Attraversare le contingenze allargando le prospettive

24/06/2012
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Impressioni dOC # 2

Seconda parte della serie di opinioni su dOCUMENTA(13) raccolte a caldo da Barbara Fässler durante i giorni di opening. Condivisione, repulsione e curiosità di occhi allenati e tipi caratteriali...



Marcella Anglani, a sinistra












Bazon Brock













Bernardo Giorgi











Gabi Scardi









Paola Gaggiotti











Wilma Kun









Massimo Uberti









Lelio Aiello









Harald Noll









Le foto ritratto sono di Paolo Bergmann (tranne la prima)


Marcella Anglani, docente di storia dell'arte, Brera Milano

Il piano terra del Fridericianum è a mio avviso quello che possiamo definire in modo semplice e diretto "un colpo da maestro": le sale vuote, il vento (il lavoro di Ryan Gander), la canzone che ripete insistentemente la frase I'll just keep on … till I get it right (Ceal Floyer) tutto spinge a porre immediatamente il visitatore in uno stato di ascolto.
Il segno forte del curatore c'è ma penso si evidenzi proprio nell’assenza di dichiarazioni programmatiche o assertive, piuttosto, al contrario, si afferma, in maniera poetica - come sembra suggerire anche la foto della Documenta del 1955 con la donna a piedi nudi davanti alle sculture di Julio Gonzàles - proprio la volontà di riprendere un atteggiamento libero e non ideologico e, perchè no?, un punto di vista femminile, meno analitico e più legato a una visione lirica dell’arte.
La Rotonda che la curatrice chiama "The Brain", la Mente, io l'ho vista piuttosto come il cuore pulsante di tutta la mostra, del resto in oriente mente e cuore corrispondono e non esiste la contrapposizione tra il cuore come sede dei sentimenti e la mente come sede del pensiero.
Nella Rotonda si coglie un altro segno curatoriale forte di questa Documenta, la mancanza di una cornice, (questa la critica che ho sentito da più parti) è infatti a mio avviso voluta: si adottano innumerevoli punti di vista e si decide di vagare nel tempo e nello spazio alla ricerca di segnali, o semiofori, ovvero oggetti che persa la loro utilità diventano portatori di significati altri, un ponte tra l’osservatore e il nascosto, tra il visibile e l’invisibile, il lontano o l'assente.
Inoltre mi sembra che gli innumerevoli oggetti, opere, foto, presenti nella rotonda siano frutto di una scelta personale della curatrice che intreccia la sua personalità, il suo essere coinvolta in prima persona, alla Storia contemporanea, alla Memoria, all’Arte, e alla Politica, intreccio che mi sembra si evinca in quasi tutti i lavori presenti.
Mi sembra inoltre che il richiamo alla responsabilità e all’impegno individuale nonché l'unione tra punto vista singolo e collettivo, siano aspetti che emergono in maniera preponderante in tutta questa Documenta.


Bazon Brock, professore di estetica e mediazione artistica a Wupperthal (D)

La Documenta è una presa in giro locale di ciò che succede a livello globale e che si vende oggi sotto il nome di “Global Art”.
Il mercato dell'arte globale significa che ogni tessuto batik della Tailandia e ogni costruzione di sabbia della Cina del Sud è vendibile come arte. Ciò vuol dire che gli strateghi del mercato hanno inventato la “Global Art” per vendere sempre più banalità come arte.
Perché il label “arte” è il tema di vendita migliore. Poiché l'arte costa cara, deve essere buona. Un fatto molto gradito a un commerciante. Nessuno sconto, nessun rincaro, tutto è qualità perché il prezzo è giusto.
Questa storia di chiamare arte ogni colpo di tosse, ogni gesto con il dito, ogni farina finita sul tavolo di cucina, ci porta direttamente alla sparizione dell'arte e della scienza.
“Global Art” è presumibilmente l'estensione della visione occidentale sul mondo intero. E ciò non vuol dire altro che si butta tutta la merda occidentale sul resto del mondo. Si dà la speranza ad ogni essere umano africano oppure asiatico che anche lui è un artista, perché anche lui fabbrica qualcosa con le mani nella neve o nella sabbia.
Questo generalizzare, questo dichiarare ogni atto creativo come arte, finisce per dissolvere l'arte in quanto tale.
La Documenta è un'agenzia quasi maleducata della perversione che rappresenta la “Global Art” e ciò che mostra non è altro che esotismo. Come un tempo, quando si urlava: “venite tutti a vedere, abbiamo una scimmia dal Giappone”. Il Principe di Kassel collezionava come curiosità, trecento anni fa, rappresentanti di popoli esotici, persone del Congo, dell'Oceania etc.
La Documenta segue esattamente lo stesso principio. La curatrice instituisce un'esposizione di popoli, lei è la domatrice al centro che fa schioccare la frusta e tutto il pubblico imita il suo teatro delle scimmie. Non ci sono più né arte, né scienze. La “Global Art” è la morte di tutto.


Bernardo Giorgi, artista, Siena e Berlino

Non m'interessa particolarmente entrare nel merito dei singoli lavori, per quanto potrebbe essere bello come percorso, ma ciò che credo sia importante è l'atteggiamento che la curatrice è riuscita ad assumere, che per alcuni aspetti è un atteggiamento nuovo.
È un percorso interessante, a volte Carolyn ha avuto un po' troppo bisogno di creare sponda per paura di essere andata troppo oltre, e infastidisce pensare che ancora abbiamo bisogno di sponde. Però è molto interessante il filo conduttore nascosto; se ne sente il soffio...
Credo che si porti l'attenzione sul fatto che quello che chiamiamo realtà è l'ultimo stadio di vari livelli di coscienza e quindi si cerca di svelare quello che c'è all'interno della visione e quello che c'è stato nel tempo rispetto alla visione. Siamo fortunati, questo è un periodo molto interessante e molto difficile.
Noi artisti abbiamo un ruolo particolarmente importante ora rispetto alla nostra opera, credo che dovremmo riuscire a mettere in primo piano il bene comune per riuscire ad aiutare tutti a passare oltre. A superare questa barriera che ci troviamo di fronte, questo limite che è sia interno che esterno.


Gabi Scardi, critico d'arte e curatrice, Milano

Quello che ho visto è una mostra che ho trovato abbastanza straordinaria per le prospettive che apre.
Rispetto ad altre manifestazioni che abbiamo visto recentemente e in cui la forma era completamente scardinata talvolta fino addirittura a scomparire, mi sembra che qui la forma e l'espressione siano molto presenti. Non è mai formalismo, ma è la capacità di inglobare, di catalizzare il senso.
Tutto mi sembra passare attraverso la forma e l'espressione, intese però come veicolo di contenuto forte, di critica, spesso di denuncia. L'arte proprio come forma. Ma questa forma può contenere in sé e rappresentare una possibilità di cambiamento, di pensiero politico, di trasformazione del mondo.
C'è qui grande ricchezza di spunti e di prospettive, ed opere che vanno dal passato remoto ad oggi sempre con questa capacità dell'arte di significare e di trasformare: non solo di rappresentare ma di enucleare forza critica.
La pregnanza passa proprio attraverso questa capacità degli artisti. Con opere straordinarie e dirette come quella di Sania Ivekovic o quella di Rossella Biscotti che è un'opera che parla della storia. Di una storia che è ancora controversa, addirittura in Italia, nel Paese stesso.
Non è mai una forma fine a se stessa. Non è mai formalismo, ma è la fiducia in un'arte che supera la forza raziocinante, che è sostanza, che risponde a un'urgenza e che può rigenerare la cultura.
Questa, mi pare, è la forza propulsiva dell'arte secondo Carolyn Christov Bakargiev, e questo emerge dalla mostra. Si tratta di un'energia che Carolyn rintraccia andando avanti e indietro nel tempo, inglobando il passato.
Questo è il senso di questo spaziare nel tempo che vediamo anche nel Fridericianum, che è il nucleo centrale da cui partono le altre parti della mostra. Tutto è contenuto, però contenuto che si presenta attraverso la forma e spesso attraverso la materia.
Ma c'è anche l'immaterialità, per esempio nell'opera di Ryan Garder che apre la mostra ed è assolutamente straordinaria: questo vento che è drammatico, tragico, che è lo spirito e la storia, e l'emozione, è anche il vento del cambiamento, della trasformazione. Fortissimo. E' una metafora potente.
C'è poi l'opera di Annamaria Maiolino nel parco: un guardare al femminile che è molto presente in questa mostra e che corrisponde ovviamente al punto di vista di Carolyn Christov Bakargiev che l'ha creata. Lo sguardo femminile è stato a sua volta in grado di imprimere una trasformazione al mondo. Nell'opera di Annamaria Maiolino compare sempre l'uovo come nucleo generativo da dove tutto nasce. L'arte con la sua capacità di generare energia e trasformazione. L'elemento organico, la rinascita naturale, la forza generativa è molto legata al femminile.
Anche nell'Otteneum ci sono tante opere legate alla ciclicità naturale della terra e dell'economia. Ci sono anche tante altre cose. In effetti è una mostra di dimensioni titaniche.
Una mostra di grande valore e pregnanza. Verrebbe voglia di vedere tutto, di vedere di più. Purtroppo è un po' oltre le nostre possibilità...


Paola Gaggiotti, artista, Milano

Mi è piaciuta in generale l'aria che si respira alla dOCUMENTA, che è un buon punto di partenza per le riflessioni sull'arte nei prossimi cinque anni.
Mi è piaciuto molto un lavoro che ho visto ai giardini, di un artista che si chiama Gareth Moore che ha fatto una bellissima installazione, una specie di lodge usando i rifiuti che ha trovato a Kassel. Mi è piaciuto molto anche l'accostamento alla storia dell'arte di alcuni artisti.
Mi è piaciuta questa capacità di Carolyn di raccontare delle storie dentro le quali sono potuta entrare e che mi posso portare a casa.


Wilma Kun, artista, Rotterdam

Stavo proprio riflettendo stamattina su cosa ho visto, facendo la comparazione con l'ultima edizione di cinque anni fa. La sensazione che mi da questa dOCUMENTA è come di uno sguardo al passato che non dà nessuna risposta circa cosa succederà nel “futuro artistico”.
C'è uno stato di prostrazione dovuto all'incapacità di comprendere il contemporaneo. Nell'arte vedo che anche da parte degli stessi artisti, c'è poca curiosità, poca inventiva, ma tanta passività. Non c'è più avanguardia, ma una sorta di status o consumismo a trecentosessanta gradi nelle mostre, nelle fiere. Penso che siamo in un momento di stallo e la dOCUMENTA registra molto questo stallo.
Il lavoro che mi è piaciuto di più fino adesso, e che mi ha trasportato in un'altra dimensione, non è visivo ma soltanto sonoro. E' quello di Janet Cardiff e George Bures Miller nel bosco, in cui attraverso casse acustiche si sentono rumori di guerra, di bombe che sono a contrasto con un canto angelico.
È un opera che lavora con l'inconscio, con la memoria che si ha delle cose, in cui non è necessario vedere nulla. E' il lavoro più bello di tutti.


Massimo Uberti, artista, Milano

La mostra in generale mi piace. Ho trovato il Fridericianum l'inizio di un percorso interessante. La situazione che di più mi è piaciuta, è quella della casa degli Ugonotti, ora sono qui al giardino e sto visitando queste casette che mi sembrano piuttosto interessanti. Per una riflessione più approfondita, però, ho bisogno di percorrere ancora molto del percorso. Visto che il Fridericianum è l'inizio, ora sto cercando di trovare una fine, quindi di chiudere il cerchio.
Il lavoro di Tino Sehgal nella casa degli Ugonotti è quello al quale mi sento più vicino. È un'opera al buio. Io lavoro con la luce, quindi è perfetto.


Lelio Aiello, curatore, Bologna

Intanto faccio i complimenti a Carolyn Christof-Bakargiev per come è stata capace di coinvolgere la città. In confronto alla Documenta che ho visto cinque anni fa, questa ha la caratteristica di non avere una struttura concettuale molto dichiarata.
Trovo che sia davvero bella questa invasione della città, anche se un po' dispersiva per il pubblico, perché ci sono, oltre alle storiche locations, lavori distribuiti ovunque.
Rispetto all'ultima edizione, nella quale era molto difficile seguire i contenuti perché vi erano tantissimi documentari che riflettevano su problematiche politiche e sociali dell'area del mediterraneo, questa è molto più concentrata sulle opere da vedere. Una cosa inconsueta per Documenta.
Forse perché la curatrice vive in Italia da tanto tempo ed ha un'esperienza curatoriale al Castello di Rivoli. Immagino che abbia portato la sua esperienza precedente qui a Documenta con l'approccio estetico che contraddistingue il nostro Paese, coinvolgendo artisti importanti.
Documenta mantiene un'apertura internazionale, con la presenza di alcuni artisti italiani già storicizzati come Giuseppe Penone e Fabio Mauri, e più giovani, come Massimo Bartolini, Lara Favaretto, Rossella Biscotti e Chiara Fumai. In altre parole Carolyn ha scelto artisti italiani bravi e artisti internazionali altrettanto bravi. Ci sono dei bei lavori da vedere.
Una inconsueta, ma bella Documenta che non si riesce a seguire in poco tempo perché espansa e spalmata dappertutto in città.


Harald Noll, architetto, Kassel

Sono originario delle vicinanze di Kassel, vivo a Kassel, ma ho anche viaggiato molto. Ho vissuto dOCUMENTA da quando ero bambino, ho visto per esempio quando Joseph Beuys attivò la sua pompa di miele, ma ci sono sempre stati momenti eccitanti... Non posso ancora dire, se percepisco questa dOCUMENTA in maniera diversa dalle edizioni precedenti. È ancora troppo presto per questo tipo di giudizio.
Per me è bellissimo che una cosa come la dOCUMENTA sia possibile a Kassel. Anche cose come la festa di ieri sera e il fatto di poter ospitare così tante persone. Ci sono tante cose di Kassel: la prima videoteca d'Europa, i fratelli Grimm e il loro museo oppure Hercules.
Però i cento giorni di dOCUMENTA sono estremamente intensi, ma dopo è come nelle storie delle fate: seguono cinque anni di sonno della Bella Addormentata. Di questa edizione mi piace molto l'idea di inserire in mostra anche degli scienziati, perché sono assolutamente d'accordo sul fatto che gli artisti siano anche dei ricercatori che tentano di captare le idee e i pensieri degli esseri umani come se fossero sciamani.
Si potrebbe quasi dire che questa dOCUMENTA inneschi una nuova tendenza, quella di prendere più sul serio l'arte e di estendere il suo principio per cercare anche di superare il mercato dell'arte e di allargare lo sguardo attraverso letture, scambi e eventi.
Noi abbiamo cancellato le nostre vacanze estive per rimanere a Kassel. Vacanza a casa, vacanza alla dOCUMENTA.


La prima parte di interviste è stata pubblicata il 13/06/2012







Barbara Fässler, artista zurighese, formatasi alla Villa Arson a Nizza, opera prevalentemente con i linguaggi della fotografia, del video e dell'installazione. Dagli anni '90 cura mostre per varie instituzioni (ProjektRaum a Zurigo, Istituto Svizzero a Roma, Belvedere Onlus a Milano). Scrive regolarmente per la rivista d'arte contemporanea "Studija" di Riga e insegna 'Arti visive' al liceo della Scuola Svizzera di Milano.


Questo articolo sarà pubblicato anche sul prossimo numero della rivista Studija in inglese e lettone