Attraversare le contingenze allargando le prospettive

04/02/2008
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ARGOMENTI

Parla chi scrive
Esattamente 10 anni fa UnDo.Net ha avviato la "rubrica" Magazines, nata per dare una visione simultanea delle proposte e punti di vista delle riviste italiane d'arte e cultura contemporanea. Allora, come oggi, non c'era nulla di simile nel web. Ai tempi il panorama della "carta" era diverso, non esistevano free press e c'erano pubblicazioni che oggi non ci sono piu' o che adesso non partecipano piu' a Magazines. La partecipazione e' sempre stata gratuita, se nell'attuale Magazines non vedete i nomi di alcune testate e' perche' per incapacita', o per motivi politici non hanno accettato il nostro invito a partecipare.
Magazines e' un sistema di confronto orizzontale che rilancia gli argomenti offrendone visioni diversificate. Il sistema Magazines chiede alle riviste di portare la propria voce in un contesto polifonico, generosamente e accettando la sfida di lasciare un proprio articolo "nudo", fuori dalla propria "cornice" editoriale, a trasmettere le idee e il carattere della pubblicazione che rappresenta. Dalla comparazione e dalla commistione delle scelte e degli approcci culturali nasce uno nuovo spazio condiviso che rimette in gioco gli argomenti per la community di utenti.
Questo risultato compensa il lavoro necessario a gestire il sistema Magazines (monitorare il panorama editoriale, sollecitare le testate ad inviare i materiali, organizzarli, pubblicarli e diffonderli).
Abbiamo ora chiesto ai direttori delle riviste di raccontare come e' nato e come si colloca il loro progetto, quali sono stati gli stimoli e le urgenze di partenza e come vedono il futuro. Dalle loro risposte emerge come e quanto condividono la filosofia di community che e' alla base di Magazines.







Intervista a Tiziana Villani
Direttrice di Millepiani, semestrale di filosofia, estetica e politica


a cura di Silvia Maria Rossi

Solitamente è in una stanza che prende vita una rivista, nel vostro caso?

In una stanza, a casa mia, ma anche grazie a Primo Moroni presso la Libreria Calusca di Milano. "Millepiani" è un progetto nato in realtà in una maniera abbastanza particolare, innanzitutto per il periodo: erano i primi anni '90 e continuava ad essere assente in Italia, negli anni in cui in campo filosofico dominava il pensiero debole cioè Vattimo, Rovatti e gli altri, una sorta di filosofia critica, che pensasse la vita in una maniera "potente" come direbbe Spinoza. Abbiamo così iniziato a riflettere in questa direzione.
Io all'epoca avevo fondato con il mio ex marito la casa editrice Mimesis, ed ero alla ricerca di un gruppo di lavoro. Volevo fare un lavoro di squadra come si usava nelle riviste degli anni '20, era quello il modello che avevo in mente, ossia un modello di discussioni incrociate, di progetto "insieme".
Sulla base di questo ho raccolto delle individualità andando alla ricerca di persone che erano vicine per affezione intellettuale, ho sempre creduto profondamente nella ricerca di amicizie elettive in campo intellettuale con le quali ci si sente prossimi, vicini e si possono fare le cose con passione. Dunque la scommessa è stata quella di raccogliere tutti quelli che in quel momento erano vicini al pensiero critico francese, che in Italia era rimasto un pò in ombra, soprattutto in seguito alla lettura, importante ma riduttiva, che vi era stata di Deleuze e Guattari negli anni '70, una lettura dell'Antiedipo e di Mille piani, che era rimasta legata, alle lotte di movimento di quegli anni.
Tutto il loro pensiero era in penombra, anche le case editrici esitavano a pubblicarli. Era uscito in Francia un testo importantissimo "Che cosa è la filosofia?" che conteneva un capitolo Geofilosofia che a noi sembrava necessario offrire al pubblico italiano, perchè rispecchiava esattamente l'idea che avevo in mente: una disciplina filosofica che guardasse alla vita, ai territori, ai rapporti, ai soggetti e alle loro trasformazioni. Quindi abbiamo comprato i diritti da Einaudi, che non aveva ancora deciso di pubblicare quel testo e quindi quel capitolo, poi abbiamo raccolto intorno a questo iniziale progetto di nuova rivista, tutti coloro che potevano essere intellettuali o persone sensibili all'argomento.
In questo progetto è entrato in maniera decisiva Primo Moroni, animatore della libreria Calusca, che aveva richiamato intorno a sè tutta l'intellettualità eretica, non allineata di quel periodo. Grazie a lui e a mie conoscenze ho radunato un gruppo di amici fondatori, da Balestrini fino a Fadini, Virilio, Daghini e molti altri, che hanno animato questo progetto di libro-rivista.
Millepiani è partito in una maniera entusiastica, ed è stato favorito da un momento politico particolare: c'era voglia di uscire dagli schemi di un pensiero accademico, che ormai pubblicava per ripetersi e soprattutto per codificarsi, e da un antiaccademia molto simile all'accademia in verità, molto strutturata e molto chiusa in un'idea politica arcaica. Invece noi eravamo alla ricerca degli spazi di libertà, eravamo ossessionati, io soprattutto, dall'idea che fosse possibile fare ancora una ricerca artistica e filosofica, che scommettesse, che rischiasse anche di essere ovviamente criticata, e ben venga, ma non oscurata attraverso le solite strategie che poi ci sono piombate chiaramente e rapidamente addosso: il tentativo consiste, al solito, nel far passare sotto silenzio, nel non dire, insomma tutti quei maccanismi che cercano di soffocare tutti coloro che non si allineano. Invece, eravamo una realtà che esisteva, che poneva una domanda e aveva dei lettori con i quali abbiamo sempre interagito.

Cosa vi sembrava che mancasse nel panorama editoriale contemporaneo delle riviste d'arte quando avete iniziato?

Una realtà interdisciplinare che parlasse di filosofia senza temere di alterare equilibri precostituiti, dunque un fare filosofia in modo indipendente e secondo la lezione dei nostri maestri: Spinoza, Nietzsche, Deleuze, ecc.
Altro evento fondamentale per Millepiani è stato il libro che allora facemmo sulla guerra del Golfo in un momento in cui in Italia nessuno voleva scriverne, tant'è che abbiamo avuto l'aiuto da parte di Guattari, e più tardi anche di Virilio per realizzare quel libro poichè qui nessuno, a parte Formenti, io e il mio ex marito, osavano impegnarsi sull'analisi di un conflitto che veniva dematerializzato dai media. C' era una paura introiettata, un'auto censura e questo era sconcertante, come sconcertante era il silenzio che c'era in quel momento in un paese che invece aveva delle potenzialità e delle intelligenze che potevano essere messe in campo con tutto rispetto.
Devo a Primo Moroni tanto, come amico, come persona, come intellettuale raffinatissimo che sapeva connettere una rete di pensiero, cosa che in questo momento a Milano non fa più nessuno e questa è una perdita grave della Milano che io ricordo, un po' sulla scorta della mia formazione personale, ma anche della formazione del progetto Millepiani in quegli anni: una città che aveva ancora delle sue reti, delle intelligenze, delle curiosità, delle forze per mettersi assieme e non si era arresa, un bel nervo forte con tanta voglia di fare.

E oggi è cambiato qualcosa?

Intanto è finita una stagione.
Nella seconda metà degli anni Ottanta è nato il fenomeno della piccola editoria e degli editori indipendenti, ed è stato un momento molto ricco ma aveva un suo pubblico limitato.
La situazione è peggiorata perchè il sapere è di nuovo appannaggio di una elite, e d'altra parte prevale il marketing e la comunicazione del luogo comune.
Io credo che oggi ci sia un problema di mutamento dei linguaggi.
Vecchie riviste con strategie molto tradizionaliste non possono, non riescono a rispondere proprio in termini di comunicazione, che è veramente un problema concreto e importante che ci siamo posti anche noi, tant'è che ci stiamo inventando tutta una sezione di comunicazione in rete. Però io credo che il rapporto tra la rete e la carta stampata vada preso un po'come il rapporto tra la fotografia e il cinema, si moltiplicano i linguaggi, ma non si escludono l'uno con l'altro. E questo è un primo problema.
Secondo, c'è un problema di proposta.
Terzo, occorre tener conto di una sorta di depressione sociale per cui, o queste riviste sono in grado di toccare profondamente i mutamenti veloci e profondi della modernità, o altrimenti rischiano di ripiegare su di un lavoro un pò decorativo.
Noi che abbiamo sempre voluto e ospitato in maniera non occasionale una presenza artistica nel progetto Millepiani, ci rendiamo conto che in questo campo il discorso diventa più complicato, perchè l'arte oggi si pone come uno dei meccanismi più straordinari della trasformazione del capitale finanziario e delle sue destinazioni, e questo non lo si può ignorare, nè per quanto riguarda il formarsi di scuole o movimenti, nè per quanto concerne la creazione di un'identità e carriera artistica, che a volte è rapida come una meteora e a volte ha una portata un pò più lunga. Mi pare che manchi il coraggio di rischiare da parte degli artisti e di conseguenza di tutto l'apparato che gravita attorno al mercato dell'arte: gallerie, musei, etc...

Quali sono i fattori che possono influenzare l'orientamento di un Magazine? O cosa limita in qualche modo la liberta' di scelta di una rivista?

Non c'è un'apparente limitazione, le forme mentali sono depresse, le inclinazioni artistiche spesso nascono già adeguate.

Qual'è il rapporto con il territorio su cui operate?

E' stato un rapporto fortissimo, ritengo Milano il laboratorio da cui poi si diramano gli eventi italiani, ma questa è ora una città avvilita e molto provinciale, dimentica del suo ruolo.

Perchè ritieni Milano una città avvilita ?

Intanto devo dire che alla fine sono innamorata anche del suo disastro, sono una pugliese di origine ma, come recita il film di Mariano Laurenti del 1982, Si ringrazia la regione Puglia per averci fornito i milanesi...Perchè è una città che mi è sempre parsa capace di declinare insieme rigore, un certo sentimento di popolo e una voglia di essere creativi e di rischiare. Mi sembrava ci fossero queste tre combinazioni senza il cinismo che credo sia la questione grave dell' italianità. Invece a Milano non ho trovato, almeno fino agli anni Ottanta, del cinismo o dell'assenza di attenzione verso quello che capitava : se c'era un crinale europeo in Italia passava da Milano.
Inoltre sentivo, ma lo sento tutt'ora, Milano come il laboratorio nazionale: quello che succede a Milano poi trapassa anche a livello nazionale, e a dimostrazione di questo basti guardare le vicende economiche, politiche, sociali. Milano è rimasta ancora oggi profondamente decisiva nel nostro panorama nazionale, ma nel suo provincialismo attuale appare come una città che ha perso completamente la barra di orientamento, sta capitando qui e sta capitando in tutto il paese, e questo continua ad essere interessante e allo stesso tempo terribile.
Continuo a studiare e ad osservare Milano, abbiamo preparato con Out un dossier per "Urbanisme" sul Restyling di Milano decidendo di prendere parola e di dire fuori dalle righe quello che accade qui e che capiterà in Italia! Dunque questa città rimane sempre un punto di osservazione straordinario che allo stesso tempo è diventato crudelissimo, nervoso e triste perchè è come una radice che non germoglia più. Questa è una città che ha fatto la Resistenza, che non si è mai negata alla storia, che ha avuto le avanguardie e ha sperimentato la seconda generazione delle avanguardie, quindi si è ripensata in una maniera carnale, in una maniera che faccio fatica a riscontrare altrove.
Oggi tutto questo è rappreso in uno smarrimento di senso, perchè in fondo vince una banalizzazione del vivere, che io non credo appartenga alla tradizione culturale milanese, che è quella di dire tiro a campare, faccio il mio micro interesse, non rilancio, non penso, non progetto.

In che modo una rivista può porsi come strumento di critica e riflessione?

Una rivista è necessaria sino a chè realizza un progetto che riesce a toccare le trasformazioni in corso, credo che ci siamo in parte riusciti, scontando i costi dell'anticipazione e della "scopiazzatura" che comunque andava messa in conto.
I rischi sono sempre le parole d'ordine e le derive modaiole, come è accaduto nel caso del "nomadismo", concetto ancora oggi necessario.

E' importante per voi riuscire a raggiungere anche un pubblico di non addetti ai lavori? E cosa comporta essere entrati nella community di UnDo.net con Magazines ?

Abbiamo scelto di lavorare con Out, Isola Art Center perchè li' ci sembrava passasse una proposta fortemente innovativa e abbiamo scelto di lavorare con voi perchè c'era un discorso di "orizzontalizzazione", che poteva sembrare arrischiato, ma molto deciso nell'andare contro la pura commercializzazione e offrire una panoramica a 360 gradi in ambito artistico e culturale.

Come valutate la vostra partecipazione a Magazines ? Cosa vi ha spinto a partecipare? Qual'è l'aspetto più interessante di questa collaborazione ?

Ci interessa moltissimo! L'esperienza di UnDo. Net è stata rilevante al fine di sperimentare un nuovo modo di proporre i nostri argomenti incrociandoli con dimensioni diverse dalle nostre, sia per storia, sia per progetto. Soprattutto ci piaceva il "rizoma" messo a disposizione...

Mi piace la definizione di Magazines come rizoma...

... un sistema, in un ambito cosi' asserragliato da dinamiche di marketing; ecco questo è un progetto che non è una semplice offerta di servizi, ma un'offerta di contatti, di concatenazioni.
L'ho trovato un progetto assolutamente intuitivo e innovativo, l'unico credo nel panorama italiano, un progetto che cerca non tanto la valorizzazione del singolo, del luogo e della postazione, ma un meccanismo di contaminazione che produce esiti che si vedranno, si lasciano aperti, sono liberi. Il meccanismo è quello della concatenazione, una specie di gioco delle biglie, di scommesse che aprono un versante altro dei linguaggi artistici e che nell'arte trova ancora un sensore.

E questo principio è un pò alla base di tutti i progetti UnDo.Net...

Bisogna trovare delle strategie per rilanciare, un lancio di dadi, che è poi il lancio di dadi usato da Nietzsche come grande metafora del pensiero che contamina e va al di là degli schemi, o, per dirla con William Burroughs, il linguaggio, i linguaggi sono un virus, dobbiamo trovare i modi per moltiplicarli, anche tra discipline apparentemente diverse e catalogate come distanti e che invece hanno da sempre una profonda frequentazione e commistione, occorre trovare i modi di concatenarle e contaminarle.

Qual'è la domanda che ti piacerebbe di più sentirti fare ?

Come spendere la vita e i progetti che si ha voglia di mettere in campo, come, con chi e con quali modalità riuscire a realizzarli.


Millepiani in Magazines:

La scheda della rivista

Anarchismo borghese e democrazie autoritarie , di Felix Stalder da Millepiani N.33, gennaio 2008.
Sommario del N.33

Geografie del concetto ed esercizi di libertà nell'età della tecnica , di Ubaldo Fadini da Millepiani N.32, aprile 2007
Sommario del N.32

A colloquio con David Lyon, intervista a cura di Davide Calenda. Millepiani N. 31, settembre 2006
Sommario del N.31

Immaginare ambiente, di Tiziana Villani. Millepiani N.30, febbraio 2006
Sommario del N.31

Immagini:

home page: William S. Burroughs, immagine tratta da www.millepiani.org
Bert Theis, immagine di copertina del n.33
Bert Theis, Isola art Center, Millepiani n. 33
Millepiani n.32, immagine di copertina di Ernest Pignon-Ernest
Cipri e Maresco, Il ritorno di Cagliostro, 2003 dal n. 31
Immagine di copertina del n. 31 di Alexandre Hirsch.
immagine di copertina del n.30: Regina Josè Galindo, Quien puede borrar las huellas ?


Silvia Maria Rossi è laureata in Scienze dei beni culturali, indirizzo storico artistico, all'Università di Brescia, specializzata in Comunicazione e organizzazione dell'arte contemporanea all'Accademia di Belle arti di Brera. Ha collaborato con i servizi educativi della GAMeC di Bergamo e con l'archivio Guglielmo Achille Cavellini di Brescia. Dal 2005 collabora con UnDo.Net come curatrice del progetto Magazines

Quest'intervista in formato PDF da stampare

staff@undo.net



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