Juliet Anno 20 Numero 110 dicembre 2002
Per il senso comune, anche nel nostro milieu artistico, parlare di arte ''non-umana'' e' un paradosso tale da ''recar scandalo''; suona come offesa al nostro perdurante e spesso vittimistico immaginario umanistico.
Si accetta il post-human ed anche il trans-human, si veda le "Identità mutanti" di Francesca Alfano Mighetti, ma che l'arte alberghi nella dimensione del non-umano, ad esempio nel mondo biochimico del DNA, nel mondo quantico del silicio o nello spazio astrale extraterrestre, cozza con una resistenza culturale pervicace che normalmente reagisce ipostatizzando il problema nel vecchio schema duchampiano. Proviamo ad analizzare l'opera "The Eight Day" di Eduardo Kac: in un contenitore di plexiglas convivono pesci, topi e pianticelle transgenici; questa piccola ecosfera muta e si evolve "live", grazie soprattutto a dei "biobot", una sorta di amebe sintetiche.
Il contenuto dell'opera è un autonomo processo di biodiversificazione in atto secondo dinamiche complesse e indeterminate, aliene rispetto all'intenzionalità umana. Si tratta dunque di un tentativo di ibridazione con una realtà non-umana, con una alterità organica che sfugge all'esperienza dei nostri sensi e quindi al nostro "corpus" biologico-culturale tradizionale.
Oggi si considera l'ibridazione dell'essere umano con le altre forme di vita extra-umane - in passato la teriosfera, oggi prevalentemente la tecnosfera macchinica - la dinamica fondamentale dell'evoluzione non solo a livello filogenetico ma soprattutto sul piano ontogenetico. L'alterità non umana è ed è stata il partner che ci ha accompagnato nel percorso della coevoluzione, attraverso ibridazioni performative e simboliche e dunque anche culturali; ma la natura ibridativa della cultura antropica mette in crisi un paradigma focale dell'umanesimo che ci definiva come esseri autarchici e dominanti.
Da questo punto di vista antropologico il senso dell'odierna ibridazione funzionale uomo-tecnologia è analogo, per esempio, all'accoppiata uomo-cane di centomila anni fa. Per questo l'animale resta l'archetipo di ogni macchina e, ritornando al lavoro di Eduardo Kac e dell'arte transgenetica, si può ben comprendere il senso dell'impiego di animali e biotecnologie genetiche nella realizzazione di nuove opere d'arte.
Ripensando all'arte "Post-human" teorizzata, da Jeffrey Deitch alla fine degli anni '80, possiamo considerare quelle espressioni quali segni di travaglio per la mutazione della cultura antropologica che andava consumando ed esaurendo i suoi tradizionali riferimenti identitari, come il corpo e il sistema simbolico fondato sulla corrispondenza tra significato e significante. Da questa stagione del pensiero artistico sono poi scaturiti autori come Stelarc, Orlan, Autunez Roca, il cui lavoro esprime la contaminazione dell'umano con il macchinico.
Tuttavia l'intenzionalità sottesa al processo è ancora quella di rafforzare il soggetto umanistico, di rinvigorirlo attraverso la sua trasformazione performativa e strumentale in cyborg. Ora, per noi, si pone invece il problema di una definizione nuova del soggetto post-umano sul piano dell'ontologia e nel contesto agerarchico della vita della biosfera.
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Piero Gilardi