Alcune immagini dell'inaugurazione della mostra "Lavoro/Work/Vore" a Villa di Toppo Florio, Buttrio (UD)
Sebastiano Zanetti durante l'allestimento della sua opera 'Compro Odio', 2013. Installazione, 3 light box, escrementi di topo, cm 100x600cm. Foto di G.Guatto
Intervista a Paolo Toffolutti, a cura di Massimo Marchetti
Paolo Toffolutti è il direttore artistico dello SPAC nonché curatore della mostra "LavoroWorkVore", un'ampia collettiva in cui artisti italiani e internazionali offrono un loro contributo alla riflessione su un immaginario che nel 900 è stato spesso al centro della propaganda dei regimi totalitari, i quali hanno enfatizzato il ruolo dell'homo faber nella costruzione di un "mondo nuovo".
Come è nato questo progetto e perchè hai pensato di dedicarlo al lavoro?
Mi è sembrata un'emergenza. Come SPAC (Spazi Pubblici di Arte Contemporanea) di Buttrio, progetto attivo da ormai sette anni nel Friuli Venezia Giulia, ho pensato a un tema che attivasse questa stagione.
Il lavoro sembra un'emergenza in tutti i sensi possibili, sia a livello locale, per cui il titolo "Vore", sia a livello nazionale, "Lavoro", o ancora a livello internazionale, "Work".
Il tema del lavoro è qualcosa che torna costantemente sul web, sui giornali, nel dibattito quotidiano e soprattutto nella vita delle persone. Dato che lo SPAC ha a cuore la storia contemporanea ci è sembrato d'obbligo affrontare questo tema. Di conseguenza ho coinvolto l'amministrazione comunale e anche la regione Friuli Venezia Giulia, che sostengono il progetto, e poi di conseguenza tutta una serie di persone tra cui i 33 artisti che sono in mostra.
E' una collettiva piuttosto vasta che coinvolge non solo artisti italiani, è una panoramica internazionale...
Ci sono artisti che hanno all'attivo delle ricerche calibrate diversamente. Autori come Ugo La Pietra, già noto negli anni Settanta, e artisti come Luca Armingero di Milano, che invece è molto più giovane, credo abbia appena compiuto trent'anni.
Come si disegna questa mostra? Ci sono delle tappe o delle associazioni su aspetti del lavoro?
L'idea era quella di esplorare la rappresentazione del lavoro nelle arti visive e di farlo a partire dalla generazione successiva agli anni '80, successiva anche alla Neoavanguardia. Abbiamo cercato di capire come è rappresentato il tema del lavoro nella contemporaneità, quali sono gli artisti che se ne occupano e come lo interpretano.
In mostra ci sono temperature mentali molto diverse, fronti di ricerche che prospettano cure diverse del problema del lavoro e a quello che ne consegue.
Come dichiari nel testo che accompagna la mostra, l'iconografia del lavoro novecentesco è stata assorbita quasi completamente dall'arte della propaganda della dittatura. Nella mentalità comune tornano le immagini di epoca sovietica e fascista nelle quali sono presenti persone che enfatizzano il gesto del lavoro. E' un tema che è sempre stato caro all'arte se pensiamo ad esempio a quanto il medioevo ha rappresentato il lavoro quotidiano. Come ha interpretato questa iconografia l'arte degli ultimi 20-30 anni e come è stata declinata all'interno della mostra?
Nel catalogo prodotto per la mostra c'è un breve testo abbastanza importante di Matteo Gaddi che racconta della solitudine dei lavoratori, tema centrale della mostra che credo il pubblico abbia compreso.
Una delle tesi della mostra è la fine del lavoro, così come è stato rappresentato e inteso in passato.
Molti artisti ritornano sul discorso dell'erosione sociale prodotta dalla mancanza di socializzazione del lavoro e riflettono su una condizione che si ripercuote anche sul territorio. Viene affrontata quindi la tematica del degrado ambientale che rientra anche in una nuova modalità di rapportarsi agli altri.
Gli esempi sono moltissimi a partire dall'artista svizzera Natacha Anderes, che in mostra presenta due tele elaborate con la plastina, quindi rimanipolabili. Sono panorami che ritraggono centri commerciali in cui emerge l'aspetto della modificazione del territorio e dell'essere qualcosa di molto precario e fragile, come può essere la condizione attuale del lavoro.
Paola Angerini tematizza invece il rapporto tra l'uomo, il lavoro e l'animale a partire da una riflessione sul sistema di produzione in catena di montaggio, ispirato dal sistema di macellazione degli animali. L'artista rappresenta indirettamente il significato antropologico del lavoro.
Ci sono poi diverse opere - sia video che installative - in cui è possibile osservare una serie di gesti del lavoro, questi però diventano movimenti di danza o assumono un valore coreutico piuttosto che riferirsi ad una attività produttiva.
Il lavoro di Tadej Pogacar, che ha già presentato alla Biennale di San Paolo in Brasile, riprende una sfilata di modelle, in realtà prostitute. Fa un discorso sull'utilizzo di situazioni, spazi ed economie uniformati.
In cosa consiste il progetto SPAC?
Sette anni fa abbiamo avvertito la necessità di portare nel Friuli Venezia Giulia l'arte contmeporanea. Io me ne occupo da molto tempo e avevo colto questa assenza come uno scollamento nel territorio tra produzione artistica e dibattito nazionale/internazionale. Così abbiamo convinto il comune di Buttrio ad aprire questi gli Spazi Pubblici di Arte Contemporanea.
Stiamo utilizzando una villa di fine del Settecento all'interno della quale portiamo progetti di ricerca, ma ciò che mi interessa maggiormente è il rapporto con il pubblico piuttosto che quello fra opera d'arte e artista.
Tu stesso sei un artista. Quanto incide il fatto che tu non viva esclusivamente grazie alla tua produzione artistica?
E' una scelta. Ho 50 anni e ho capito che non lo potevo fare, che per poter fare le cose che mi interessano avrei dovuto trovarmi un altro lavoro.
In questo caso il lavoro è prossimo agli intressi che mi stavano a cuore: il discorso sull'arte contemporanea e le arti visive.
Con il tempo ho superato questo senso di colpa che si creano in molti: se vuoi fare l'artista fai l'artista, altrimenti fai altre cose che ti distraggono dal compito primario.
Bisogna smitizzare l'idea che l'artista debba vivere esclusivamente della sua produzione?
Kafka, Stendhal e tanti altri hanno fatto questa scelta, probabilmente per non essere distratti da richieste imposte dal mercato.
Personalmente, da dieci anni a questa parte, vivo molto bene questa situazione. Quando a volte ne ho l'opportunità espongo opere e partecipo ai progetti come artista, altrimenti curo delle mostre o dirigo lo SPAC.
L'audio intervista a Paolo Toffolutti da ascoltare:
Maggiori informazioni sulla mostra presso Villa di Toppo Florio a Buttrio (UD)
In corso fino al 31 marzo 2013
Paolo Toffolutti vive e lavora a Udine, dove è nato nel 1962. Insegna tecniche grafiche presso l'istituto statale d'Arte, dove si è diplomato nel 1981, e pittura contemporanea presso la Scuola Comunale d'Arte e Mestieri "Giovanni da Udine".
Massimo Marchetti è critico e curatore, lavora a Bologna. Collaboratore di UnDo.Net, Radio Città del Capo e dello spazio non profit Casabianca di Zola Predosa (Bo). Dal 2009 collabora con il Musée de l'OHM di Bologna.