Attraversare le contingenze allargando le prospettive

19/04/2015
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Adieu au langage con tante parole

Uno scambio di mail tra Ermanno Cristini e Aurelio Andrighetto sul "crash" tra i linguaggi, le culture, le ideologie e la realtà, che ha lasciato sul campo detriti di ogni genere…



still da 'Adieu au langage'







'Adieu au langage', sinossi







still da 'Adieu au langage'







still da 'Adieu au langage'







still da 'Adieu au langage'







'Adieu au langage', backstage







still da 'Adieu au langage'


Aurelio Andrighetto: Caro Ermanno, vorrei prima di tutto delineare un orizzonte, magari a partire da Godard che citi nel tuo testo.
A mio parere non si può prescindere dal problema posto dall’uso del linguaggio, non nel senso in cui lo poteva intendere Godard nel '62, ma come lo intende ora. Mi riferisco al film Adieu au langage.

Una frase presente nel film è “io cerco della povertà nel linguaggio”, in apparente contraddizione con la ricchezza nel linguaggio che invece il film mostra. Se prendiamo però in considerazione la scelta di Godard di voler stare “à coté de la plaque”, come dichiara nell’intervista rilasciata a Canon e il suo voler sempre “dire come minimo il contrario di qualcuno o qualcosa”, ecco che la contraddizione sembra acquistare un senso: invita lo spettatore ad assumere un punto di vista non abituale, oltre gli schemi. Nel mio caso, come spettatore, oltre l’idea che la nostra sia una “società dell’immagine”.

A mio parere Adieu au langage ci invita a prendere in considerazione il modo in cui ora si ri-articola il rapporto tra immagine e parola. E infatti nel film troviamo immagini e parole che si accostano, sovrappongono e intersecano tra loro, per esempio titoli, insegne pubblicitarie e testi 3D che s'installano nell'immagine cinematografica, che occupano cioè lo spazio della figurazione assumendo alcune sue modalità espressive. Il testo diventa un'immagine, non una riproduzione delle parole che lo compongono, che pur possono essere lette.
Il comporsi del testo sulla base di esigenze figurative è anche una caratteristica delle scritture-rebus che hanno segnato un passaggio tra ciò che nella scrittura non è linguistico e ciò che lo è (la funzione della scrittura non è necessariamente quella di fissare il linguaggio).

Queste scritture hanno lasciato una traccia profonda nella nostra psiche (Freud definisce i sogni “indovinelli figurati” riferendosi ai rebus epigrafici in voga al suo tempo). Sono composte da immagini che testimoniano l’intesa muta, senza parole, dell’idea con lo sguardo, ma anche da immagini con valore fonetico e giochi di parole.

La mia l’impressione è che Adieu au langage sia un film enigmistico dove troviamo immagini indipendenti, solitarie e mute come il cane, uno dei tre protagonisti, ma anche immagini che giocano con le parole e parole che giocano con se stesse.
Nel film, ad esempio, "Ah Dieux", "Oh langage", "pouce - Poucette - pousser", "èvite, et vite, les souvenirs brisès". In questo modo l’immagine cinematografica entra in una relazione “enigmatica” con la parola e, se vogliamo seguire il suggerimento psicanalitico, anche con l'inconscio.
Adieu au langage con tante parole, dunque. E’ un film che deriva da un atteggiamento che potremmo definire anche politico nel senso che mette in discussione, che invita ad assumere un punto di vista non abituale, oltre gli schemi, soprattutto un atteggiamento anti-ideologico che, se la relazione enigmatica dell’immagine con la parola è anche una relazione subconscia, assegna all'inconscio la funzione di motore di ricerca.

Ermanno Cristini: Caro Aurelio, sono perfettamente d'accordo e credo anch'io che non si possa prescindere dal problema posto dall’uso del linguaggio nel momento in cui ci si interroga sulla valenza politica del proprio fare. Questo era lo spirito che animava il mio intervento di avvio al dibattito.

Infatti, relativamente a Godard, credo che sia più politico in quelle occasioni in cui è meno ideologico, perché la carica trasformatrice del suo lavoro passa proprio attraverso le trasformazioni del linguaggio, facendo vacillare le certezze rassicuranti e seminando interrogativi, spiazzanti, ma i soli che possono prefigurare un cambiamento. Dunque, per intenderci: più Vivre sa vie che La chinoise.

E da questo punto di vista mi pare che l'impegno contenuto nel Godard del ‘62 sia confermato oggi, nella sostanza, fuori dall’aggiornamento degli argomenti. Adieu au langage è sicuramente un film del/sul universo contemporaneo, dove la tattilità è filtrata dagli schermi (penso alle mani della prima parte del film come chiave dell'intero lavoro); ma credo che i temi di fondo stiano già, fatte le debite proporzioni, in lavori come Deux ou trois choses que je sais d'elle, per esempio.

Anche "il comporsi del testo sulla base di esigenze figurative". Certo, qui è diverso e sì, la tua visione come di un film enigmistico mi pare particolarmente calzante e intrigante.
Poi c'è la continuità di un uomo e una donna, già da Vivre sa vie, ma anche prima. Forse a ricondurre il bisogno di "povertà nel linguaggio" ad un bisogno di essenza, di nudità dell'essere nel suo rapporto con l'altro? E forse qui sta anche la dimensione profondamente etica, e dunque, ancora, politica, del primo come dell'ultimo Godard?

Aurelio Andrighetto: Caro Ermanno, bella la tua osservazione sulla “nudità” nel rapporto con l’altro e la sua dimensione etica, ma l’etica presuppone un atteggiamento razionale che la realtà dei fatti ha messo in discussione.

Gli eventi hanno infatti superato di gran lunga distanza la nostra capacità di comprenderli. La catastrofe che dall’età moderna sembra avere carattere di ricorsività ora si presenta sotto forma di “crash”. Il "crash" avvenuto tra i linguaggi, le culture, le ideologie e la realtà ha lasciato sul campo detriti di ogni genere.
Ancora una volta il problema è che cosa fare di ciò che resta dopo la catastrofe.
Forse Godard ritorna a distanza di tempo sul tema dell'impegno con una sensibilità nuova, con la percezione di quello che nel frattempo è accaduto, e questo calza bene il tema del dibattito, che vorrei però curvare verso quel voler sempre “dire come minimo il contrario di qualcuno o qualcosa”, in Adieu au langage associato a una ristrutturazione dei codici e dei linguaggi.
Lo scambio di mail mi ha fornito l’occasione per riflettere con l’esito di vedere ora, con maggiore chiarezza, come la relazione enigmatica ed inconscia che l’immagine intrattiene con la parola possa svolgere un ruolo nel contesto di una ristrutturazione dei linguaggi in “crash” tra loro e con la realtà.
Il "vedere con chiarezza" riferito all'enigma è naturalmente un ossimoro, che rinforza l'idea di senso contrario e antitesi presente anche in Godard. La figura retorica dell’ossimoro, insieme ad altre figure antilogiche, è usata da Sofocle per mostrare l’incapacità della ragione di resistere allo scontro, al “crash” con la realtà, nel contesto di eventi che hanno luogo a partire da una sfida. È una sfida tra chi formula l’enigma, che è un linguaggio ostile, e chi lo interpreta; se vogliamo spostarci sul nostro terreno, tra l’autore e lo spettatore o il lettore, che spettatore o lettore più non è, ma parte offesa che raccoglie la sfida e interpreta enigmi che non hanno una sola soluzione o non ne hanno affatto.

Abbiamo bisogno di sfide. Abbiamo la necessità di un linguaggio ostile.

Aurelio Andrighetto Esplora i problemi percettivi e cognitivi posti dal vedere attraverso strumenti, tecniche, codici e linguaggi che interagiscono tra loro nelle culture e sub-culture del contemporaneo, sviluppando progetti interdisciplinari.
Ha pubblicato interventi d’artista, brevi saggi, narrazioni e articoli in riviste (Arca, Boîte, Doppiozero, Ipso Facto, Nuova Prosa, Riga, Il Verri), eBook e volumi (Apeiron, Bacacay, Contemporanei, Doppiozero, Graphos, Mondadori). Ha esposto le sue opere e presentato le sue teorie sullo sguardo presso centri di ricerca, musei e gallerie (Continua, E/static, Gamec, Man, Mart, Milano, Mlac, Mudima, Neon, Franco Soffiantino).
Cofondatore di Warburghiana (insieme a Elio Grazioli, Dario Bellini e Gianluca Codeghini) ha contribuito alla realizzazione dei suoi format sperimentali.
Insieme a Paola Mola ha condotto degli studi sulla visione grafica e fotografica della scultura che ha avuto un forte impatto nella cultura visiva del novecento con importanti conseguenze anche nel contemporaneo.


Questo testo è parte del dibattito "Voglia di '68?" avviato da Ermanno Cristini sulle pagine di UnDo.Net, a cui stanno contribuendo artisti e curatori...

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