Attraversare le contingenze allargando le prospettive

26/10/2007
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ARGOMENTI

Vedi alla voce performance
Circa l'esibizione dal vivo e il portato della voce "performance" ieri e oggi, abbiamo chiesto il parere di un curatore, Simone Menegoi, e del direttore del progetto Uovo Umberto Angelini. In questa pagina potete vedere i video delle performances dei 12 artisti finalisti del Premio Internazionale della Performance 07 organizzato dalla Galleria Civica di Arte Contemporanea di Trento.


Scoli Acosta (USA)


Ei Arakawa (Giappone)
Menzione speciale


Dj Balli (Italia)


Michele Bazzana (Italia)
Secondo premio


Kiki Blood (USA)


Soren Dahlgaard (Danimarca)


Eva e Franco Mattes (Italia)


My Barbarian (USA)


Matteo Rubbi (Italia)


Sedzia Glowny (Polonia)
Primo premio


Meir Tati (Israele)
Terzo premio
Simone Menegoi
giornalista e curatore indipendente

Quello che trovo interessante in alcune esperienze della performance storica degli anni 70 e' una dimensione seccamente antispettacolare, un rapporto molto diverso - addirittura opposto - con il tempo rispetto a quello della performance cosi' come si concepisce oggi. Sono esperienze relativamente poco frequentate e studiate e che invece adesso tornano al centro dell'attenzione.
Parlo di autori come Jiri Kovanda, di cui ultimamente si e' tornato a parlare e che e' stato invitato all'ultima Documenta, oppure il performer di origine taiwanese Tehching Hsieh, che ha lavorato a New York tra la fine degli anni '70 e la fine degli anni '90, quasi sconosciuto in Italia ma considerato un maestro anche dalla Abramovic.
In questi artisti c'e' una dimensione quasi di "privatezza" della performance, dovuta anche al fatto che questa si estende su tempi e con modalita' che sono poco compatibili con quelli di un evento spettacolare. Le performance di Tehching Hsieh duravano generalmente un anno ed erano vincolate ad un regola di comportamento che lui doveva seguire nella sua vita quotidiana, con la quale finivano per identificarsi; quindi erano performance del tutto inadatte a un tipo di fruizione "da spettacolo". Di quando in quando questo performer invitava le persone a "constatare", per cosi' dire, che stesse seguendo queste regole, le quali potevano essere di natura molto diversa: la piu' straordinaria prevedeva che 'artista vivesse sempre all'aperto, senza mai entrare in un edificio, per un anno intero, con qualsiasi tempo atmosferico.
Jiri Kovanda, al contrario, faceva performances che si sottraevano alle possibilita' di fruizione non solo perche' erano praticamente impercettibili e quotidiane - gesti semplicissimi che solo le intenzioni del performer rendevano artistici - ma anche perche' erano rapidissime, effimere, cosi' brevi che di fatto non era nemmeno possibile assistere ad esse.
Due modalita' per certi versi opposte ma che hanno in comune questo sfuggire a una regola spettacolare e, cosa che accomuna Hsieh e Kovanda ad altre esperienze di questo tipo, avevano un'estetica molto vicina alla vita quotidiana, con un carattere "esistenziale", diciamo, in mancanza di una definizione migliore.

Credo che questo tipo di scelte potrebbero avere un immediato significato "politico" come forma di contestazione e di anticonformismo nei confronti delle regole non dette e non scritte ma agenti nel mondo dell'arte, delle mode, di un certo modo di intendere la performance.
A un livello piu' esteso - e quindi venendo alla parola "politico" in senso specifico - e' molto piu' difficile per me capire che tipo di significato potrebbero avere oggi queste scelte. E' chiaro che lo avevano negli anni '70; Kovanda, per rimanere a un esempio che mi piace, si trovava ad operare in una situazione estremamente ideologizzata, sia da parte del Paese comunista in cui viveva, sia da parte degli intellettuali dissidenti, e le sue scelte avevano l'obiettivo di smarcarsi totalmente da questo genere di posizioni, un senso di fuga interiore o comunque di rifiuto dell'imposizione di una griglia ideologica alla propria individualita'.
Oggi e' piu' difficile capire che tipo di significato rivestirebbe un'esperienza di questo tipo.

Forse rispetto alla performance degli anni '70 c'e' stata una forma di disillusione, nella misura in cui quest'arte e' stata - come ricorda molto bene Marco Senaldi nel suo libro "Enjoy!" - alla fine vissuta dalle generazioni posteriori sotto forma di video e di fotografie. A un certo punto ci si e' resi conto, piu' o meno lucidamente, che quest'arte che doveva liberare il corpo e le sue manifestazioni e' diventata essenzialmente - anche nella sua diffusione mercantile - un'arte del video e della fotografia, cioe' delle riproduzioni mediatiche del corpo stesso. E' chiaro che gli artisti hanno avuto il cinismo, ma si puo' dire altrettanto giustamente la lucidita', di ripartire proprio da li'. Nel riprendere il filo di questo discorso gli artisti sono partiti dalla foto e dal video piu' che dal corpo, cioe' dalla necessita' e dalla volonta' di essere foto e video, perche' hanno capito che era il caso di cominciare a rendere esplicita questa sorta di contraddizione.
Ma non e' affatto un caso che proprio adesso, negli ultimissimi tempi, ci sia stato un ritorno d'interesse per figure come quelle di Kovanda o Tehching Hsieh e per atteggiamenti come quelli che ho cercato di descrivere. Forse sta maturando un tipo di atteggiamento diverso, anche se e' difficile dirlo.

Parlando di ricerche performative che si accaniscono in modo esibizionistico e a volte autolesionista sul corpo, penso che quando queste cose apparvero per la prima volta nell'ambito dell'arte contemporanea negli anni '60 e '70 - e sottolineo nell'ambito dell'arte contemporanea, perche' le loro componenti sciamaniche e rituali avevano origini antichissime - fossero veramente dirompenti. Poi negli anni '90 hanno avuto un revival molto "virulento", e mi sembra che tutto sia ormai gia' stato fatto in questo campo; l'ottimo, il buono e anche il pessimo. Adesso chi fa performance del genere sa di andare a occupare una nicchia che ha gia' la sua bella etichetta, per cui davvero perde la sua carica eversiva.
Ma qui provo a fare l'avvocato del diavolo: ci sono esperienze radicali che vengono da aree geografiche diverse dall'Europa e dagli Stati Uniti; dal Sudamerica per esempio. Penso alla guatemalteca Regina Jose' Galindo che ha avuto successo di recente.
Ecco una domanda abbastanza difficile: per noi sono cose viste riviste, lo dico senza peli sulla lingua, soprattutto per chi sta in Italia e ha avuto Gina Pane (e le prime performance della Abramovic, fra l'altro); ma da un altro punto di vista, nel contesto originario in cui nascono queste cose - pensiamo alla situazione politica del Guatemala - possono invece avere ancora un valore? Domanda ancora piu' difficile: se ce l'hanno nel loro contesto originario, dovremmo avere rispetto o interesse per queste manifestazioni, oppure dobbiamo giudicarle secondo la nostra cultura e la nostra preparazione? Sulla questione, per il momento lascio il punto di domanda.



Umberto Angelini
direttore di Progetto Uovo

Nel teatro abbiamo avuto una grandissima trasformazione in tempi recenti; intorno alla prima meta' degli anni '90, si e' tornati a lavorare sull'idea di perfomance recuperando in qualche modo quello che era avvenuto negli anni '40 e '50 con Cunnigham piuttosto che con Cage o altri: chiaramente mi riferisco a nomi piu' legati all'ambito performativo musicale o teatrale. Si e' iniziato cioe' a pensare di uscire dai format teatrali; infatti quella degli anni '90 non era piu' una riflessione sul corpo inteso come un luogo autorefenziale o su cui sperimentare le proprie identita', ma soprattutto una diversa attenzione al rapporto tra corpo, spazio e tempo.
Penso che questa sia stata una dimensione fortemente europea, soprattutto francese e belga, nata in risposta a quella che era stata negli anni '80, specialmente in campo coreografico, la grande ondata della Nouvelle Dance che aveva comportato una certa forma di sclerotizzazione accademica. Negli anni '80 c'e' stato un forte finanziamento della danza francese perche' Jack Lang la riteneva ambasciatrice delle arti francesi nel mondo; questo ha comportato un grande flusso di denaro che, se da un lato ha portato alla nascita della Nouvelle Dance, dall'altro ne ha paralizzato gli sviluppi piu' creativi, come spesso capita.

E' successo allora che un gruppo di artisti francesi ha iniziato a lavorare ai margini del sistema, fuori dai teatri e dai centri coreografici, dovendo di conseguenza ripensare completamente proprio la messa in scena, perche' nel momento in cui si esce dallo spazio teatrale cambia la modalita' di rappresentazione.

Nell'arte contemporanea la non dimensionalita' dello spazio di rappresentazione non ti obbliga a compiere determinate azioni, nel campo del teatro esiste una situazione frontale "platea - palcoscenico" e il lavorare ad esempio in spazi di riconversione industriale o in altre situazioni che comportavano il fatto di non poter fare - poiche' si aveva a disposizione solo una stanza - delle entrate e uscite di scena, modificava completamente la tipologia del movimento.
Si trattava spesso di luoghi nudi, senza quinte ne fondali e questo ha comportato anche una riformulazione dell'estetica del movimento, nel senso che e' nata quella che e' stata definita, in maniera secondo me impropria, la "danza che non danza". In realta' era invece una danza che lavorava moltissimo sull'azione performativa piuttosto che sull'azione coreografata.
Cio' che ha spinto al rifiuto dello spazio teatrale "tradizionale" ha due motivazioni: una di tipo diciamo "politico", cioe' ribellarsi al sistema di potere soprattutto in riferimento ai grandi centri coreografici, l'altra l'esaurimento della spinta innovatrice della Nouvelle Dance, quindi la necessita' di ripensare completamente un progetto artistico soprattutto tenendo conto di quella che era in quel momento la pressione molto forte delle altre discipline: penso alla moda, all'architettura, al design. Soprattutto gli artisti hanno iniziato ad interrogarsi e a collaborare moltissimo con autori provenienti da altre discipline.

Io penso che la performativita' teatrale dalla meta' degli anni '90 fino ad oggi (ed oggi io ne vedo in qualche modo esaurirsi la spinta) sia stata molto forte e molto piu' innovativa dell'ambito performativo cosiddetto dell'arte contemporanea.

Poteva permettersi di liberarsi da qualsiasi tipo di costrizione teorica e muoversi in maniera veramente molto indisciplinata - usando un termine che si e' usato moltissimo - e anche indisciplinare piu' che interdisciplinare, cioe' aveva una capacita' di meticciarsi completa; non perche' si pensasse ad un'arte totale, ma perche' si pensava a "stare in scena" piuttosto che al fatto che in quel momento si stesse compiendo un'azione coreografata o una teatrale.

L'idea era di fare "uno spettacolo dal vivo" e non a caso la definizione di questo tipo di arte indisciplinare ha avuto delle connotazioni linguistiche differenti - dalla Live Art inglese allo Spectacle Vivant francese - in Italia il termine che in qualche modo identificava quel tipo di movimento e' Performing Arts che in realta' all'estero e' onnicomprensivo.
Anche la Tate nel 2003 fece una specie di Festival chiamandolo Live Art, ma l'esperienza inglese e 'stata molto diversa, da un certo punto di vista e' stata molto piu' vicina all'ambito dell'arte contemporanea nel senso che era molto legata al corpo, anche a forme di violenza su di esso: la Live Art inglese era ancora Franco B.
In Francia e in Italia non ha attecchito minimamente quel tipo di performativita', si e' pensato molto di piu' a lavorare sulla dimensione del movimento e dello spazio; la riflessione e' stata fatta sul gesto, sul movimento, sul rapporto del corpo con lo spazio.

Credo che oggi il vero atto rivoluzionario sarebbe tornare a danzare sulle punte. L'accanimento sul corpo mi sembra riproporre dei meccanismi che di fatto non appartengono veramente a questa generazione. Questa generazione in qualche modo ne replica i comportamenti, ma le istanze sociali che muovevano quelle azioni performative - penso ad alcuni lavori della Body Art - non sono secondo me oggi molto attuali, hanno una finalita' prettamente disturbante. Questo non significa che non ci sia interesse da parte del pubblico, so benissimo che se dovessi programmare perfomer che si tagliano - non voglio banalizzare naturalmente, sono gesti assolutamente forti con le loro motivazioni psicologiche, sociali e artistiche - questo comunque avrebbe ancora presa, perche' c'e' ancora gran parte del pubblico che non conosce la body art e che non ne ha vissuto l'esperienza.

Io credo che oggi ci sia veramente un'assenza di progettualita' artistica, che sia un momento di forte discontinuita' e di pura frammentazione. Io nel mio lavoro ho esaltato anche gli effetti benefici della non definizione di confini e della sovrapposizione delle discipline e dei linguaggi, ma credo che oggi questo percorso, del quale vedo ancora la forza teorica, non abbia grande seguito ed efficacia artistica.

Nella commistione con la tecnologia le realizzazioni non mi convincono ancora fino in fondo, ma ritengo che sia un campo molto interessante e che sicuramente sara' quello che ci affascinera' di piu' nei prossimi anni.
Non credo pero' che, malgrado le sperimentazioni vadano avanti da tempo, abbiano ancora prodotto dei risultati artistici veramente interessanti e cosi' forti da dire: ok si volta pagina.
Ritengo invece che nel campo del video e della video arte il confronto e l'incontro con la tecnologia e con l'interattivita' abbiano prodotto delle situazioni piu' efficaci.
Del rapporto con la tecnologia mi interessa il fattore esperienziale, che credo sia l'elemento piu' nuovo e da un certo punto di vista il piu' vecchio perche' recupera lavori di cinquant'anni fa, nel rapporto tra pubblico e performer. Mi interessa il fatto che si vada a vivere un'esperienza piuttosto che ad assistere ad uno spettacolo. E da questo punto di vista la tecnologia sicuramente puo' apportare un cambiamento. Credo pero' che oggi ci sia in generale una situazione di stasi, dovuta anche ad una forma di liquidita' generale, di incapacita' di definire un pensiero forte da condividere o da condannare.

Spero pero' che un elemento molto importante nella ridefinizione dell'idea di corpo e quindi di azione performativa possa arrivare dalla grande ondata migratoria; mi auguro che i contrasti, a volte anche pericolosi e non sempre socialmente accettabili tra le diverse culture e le diverse esperienze sociali, possano provocare dei fermenti artistici interessanti.
In questo senso credo che un lavoro sul corpo, per tutta quella che e' la cultura islamica, oggi possa diventare un detonatore che possa rimettere in circolo idee, confronti e possibilita' creative.
Dal punto di vista occidentale credo che in questo momento l'arte sia un po' troppo autoreferenziale, si avviti su se stessa, questo perche' e' oggettivamente difficile sedimentare dei pensieri e delle riflessioni artistiche, manca proprio il tempo.

La velocita' della riflessione e dell'azione e' aumentata pericolosamente. Il mercato artistico, nella sua accezione piu' ampia, riproduce in maniera ancora piu' distorta tutte le distorsioni del mercato economico: la sovraproduzione, il produrre senza una grande attenzione alla qualita'. Credo che questa iperproduzione in campo culturale sia deleteria perche' penso che per la produzione artistica serva il tempo della sedimentazione, il tempo della riflessione, il tempo dello studio, il tempo della progettazione. E questi aspetti in realta' oggi apparentemente non sembrano necessari perche' l'effetto clinex, dell'usa e getta sembra imperante.



Informazioni su progetto Uovo: festival, video project e superuovo
http://www.uovoproject.it

Informazioni su Performa 07
dal 27/10 al 20/11/07

Informazioni sul
Premio Internazionale della Performance 07

Il sito della Galleria Civica di Arte Contemporanea di Trento
http://www.workartonline.net



Per commenti e opinioni su questi temi: staff@undo.net



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