 'esperienza della visione. Come scrive Teresa Macrì sul "Manifesto", il livellamento creativo che accomuna i continenti è generato anche dalla troppa considerazione per artisti, a volte giovanissimi, che vengono "buttati" dentro il calderone delle mostre e delle biennali senza possedere gli strumenti di riflessione necessari. Ecco, questa può essere una delle risposte: troppi artisti inadeguati o troppi lavori e progetti che non sono capaci di generare attenzione.
E si cerca, in maniera evidente, una legittimazione dell'intera operazione negli eventi collaterali (Nightcomers ), nelle discussioni ( i cosiddetti Panel a Santralinstitut ) e nei progetti speciali ( Emergency Biennial in Chechnya).
Sono tuttavia tre le mostre principali: Burn it or not? all'Atatürk Cultural Center, World Factory all'Istanbul textile traders'market e Entre-polis all'Antrepo n°3

All'interno del AKM ( Atatürk Cultural Centre ) 15 artisti sono stati invitati a relazionarsi con questo archetipo dello stile socio-modernista, simbolo della visone utopica e del potere della Turchia repubblicana guidata da Ataturk. Un edificio che rischia di essere abbattuto per diventare, come altri luoghi pubblici nel mondo legati a determinati periodi storici ( il Palast der Republik a Berlino per fare solo esempio ), un gigantesco centro commerciale.
Hanru incita gli artisti a "mobilitare la coscienza sociale" affinché possa prevalere una alternativa pubblica capace di invertire questa tendenza. Gli artisti però non si sbilanciano e propongono in maniera un po' prevedibile ricognizioni e memorie fotografiche di edifici simili che dialogano con l'AKP ( il più suggestivo è il video di Aleksander Komarov ).
Solo Els Opsomer propone un lavoro interattivo, un tavolo dove presenta fotografie e libri che riguardano il futuro dell'AKM, simbolo della necessità di riflettere e di scambiarsi delle opinioni.
L'ultimo piano custodisce il lavoro più interessante e generoso ( 8 foto e un video ) dell'intera biennale: Nancy Davenport, artista quarantenne canadese che vive a New York, ci dona due lavori, "Apartments" e "Campus" di rara raffinatezza e perfezione. Il primo consiste in una serie di 4 foto di complessi architettonici newyorkesi conosciuti come "white brick wonders". Queste architetture comuni diventano, nella rielaborazione digitale, il backstage per una serie di scene in miniatura di eventi radicali che si riferiscono alla fine degli anni sessanta e all'inizio dei settanta: un gruppo di uomini si arrampica con delle corde mentre un altro espone una bandiera rossa su un balcone ( l'attentato a Monaco nel 1972 ); un uomo impugna una pistola e mira verso un aereo ( la performance "747" di Chris Burden del 1973 ).
Tutte sovrapposizioni che enfatizzano l'ambiguità del mezzo per intessere una serie di collegamenti dialettici che pongono questioni sugli strumenti della società dello spettacolo dagli anni settanta a oggi. Ancora più sofisticataà la serie di quattro "Campus" e il video "weekend campus", costruito digitalmente partendo da un centinaio di fotografie e ispirato a una sequenza del film di Jean-Luc "Le week-end". E' chiaro che non è solo quello che si vede che è importante quanto la costruzione del lavoro: la sequenza in loop "girata" lungo una strada che costeggia l'entrata di un campus, con un ingorgo, macchine accatastate, immagini impassibile di studenti, macchina della polizia, rapisce per la sua immobilità minata solo da lampi di luce provenienti dalla macchina della polizia o dai riflessi del sole sui vetri.
Grazie a questa continua oscillazione tra stasi e movimento la nostra certezza traballa, non si tratta evidentemente di una ripresa video, e ci sentiamo così, per la prima volta, catturati non da una lunghissima e istruttiva didascalia, quanto da un evento misterioso e terribilmente affascinante.

Evidentemente Hanru ha molto apprezzato il lavoro visto che un altro "video" della Davenport, del 2007, altrettanto catalizzante quanto il primo, è esposto in un'altra location della biennale all'IM ( Istanbul Textile Traders-Market ) sede della mostra World Factory dove, una ventina di artisti, presentano, in vari negozi di questo inusuale centro commerciale, oggetti, installazioni, video, progetti che vogliono contribuire a creare una nuova dimensione di vita all'interno di questo immenso blocco di edifici, un moderno bazar costruito negli anni cinquanta.
Una vasta riflessione sul mondo del lavoro nel terzo millennio che necessita indubbiamente di un tempo troppo lungo di fruizione ma che sembra essere, un po' troppo al di là del lavori degli artisti, la parte migliore della biennale.

Ma è la terza mostra della biennale, Entre-polis la più deludente. L'Antrepo n°3 a Beyoglu, nelle intenzioni del curatore doveva funzionare come una reale città: "disegnata come una specie di dedalo che riflette la struttura a labirinto di Istanbul, ospita piu' di cinquanta artisti provenienti da tutto il mondo. Come la moltitudine urbana questi artisti hanno differenti personalitè e usano linguaggi differenti.
Sono stati invitati a esplorare una vasta gamma di problemi decisivi per costruire il nostro condensato di Entre-Polis: trasformazione urbana, comunicazione globale, migrazione, conflitti geopolitica, memoria culturale, differenze etniche e religiose, manifestazioni e azioni per la solidarietà sociale e perfino amore." Sono visioni convenzionali e un po' scontate della globalizzazione a cui siamo già da anni abituati e che, nonostante alcuni lavori ( come quello di Fikret Atay, Rainer Ganahl, David Ter-Oganyan ) non riescono a dialogare con la realtà ben più forte e violenta della città.
Si distinguono veramente solo i Radek Community, un gruppo di giovani artisti, attivisti e musicisti proveniente da Mosca, che ha il coraggio di assumere una posizione critica nel confronto del contesto mostrando una sola immagine fissa nel monitor e rimandando, in orari stabiliti, alla proiezione del film "Pantsless Parties" che racconta le loro azioni e la loro storia attraverso materiale d'archivio. Un modo per ribadire la loro fede nell'azione piuttosto che nella documentazione sociologica o nella rappresentazione. Non a caso il gruppo prende il nome da Karl Radek, attivista rivoluzionario fatto fuori da Stalin nel 1939. "Tutti gli uomini usano la testa prima di agire - diceva Stalin - Radek invece prima agiva e solo dopo pensava!"
Anche questa biennale sembra un po' troppo pensata e poco agita e di conseguenza troppo innocua e inoffensiva

Marcella Anglani
storica dell'arte, insegna ultime tendenze dell'arte contemporanea all'Accademia di Belle Arti di Brera, scrive su Segno

Immagini:

In copertina: Hou Hanru. Foto Serkan Taycan.
In questa pagina:
Manifesto
AKM - Ataturk Cultural Centre, sede della mostra "Burn it or not?"
Nancy Davenport, still from "weekend campus", 2004
Julio Morales, "Informal Economy Vendors", installazione all'IMC - Istanbul Textile Traders' Market, 2007
Allan Sekula, still from "A Short Film for Laos", 2006
Tadej Pogacar, "CODE:RED Brasil, Daspu" ( Street Economy archive )
Antrepo n°3, sede della mostra "Entre-polis"
Adel Abdessemed, "Axe on", 2007
Rainer Ganahl, still from "In Memoriam - Bicycling Istanbul's Topography of Murders of Journalists", 2007.
Radek Community, "Pantsless Parties 2007", DVD




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