Attraversare le contingenze allargando le prospettive

29/06/2012
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Paura dimenticata

La 7° edizione della Biennale di Berlino, dedicata a un approccio politico e attivista dell'arte, ha suscitato diverse perplessità. I curatori - l'artista Artur Zmijewski e la curatrice Joanna Warsza, in collaborazione con il collettivo russo Voina - hanno impostato una rassegna che nelle dichiarazioni prometteva di presentare "un'arte che funziona concretamente, che imprime il suo segno sulla realtà e apre uno spazio dove si può fare politica", un'arte che contribuisce a cancellare la "paura" che contraddistingue opportunisticamente il modo di ragionare dei governanti ("Forget Fear" è il titolo dato all'evento).
In pratica, una Biennale "contro". I parametri per la lettura dei lavori presentati dovevano quindi essere quelli dell'efficacia politica dell'arte, ossia della qualità dell'impegno dei gruppi creativi nell'ambito dei movimenti di protesta.
Ma questa rivendicazione di un'arte che vuole uscire dal suo ambito specifico per dare finalmente delle risposte è sembrata a molti monocorde, nonostante la promessa di una varietà di posizioni, anche scomode.

Nell'occasione della chiusura della Biennale, presentiamo alcuni pareri su questo progetto espressi da artisti e curatori italiani che vivono a Berlino o conoscono bene il contesto in cui si è svolta.



Berlin Biennale 7, Solidarity Actions


Arresto dei membri di Voina (nella foto Natalia Sokol), 4 dicembre 2011, San Pietroburgo


Still dal video 'Berek', 1999, Artur Zmijewski


Khaled Jarrar, State of Palestine. Foto Khaled Jarrar (part.)


La ricostruzione della battaglia di Berlino del '45


Occupy Berlin Biennale, Preoccupied Conference, 29.06.2012 c/o KW Institute for Contemporary Art


Institute for Human Activities, A Gentrification Program. Foto Institute for Human Activities (part.)


KW Institute for Contemporary Art & Internet, Breaking the News


Still da Facing the Scene, courtesy Anna Baranowska e Luise Schroder


Voina


Occupy Wallstreet. Foto Joanna Warsza, 2011 (particolare)


A cura di Massimo Marchetti


Emilio Fantin, artista

Diversamente dall'opinione più diffusa, Emilio Fantin giudica positivamente questa edizione della Biennale: secondo lui il dilemma all'interno del quale l'arte si dibatte, ossia tra l'essere funzionale alla società o restare comunque fedele a sé stessa, in questa occasione trova una paradossale conciliazione.
In questo contesto conflittuale si possono trovare situazioni imprevedibili, forse anche non volute dai curatori, che possono offrire, a chi voglia cercarli, alcuni spunti per una responsabilizzazione personale.



ma anche...





Luca Trevisani, artista

Luca Trevisani è deluso. Dopo aver seguito con curiosità la fase preparatoria, e in particolare l'open call aperto a tutti gli artisti che intendessero presentare un progetto "politico", il riscontro si è rivelato negativo. Nonostante alcuni aspetti interessanti, come il fatto di evitare l'invito ad artisti affermati, è un progetto che alla fine ha dato voce alla demagogia, coinvolgendo il movimento Occupy senza inserirlo in un quadro critico e addirittura presentando tratti accademici che guardano agli anni Settanta ma sono ormai vuoti di senso.
Secondo Trevisani questa biennale sembra essere una dichiarazione di grande sfiducia nell'arte.





Pierfabrizio Paradiso, artista

Più radicale il giudizio di Pierfabrizio Paradiso: date le premesse per nulla incoraggianti constatate nelle conferenze di presentazione e nelle azioni iniziate prima dell'opening e pur vivendo a Berlino, la sua scelta è stata quella di non visitare la Biennale.
Dal suo punto di vista la questione politica sembra essere stata vittima di una strumentalizzazione in una chiave quasi teatrale.
Troppa è la discrepanza tra i temi e i modi in cui sono stati proposti, non ci sono indizi di un vero approccio artistico e tutto sembra addirittura sconfinare nella parodia.
E' una cornice che promette di presentare solo delle modalità di rappresentazione senza produrre in realtà un ragionamento sui contenuti.





Elena Bellantoni, artista

Anche Elena Bellantoni è rimasta delusa dalla distanza tra le premesse e i risultati. Dice che la metodologia utilizzata nella scelta dei contributi può essere addirittura intesa come "di destra", nel senso che l'arte presentata è sostanzialmente allineata su un'unica posizione monolitica senza eccezioni.
Da partecipante al progetto del Teatro Valle Occupato, Elena considera centrale il problema di produrre un'azione artistica che effettivamente "sia utile" alla dimensione pubblica. In questo caso la ricaduta rischia di essere del tutto effimera.
Comunque a suo parere due lavori meritano una citazione: quelli di Lars Laumann e di Joanna Rajkowska.





Alessandra Pace, curatrice

Alessandra Pace, curatrice che da molti anni vive a Berlino, nonostante abbia apprezzato l'agilità del progetto espositivo, critica innanzitutto l'assenza delle "opere". Secondo lei questa è una rassegna che intona una specie di "lode ai perdenti" tutto sommato obsoleta rispetto ai movimenti degli anni Settanta, e che per di più non sembra offrire risultati efficaci nè dal punto di vista artistico nè da quello politico.
Un attivismo politico nell'arte che può portare a delle conseguenze in realtà non è rappresentato alla Biennale.





Massimo Marchetti è critico e curatore, lavora a Bologna. Collaboratore di UnDo.Net, Radio Città del Capo e dello spazio non profit Casabianca di Zola Predosa (Bo). Dal 2009 è direttore del Musée de l'OHM.


Sull'argomento puoi leggere anche:

Sulla Biennale di Berlino, di Barbara Fässler
Raccogliendo testi e dichiarazioni diffusi a premessa della mostra, Barbara Fässler ha analizzato le posizioni del curatore della settima edizione della biennale: l'artista Artur Zmijewski. Figura complessa e per certi versi contraddittoria che nella sua pratica estremamente politicizzata offre (o chiede?) soluzioni, risposte e verità... a martellate.