Daniel Gontz è un artista senza peli sulla lingua che vive a Bucarest dopo aver passato molto tempo all'estero. In questa intervista spara a zero su politiche urbanistiche e sistema dell'arte romeno, ma, secondo lui, la città offre oggi molti più stimoli e possibilità di altre stagnanti capitali europee. Quasi cinicamente parla dell'importanza della "confezione" anche per i "prodotti" artistici, ma poi si scopre una sua "mission divulgativa" alla base del MediaLab di prossima apertura al Museo Nazionale d'Arte Contemporanea di Bucarest, di cui sarà il responsabile.
Ed anche lui, come quasi tutti gli intervistati dal progetto Ţuică sulla situazione artistica della Romania, confida molto nella recente libertà di viaggiare in Europa senza più barriere.
Intervista a Daniel Gontz
artista (Bucarest, 1978)
A cura di Eleonora Farina
Gontz, ovvero Daniel Gontz, ovvero Casa Gontz. Non sei solo un artista, sei una vera e propria impresa per l’arte contemporanea. Raccontaci di te, della tua esperienza all’Accademia di Belle Arti di Vienna (dove ti sei diplomato nel 2005) e del tuo ritorno a Bucarest. Cosa hai riportato dalla tua avventura all’estero?
All’inizio non avevo l’intenzione di creare un’impresa per l’arte contemporanea. In seguito ho però deciso di separare il mio lavoro artistico più personale da quello più commerciale. Quindi ho fondato la società Casa Gontz, che oggi è una vera e propria impresa a Bucarest e che lavora su idee differenti da quelle dei miei progetti artistici più puri. Anche se Daniel Gontz è l’unica persona facente parte di questa impresa.
L’esperienza all’Estero mi ha insegnato fondamentalmente due cose: la prima è il porsi sempre la domanda “Perché?”. Qualsiasi cosa stai facendo, qualsiasi cosa succeda, la cosa fondamentale è chiedersi “Perché?”. Se ti poni questa domanda e trovi anche una risposta, allora stai lavorando su un’idea valida; se invece non ce l’hai, allora impegnati a trovarla. La seconda cosa è il “confezionare”: il modo di confezionare una cosa, qualsiasi essa sia; se non si confeziona bene un prodotto si sta lavorando per niente, perché nessuno presterà attenzione ad esso. Nonostante si ripeta in continuazione che il contenuto è il fattore determinante, in realtà l’unica cosa veramente fondamentale è la sua confezione.
Secondo te, il fatto di essere romeno influenza il tuo lavoro o lo hanno condizionato di più i tuoi studi in Austria? Perché sei tornato a casa?
Certamente c’è una grande differenza fra me ed altri artisti, proprio per il fatto che sono romeno. Nello stesso tempo questo è per me molto strano, perché io ho vissuto un terzo della mia vita all’estero (la maggior parte in Austria, ma poi anche in altre nazioni) e questo ha determinato molte cose del mio modo di pensare. Ho certamente una visione più distaccata rispetto ai problemi nazionali; guardo alle cose un po’ più dall’esterno.
Le sfide sono molto grandi e importanti qui in Romania. Questo è il motivo per il quale sono tornato. Ho la netta sensazione che in Romania ci siano più possibilità di sviluppare i propri progetti rispetto all’Europa Occidentale. In Romania i progetti si possono portare avanti decisamente meglio e sicuramente in modo più veloce; c’è la grande possibilità di sperimentare. Inoltre io amo Bucarest, qui sono nato e cresciuto, qui ho moltissime conoscenze e quindi per me è anche più semplice realizzare qualsiasi cosa io abbia in mente.
Quando mi sono trasferito pensavo di studiare in un’altra università per crearmi una mia consapevolezza. Però vivendo all’estero rimani sempre e comunque un outsider, ed è quindi tutto molto più difficile. Con l’Austria c’è sempre stato un intenso rapporto culturale; è un retaggio del passato, del periodo dei giovani che hanno costruito la Romania Moderna, nel XIX secolo. A quei tempi era normale che i ragazzi andassero a studiare a Vienna, a Berlino o a Parigi. Quindi queste tre città hanno un significato speciale nella memoria dei romeni. E quando tu decidi di andare a studiare all’estero e poi torni a casa, ti porti con te un po’ di queste memorie del passato. A quel punto torni indietro e fai qualcosa per il tuo Paese. E’ così che funziona.
Sei un artista che usa molte forme espressive, dalla fotografia, alle azioni performative, ai video. Sempre comunque usando le cosiddette nuove tecnologie. Ti sono mai interessate la pittura o la scultura, media così detti classici, o invece li hai subito scartate? E se sì perché?
In realtà ho provato, o meglio avrei voluto provare ad avere un approccio con tela e pennello; ma il problema è che non so come si disegna. Non so come usare le mie mani per fare questo genere di cose. Questo è il motivo per il quale ho sempre lavorato con le nuove tecnologie. Il mio insegnante all’accademia in Austria ha provato a mostrarmi che chiunque può imparare a disegnare. Ho passato molto tempo con lui e comunque ancora ho problemi a riprodurre un tavolo in modo corretto dal punto di vista prospettico!
Nel 2002 hai iniziato con le fotografie, mezzo che utilizzi ancora tanto. Lavori come ad esempio Connections, acquisito dal Museo Nazionale d’Arte Contemporanea di Bucarest , li senti ancora tuoi?
Ho iniziato con la fotografia, perché tutto parte dalla fotografia; anche il video è una serie di fotografie, circa 25 al secondo. Oggi continuo ancora a fare fotografie, però ho affiancato a queste altre tecniche che hanno sempre a che fare con l’immagine catturata. Quando guardo ai vecchi lavori penso che ora li potrei fare meglio, che avrei molte più idee per realizzare gli stessi progetti. Per fortuna però le opere devono essere rese pubbliche a un certo punto, anche per non avere più la possibilità di cambiarle; altrimenti si potrebbe veramente diventare pazzi rivendendo sempre lo stesso lavoro, in un work in progress perenne… E’ importante avere una deadline, un opening o qualcosa del genere; in quel momento il lavoro è uscito e tu non puoi farci più niente.
Il 2008 è stato un anno particolare, perché ho interrotto quasi tutta la mia attività artistica. Ho deciso di dedicarmi alla mia vita personale, ad esempio a comprare una nuova casa, a sposarmi e ad avere un figlio. Tutto ciò è stato per me un momento anche per ridisegnare quello che stavo facendo. Inoltre in Romania ci sono state le elezioni politiche e avrei certamente avuto seri problemi, perché ogni cosa che fai a Bucarest diventa politica nell’anno delle elezioni, soprattutto se viene fatto in un luogo pubblico. Ora sto iniziando nuovamente tutto da capo; sto cercando di ridefinire tutto, perché questo anno passato ha portato tanti cambiamenti nella mia vita.
Con Casa Gontz hai realizzato numerosi progetti trasversali, azioni performative a volte, installazioni di arte pubblica altre. Mi riferisco soprattutto a SpTv del 2004, una televisione open source su internet, che crea uno spazio al di fuori del mainstream; una piattaforma democratica dove ognuno può diventare un broadcaster.
O anche a Hotel Gontz del 2005, un grande party di apertura di una mostra (ma solo quello), nato dall’idea che le esposizioni vengono apprezzate esclusivamente durante le serate della vernice. Come anche a PolTur del 2005, la online Political Tourist Agency che pubblicizza un viaggio nella transizione della nazione romena dal comunismo alla dittatura, con i problemi che ciò ha comportato. Infine Market del 2006, nel quale manipoli delle fotografie di supermercati e nel quale i cartelli informativi di reparti e prodotti vengono sostituiti con quelli della vendita di conoscenze, con la consapevolezza che la distribuzione del mercato è ormai simile alla produzione di queste ultime.
Lo spazio pubblico è veramente molto strano. Da una parte io sono abbastanza conosciuto grazie alle azioni pubbliche; dall’altra parte però le persone non sanno cosa fare di me. La maggioranza sa solo il mio nome e magari non sa neanche perché. E questo è un problema molto frequente a Bucarest: le persone non sanno assolutamente cosa succede intorno a loro. Questo è il motivo per il quale gli artisti non lavorano molto sulla relazione con il pubblico, sulla coscienza di massa. E questo è anche il motivo per il quale la maggioranza delle persone è uniformata nella conoscenza degli eventi. Bucarest è una città molto creativa grazie ai suoi numerosi contrasti ma, qualsiasi cosa tu faccia nel mondo dell’arte, la maggioranza delle persone non è in grado di capirne il perché. Regna ancora l’idea che gli artisti fanno cose “cattive” che si vedono nei musei o nelle gallerie o, al contrario, cose deliziose con belle immagini a colori e basta. Questo non vale solo per Bucarest, ma per tutta la Romania. La maggior parte delle persone non sa niente di quanto è stato fatto dopo l’Impressionismo, pochi arrivano a Duchamp. Il problema è soprattutto quello di conoscere il linguaggio dell’arte; come ogni altra lingua, anche questa va imparata. Parlarla e insegnarla è proprio ciò che noi vogliamo fare qui al MNAC, con il MediaLab.
Per quanto riguarda il progetto PolTur prima di tutto prendeva in considerazione il luogo dove era ambientato, ovvero il Palazzo del Parlamento. Volevo essere molto ironico nei confronti dei politici e farlo non è difficile perché c’è veramente tanto materiale su cui lavorare!
Hotel Gontz è stato invece un progetto molto bello che non si è mai realizzato. C’è il sito web e tutti noi avevamo già iniziato a lavorarci, ma poi abbiamo avuto dei problemi con lo sponsor, che all’inizio ci dato il suo appoggio e poi ha cambiato idea. Io personalmente ho perso molti soldi per coprire alcune spese. Ma era un buon progetto e a me ancora piace. Infatti, se fai caso alla maggior parte delle mostre, queste hanno dei bellissimi party e dei vernissage che sembrano dei veri e propri show. Però poi, nei giorni seguenti, nessuno viene a vedere la mostra e a capire quello che c’è veramente dietro. E qui torniamo nuovamente al discorso della “confezione”.
Bucarest: cosa pensi di questa città, per quanto riguarda la scena artistica? Potrà essere, in futuro, una capitale dell’arte europea? Tu hai lavorato parecchio con la capitale romena, ad esempio quando nel 2007 hai colorato l’acqua delle fontane di Bulevardul Unirii (E101). Cosa ha significato per te? Il progetto è arrivato addirittura negli USA! Un altro tuo intervento in uno spazio pubblico sempre a Bucarest è stato Bulina Albastra (Punti Blu, 2007), nel quale riprendi i punti rossi che indicano le case pericolanti in caso di terremoto e li cambi in punti blu che indicano la tristezza degli edifici nati negli ultimi 15 anni in città.
Sempre tornando al discorso di prima, anche le fontane colorate nel centro di Bucarest sono una mera questione di “confezionamento”. Il progetto verteva intorno all’idea di rivitalizzare un’aerea urbana, un luogo importante del centro di Bucarest ma molto freddo nella sua architettura socialista, completamente grigia, veramente poco piacevole.
Molte persone hanno provato negli anni ad aprire caffè e differenti tipi di locali, ma tutti hanno chiuso dopo un breve periodo. Non si sa il perché, ma comunque è un posto che non piace e dove nessuno vuole stare a lungo! Il concept delle fontane colorate aveva diversi livelli interpretativi: il primo era certamente quello di ridar vita a quell’area, di portare un po’ di confusione all’interno di uno spazio così duro, potente, pulito e socialista; il colore era qualcosa di assolutamente diverso che non aveva niente a che fare con la “bella” immagine della Casa del Popolo alla fine della strada.
Io volevo creare un’enorme fontana rosa e, partendo da quella, utilizzare tutte le possibili gradazioni di colore dell’arcobaleno... Molte persone venivano lì solo per sedersi sul bordo delle fontane, per parlare: era diventato un luogo di tendenza. Un sabato ricordo che stavo riempiendo l’acqua di colore e stavo documentando la scena; in tre quarti d’ora ci sono state tre coppie di neo-sposi che si sono fermate lì davanti facendo le foto del loro matrimonio!
Un altro livello di lettura del lavoro, ovvero quello più profondo, riguarda invece l’utilizzo di agenti chimici nel cibo. Infatti gli agenti utilizzati per colorare l’acqua sono gli stessi che noi mangiamo e beviamo ogni giorno. Questa è anche la motivazione per il titolo dell’opera, E101, ovvero il colorante che serve, nell’industria alimentare, a far diventare i cibi gialli; se vuoi qualcosa di giallo devi usare questo: si legge su tutti gli involucri degli alimenti. Invece l’E241 è il colore rosso. E’ qualcosa che mangiamo quotidianamente; questo significa che l’acqua delle fontane era potabile.
Inoltre il progetto è stato realizzato nei giorni più caldi di Bucarest. In tutta la Nazione c’era un’enorme mancanza d’acqua e non c’erano piogge da tempo. Il sud del Paese era completamente arido e quindi il mio progetto fece molto scalpore. Ma il punto è proprio rendersi conto della situazione: in Romania moltissime aziende hanno iniziato a far uso di agenti chimici non prestando assolutamente attenzione ad aspetti di natura ecologica.
C’è quindi un’enorme responsabilità sociale in tutto ciò. Alcuni giornali sollevano questi problemi, ma in realtà non si pongono le giuste domande: ovvero quanti additivi ci sono nelle cose che mangiamo? quanti in quelle che beviamo? Ci sono alcune bellissime foto delle fontane e, sullo sfondo, l’enorme pubblicità del Frutti Fresh, la bevanda energizzante. Se io avessi messo un po’ di aroma nell’acqua delle fontane, il liquido sarebbe stato praticamente uguale a quello del Frutti Fresh!
Questo per dire che c’erano veramente tanti spunti di riflessione in questo progetto, ma ovviamente la stampa si è fermata solamente a quello più superficiale, ovvero la necessità di dover colorare le fontane in una parte grigia della città. Molte persone hanno protestato a causa dell’utilizzo dell’acqua. Ma io avevo chiesto il permesso al Comune per realizzarlo; ci ho messo due giorni e il risultato è rimasto visibile per circa due settimane (dopo due settimane è indispensabile cambiare l’acqua nei basamenti e quindi il colore lentamente va via).
Negli Stati Uniti invece fu differente, perché fu chiaramente un gioco commerciale. Alcune persone di un’agenzia di New York mi chiesero se potevano comprare il progetto e utilizzarlo esclusivamente con il colore rosso. Il problema è che alla fine si dimenticarono di pagare, ma questo è classico! E’ il problema di essere un artista dell’Est Europa.
Invece Bulina Albastra è stato un progetto molto divertente che nello stesso tempo sollevava questioni molto importanti e tutt'ora discusse. Il lavoro riflette sui molti edifici che vennero costruiti dopo la Rivoluzione, che sono brutti e che non tengono assolutamente in considerazione le strutture vicine. Questo progetto è stato realizzato con alcuni architetti, i quali però hanno preferito non pubblicare i loro nomi; la maggior parte delle persone che costruiscono questo tipo di edifici fanno infatti parte dell’Associazione degli Architetti e ricoprono dei ruoli importanti in essa. Il fattore che ha portato alla nascita di queste costruzioni è stata la necessità di spendere poco per realizzarli. In teoria il Comune dovrebbe discuterne, magari cancellare queste strutture e prendersi cura di ciò che sta succedendo a Bucarest. Ma non lo fa.
A Bucarest ci sono delle magnifiche strade che dovrebbero essere tenute sotto controllo grazie ad un piano regolatore, come d’altronde succede nel resto dell’Europa. Qui accanto a belle strade e a begli edifici si vedono questi enormi mostri che non c’entrano niente. E perché? Solo per un fattore economico. Io vivo qui e sinceramente questo mi urta. I cittadini non hanno nessuna coscienza e conoscenza riguardo l’architettura; pensano che sia tutto un mero discorso teorico. La maggior parte delle persone non si pone domande; e questa è una delle eredità del nostro passato comunista: nessuno si interessa, perché nessuno pensa che sia anche un proprio problema.
Parlando con la gente, mi sembra evidente che la Romania abbia subito e stia ancora subendo un enorme, continuo cambiamento, che è passato anche attraverso l’entrata nell’Unione Europea. Cosa pensi sia migliorato nel modo di recepire l’arte contemporanea e cosa è peggiorato?
Peggio non può certamente essere! Ma c’è da notare una rinnovata organizzazione dell’Istituto di Cultura Romena che ha infatti iniziato a fare il proprio lavoro seriamente, smettendola di promuovere danzatori popolari e cose del genere. Inoltre sono sempre di più le corporazioni romene che hanno programmi di responsabilità sociale e che cominciano a devolvere i loro soldi anche all’arte contemporanea.
Ma la cosa più importante che ora è possibile viaggiare liberamente in Europa, una cosa fondamentale (nonostante alcuni politici non lo capiscano). Gli studenti possono viaggiare anche solo per divertimento, senza aver bisogno di un invito, della prenotazione dell’hotel, del biglietto del treno e di qualcuno che garantisca per loro. Possono partire con una tenda per andare a incontrare altri amici (cose che lo Stato prima non permetteva assolutamente).
Grazie a questo molti giovani possono vedere cosa succede al di fuori di questo Paese; si possono rendere conto di qual è il livello dell’arte in altre nazioni. Alla fine l’arte è uguale da tutte le parti, è universale e le persone del mondo dell’arte (dalla Cina all’America) tendono a perdere le loro specificità nazionali; l’arte è una cosa veramente globale.
Se si vuole osservare il movimento delle cose, basta prestare attenzione a quello che fanno gli artisti. Ma per stare dietro agli artisti devi essere tu il primo a poterti spostare da una nazione all’altra. Questa è una cosa normale per la maggior parte degli europei: sono nati a Vienna ma poi sono andati a scuola in Germania, si sono trasferiti a Roma e da lì si sono spostati a Barcellona per alcuni anni, poi sono passati a Milano e ora lavorano da qualche parte in Polonia… Mai a Bucarest però, perché è troppo lontana dai confini del resto dell’Europa.
Bucarest non è una reale possibilità, perché ci vuole troppo per raggiungerla. Inoltre non è molto che esistono i voli low cost. Ognuno in Europa può essere estremamente mobile e non ha più molto senso affermare “Io sono italiano” o “Io sono tedesco”; ora si dice semplicemente “Io sono Europeo”!
Per un artista la Romania rimane un bellissimo ma strano buco nero. Se infatti fai qualcosa a Roma, a Londra, a Parigi o a Berlino tutto il mondo ti vede; se lo fai a Bucarest ti vedono solo qui a Bucarest. Non ci sono soldi nel campo dell’arte e l’arte invece ha molto a che fare con questi.
Se non ci sono abbastanza soldi nel mercato dell’arte, non ci sono investimenti da parte delle grandi case editrici (come ad esempio “Parkett”) al fine di presentare la scena locale e raccontare cosa sta accadendo. Inoltre in genere gli artisti importanti lavorano nei grandi centri dell’arte; ciò significa che tutto è estremamente concentrato. Ripeto che questo è un mero problema di soldi e non ha niente a che vedere col nostro essere dell’Europa dell’Est o anche con l’essere a Bucarest, a Budapest o a Braşov.
A giugno il MNAC inaugurerà il dipartimento di nuove tecnologie, il MediaLab. Grazie a un premio ricevuto dal Governo giapponese tu dirigerai questo dipartimento, da una parte producendo progetti interni e dall’altra facendo degli open call per la presentazione di proposte di giovani artisti romeni, ai quali sarà data assistenza tecnica. Cosa speri, sogni per questo dipartimento?
In realtà ancora non sappiamo se si chiamerà MediaLab. Stiamo cercando un nome, o meglio l’agenzia pubblicitaria sta lavorando a questo. Sono loro che si occupano di confezionare la nostra identità. Ci sono molti miei colleghi che hanno studiato all’accademia d’arte e che si sono resi conto che vivere da artisti è molto faticoso perché non hai mai abbastanza soldi. Hanno quindi iniziato a lavorare nelle agenzie pubblicitarie; forse non sono contenti ma almeno portano soldi a casa. Tra di loro ci sono ancora delle persone che si rendono conto di cosa è l’arte ma non hanno mai avuto la possibilità di entrarci veramente.
La mia idea è quindi quella di far collaborare le agenzie pubblicitarie nel nostro progetto per utilizzare la loro creatività, per attrarle nel mondo dell’arte, per farle lavorare a diversi progetti. Credo infatti che il MediaLab debba essere molto di più di una casa di produzione per i new media. Almeno così la vedo io. Anche perché noi non abbiamo il budget necessario per fare ricerca. Per questo motivo, anche, abbiamo bisogno di un altro nome; un medialab in teoria dovrebbe fare ricerca sui nuovi media, ma una vera ricerca non può essere fatta con budget 0 e con gli stipendi delle persone che lavorano qui che sono uno scherzo.
Questo è il motivo per il quale abbiamo deciso di essere anche una casa di produzione, nel senso di creare qui un ‘melting pot’ di persone piene di idee che collaborano con noi che invece abbiamo le capacità tecniche. Allo stesso tempo vogliamo comunque produrre installazioni, vogliamo cercare di utilizzare le nostre capacità per realizzare dei lavori che riflettano il nostro modo di pensare. Siamo quattro: uno di noi è il genio tecnico e gli altri tre sono artisti.
Quello che vogliamo per questo MediaLab è far partire immediatamente alcuni progetti per far interessare le persone a quello che succede in questo museo, per renderlo popolare, per presentarlo in un modo divertente e semplice; non un qualcosa che puoi leggere in un libro di curatela (molte delle persone non sanno neanche chi è un curatore!).
Viviamo in un mondo dove la gente è sempre più pigra e quindi ha bisogno di avere già tutto fatto, una confezione semplice da capire. Se già dall’inizio si è chiusi e rigidi, non si crea un’interazione e quindi il meccanismo non funziona né da una parte né dall’altra. Siamo noi che dobbiamo andare nella direzione dei nostri visitatori!
Dobbiamo fare rumore in città per stare sui nervi alle persone e scatenare così una discussione. Il nostro lavoro dovrebbe essere in relazione non solo con l’arte ma anche con la società, iniziando già domani a confrontarci con necessità reali e non solo con quelle personali.
In quanto artista romeno, quanto pensi di essere apprezzato all’interno dell’art scene internazionale, perlomeno di quella europea? Credi che la Romania si stia ponendo e imponendo quale realtà ben identificabile o invece che sia ancora nel grande calderone di “Paese dell’Est Europa”?
Non ho la minima idea di quanto sono apprezzato. La maggior parte degli artisti romeni che vivono in Romania non sono rappresentati da gallerie internazionali e non lavorano con curatori internazionali; al massimo con curatori romeni che vivono all’Estero. Solo gli artisti romeni che riescono a vivere al di fuori del Paese e sono attivi in altre nazioni riescono a lavorare con curatori di quella stessa nazione. Le gallerie romene non sono abbastanza potenti per promuovere un dato artista all’estero e la maggior parte dei curatori romeni non ha ancora costruito il giusto network di relazioni internazionali.
Allo stesso tempo non c’è nessuna pubblicazione romena che venga esportata e che faccia luce su quello che sta succedendo qui. D’altra parte noi romeni non facciamo molto per andare all’estero, bisogna pur dirlo!… Il problema fondamentale è la comunicazione; non basta lavorare all’ambasciata e promuovere una mostra di artisti romeni. E’ fondamentale attrarre persone, e per fare questo sono necessarie tante diverse componenti. Questo è lo stesso meccanismo che rende popolare una marca di abbigliamento piuttosto che un’altra.
Comunque ora, con questa crisi, ogni cosa è in bilico, in attesa; e certamente molto cambierà, in meglio (come ho già detto, peggio non può essere). In sostanza, la differenza è se si ha un pesce o uno squalo in un acquario. Christo non sarebbe stato Christo se avesse impacchettato una piccola fabbrica sconosciuta. Io, ad esempio, avevo testato i colori per il mio progetto E101 in una piccola fontana vicino l’università, solo a una fermata di metropolitana dal luogo prescelto. Ma questa prima prova non ha scatenato niente, nessuna reazione; è anzi passata inosservata.
Dove stai andando con il tuo lavoro? Quali sono i tuoi progetti futuri?
Inizierò nuovamente a lavorare nello spazio pubblico, cercando di sollevare e porre alcune domande. Anche il MediaLab è un mio progetto artistico; non è solo uno spazio espositivo e io non sono solo un funzionario pubblico. Un terzo del mio tempo lavorativo sarà riservato ai progetti che veramente amo, ad esempio le fotografie, la parte più personale; un terzo alle azioni pubbliche, un terzo al MediaLab stesso, alla sua organizzazione perché diventi un progetto importante.
Link utili:
www.gontz.com (Gontz, l’artista)
http://blog.gontz.com (Daniel Gontz, blog privato)
http://casa.gontz.com (Casa Gontz, la società d’arte)
Artistul Daniel Gontz, societatea Casa Gontz fa parte del progetto Ţuică sulla situazione artistica della Romania, a cura di Eleonora Farina in collaborazione con UnDo.Net.
Informazioni generali sul progetto Ţuică
Magazines featuring Ţuică: Revistă de artă din România (26/1/2009)
Argomenti feat. Ţuică: Paradisul al Suzanei Dan (9/2/2009)
2Video feat. Ţuică: Personalità (22/2/2009)
2Video feat. Ţuică: Collegando (1/3/2009)
Making Culture feat. Ţuică: Dan Popescu: un galerist romantic din Est (15/3/2009)
Argomenti feat. Ţuică: Un muzeu istoric pentru arta contemporana, la Sibiu (29/3/2009)
Eleonora Farina è laureata all'Università di Roma La Sapienza in storia dell'arte contemporanea. Ha curato il progetto di arte pubblica “Imperceptible Vision” con l'artista Marina Fulgeri. Dopo un anno di lavoro a Berlino, attualmente vive in Romania e lavora presso il Museo Nazionale d'Arte Contemporanea di Bucarest. Collabora con UnDo.Net e con la rivista “Arte e Critica”.