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Segno Anno 30 Numero 209 luglio-ottobre 2006



Roberto Pietrosanti

Lino Sinibaldi

La duplice etica degli elementi



Attualità internazionali d'arte contemporanea


3/31 ANTEPRIMA MOSTRE&MUSEI
Anteprima - news/worldart - news italy •
Appuntamenti e attività nei grandi musei, istituzioni, gallerie private, spazi alternativi in Italia e all’estero a cura di Lucia Spadano

58/63 Artisti in copertina
Roberto Pietrosanti. La duplice etica degli elementi
di Lino Sinibaldi

32/95 tematiche espositive
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Altre mostre e cataloghi (84/93)
Arte & Mercato: Art 37 Basel A cura di Lucia Anelli, Paolo Balmas, Sandro Barbagallo, Antonio Basile, Federica Bonotto, Paola D’Andrea, Lucia Desiderio, Sebastiano Deva, Marilena Di Tursi, Marino Fuani, Matteo Galbiati, Elisa Gali, Andrea Mammarella, Adriana Martino, Stefania Meazza, Santa Nastro, Gabriele Perretta, Francesca Pola, Gabriella Serusi, Lucia Spadano, Paola Ugolini, Stefano Verri, Eugenio Viola.

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Roberto Pietrosanti

Roberto Pietrosanti

Roberto Pietrosanti

Se, “l’arte è una manifestazione dell’intelligenza dell’uomo e se nessuno può definire i segni, i limiti, le ragioni le necessità”, come teorizzava Lucio Fontana, “l’intelligenza” di un’artista come Roberto Pietrosanti consiste nell’aver raggiunto quei limiti e quelle ragioni in una poetica che ha conquistato una risolutiva stabilità in uno stato in cui non sono permesse facili cadute neoavanguardistiche, ma dove si delinea un raggiunto equilibrio tra intelletto e poesia.
L’iniziale riferimento a L. Fontana non è casuale; come il grande vate dell’informale italiano, il lavoro di R. Pietrosanti si differenzia per un individuale sdoppiamento tra lirismo e razionalità, qualità che gli hanno permesso, dopo oltre un ventennio di raffinata sperimentazione, di segnare i confini del proprio lavoro in una autoreferenzialità che trova il modo di esteriorizzarsi fino all’estremo, lavorando sulle quadrature delle etiche del contegno e dello stupore. Un’idea divisa che, nelle sue perfette coincidenze tra pratica e teoria, dimostra di non essere altro che l’esattezza dell’enunciato di se stessa, vale a dire il segno nitido di una disposizione artistica assoggettata ad una straordinaria interiorizzazione dei concetti di spazio, materia e creazione.
Dalle prime personali nel 1990 a Roma e Verona, ci troviamo di fronte ad un’apertura verso le nuove dimensioni dell’Informale, dove le facili ispirazioni date dai maestri storici, come Alberto Burri, Lucio Fontana, Piero Manzoni, sono superate da un lavoro che dichiara la propria indipendenza e testimonia la scomparsa dei soggetti di riferimento, sospendendo le semplici oggettività per consegnare i suoi esiti fino ai valori massimi delle proprie sperimentazioni, come se, per ogni opera, l’artista abbia deciso di enunciare una fine e un inizio in una rigorosa disseminazione intellettualistica che ha la finalità di dare all’opera la libertà di realizzarsi in intraducibili assenze informali, non tanto per affermarne i presupposti, quanto per rintracciare nello spazio un universo in cui svelare le distanze raggiunte. Le stesse indagini puntualizzano l’assoluta intenzionalità di conseguire un equilibrio ed un’alta moralità intellettuale dove l’artista non affronta mai l’idea singolarmente ma per cicli persistenti di lavori, eterni riflussi di insiemi di opere che rappresentano e sollecitano un unicum di grande impatto emotivo.
Fin dalle prime opere si può percorrere la scala di realtà tratteggiata da R. Pietrosanti: una produzione che, da una all’altra famiglia di opere, permette alla materia di cambiare integralmente il proprio segno; sono anelli attraverso cui far procedere la costruzione ontologica aperta ad incastrarsi con una vocazione verso le grand objet, intenta a contaminare spazi e forme architettoniche, come nelle realizzazioni per Roma, Ravenna, Palermo, Mosca. Gli ordinamenti semantici delle opere, del loro essere e del loro apparire si fluidificano nella raffinata prodigalità di un impegno artistico che ha creato un reticolo del pensiero in cui ogni idea si colloca in un punto distinto ma contiguo ad ogni altro, in un rapporto in cui esse stesse sono unite e separate.
Il gioco di parole è necessario, le opere di R. Pietrosanti non sono opere di facile interpretazione, poiché la loro reale presenza non coincide con la bruciante avvenenza estetica del loro apparire, ma sono lavori che si collocano lontano dal proprio essere, svelando che la loro essenza è l’improvvisa chiarezza che sopraggiunge quando si ammira la loro doppia anima: una essenzialmente pratica, affermativa, positiva e dinamica dove la misura del tempo risulta di rastremazione vitalistica e attualistica, risolta nel gesto inventivo e nelle misure che appaiono sollecitate da un attivismo spaziale di connessione immaginativa, e un’altra anima, mistica, illuminata da un sole nero, che restituisce alle opere una lettura essenzialmente di opposizione dove di contro la misura dello spazio è data da un modo sedimentario di raccogliere una visione in controluce di spazi, di memorie e di storie. La stessa sospensione dualistica, lo stesso raggelamento aperto a detrarre al consumo spaziale e temporale l’opera stessa, sono evidenti, particolarmente, nei cicli di opere come i Disegni su carta e Superfici. Sono queste le opere che evidenziano i rapporti tra l’artista e il grande periodo dell’astrazione italiana, nei quali è possibile identificare i diversi nessi con cui il fare artistico di R. Pietrosanti è correlato con gli aspetti di maggiore sperimentazione dell’esperienza Informale, dove è anche possibile rileggere le più sotterranee ispirazioni date dalle neoavanguardie degli anni Sessanta, dal “Gruppo Zero” al “MAC”. Sono opere che intrattengono con lo sguardo un rapporto sincretico in quanto, senza equivoci, si legano ad una nitida affinità intellettuale, depurata da ogni notazione narrativa. Opere che coniugano la sempre notevole attenzione artistica, tesa a travalicare i limiti del supporto, ad una specifica tecnica espressiva che affronta il problema della terza dimensione anche nelle tempere su carta.
In Superfici il campo del divenire è fissato da dense stesure di colore neutro che, come spessi sudari, ricoprono tutto, immobilizzando segni che emergono silenti ma ancora capaci di respirare sulla superficie. Sono prova di una costante evoluzione sul tema le opere esposte nelle personali tenute, in anni diversi, per la sede romana della galleria “A.A.M. Architettura Arte Moderna”, dove è evidente che le opere di R. Pietrosanti appartengono a un territorio dalle diverse implicazioni metafisico/spaziali ingenerate dalla scultura in senso stretto; opere dove è possibile, alla luce dei tanti riferimenti, cogliere non tanto i suoi aspetti di vitalistica presa di possesso dello spazio ma soprattutto le indagini che cercano nuove spazialità. Ma è in opere come Ottoni e Sfere che l’artista chiarisce e amplia la propria poetica, ponendosi in maniera corrosivamente attenta verso le proprie discendenze ed eredità, legando le proprie ispirazioni a mentali fili rossi che riconducono agli allestimenti di Marcel Duchamp e di Yves Klein, dove è lo spazio che circonda le opere a dare un nuovo assetto ai rapporti armonici che fondano realtà ed esistenza. Un reale ipotetico da rifare dove la materia è rappresentata dai vuoti che si creano attorno alle opere, attorno alle imprecise figure geometriche, evidenziate dagli spessori e dalle piegature del ferro e dell’ottone, che l’artista esalta attraverso il gioco sottile e raffinato dell’ossidazione.
Ciò permette un risalto nuovo a tutte le potenzialità espressive del metallo, dall’opaco del ferro al lucido dell’ottone. Gli incastri delle fasce di ferro che formano le volumetrie delle Sfere ribaltano l’interno dell’opera proiettando la percezione dell’opera all’interno del volume. Sono lavori inseparabili da tutti i riferimenti reali delle qualità artistiche di R. Pietrosanti, segnano la capacità di saldare la forma ad una visione evocativa dell’immagine; l’interno dell’opera comunica con l’esterno, come percezioni che si trasmettono in sensazioni e in messaggi iconici. Sono opere che superano tutte le sofferenze del Novecento. R. Pietrosanti si conferma un “umanista” puro, un teorico del suo stesso lavoro che ridefinisce il senso attuale delle poetiche dell’informale. Alla stessa maniera, negli Ottoni, la materia metallica è distribuita e piegata in una struttura che non lascia spazio a cedimenti, dominata da tagli netti e incisivi, in cui la piegatura dell’ottone o le ombre delle curvature che si intersecano nulla tolgono ad un preciso ordine compositivo. Non ci troviamo di fronte a raffigurazioni generate da un’esatta matrice geometrica, come nelle opere precedenti. La geometria in queste opere coniuga i verbi delle fascinazioni, i segni scorrono liberi e sinuosi, eppure la composizione è perfettamente in equilibrio, come possiamo ammirare nella piazza dei Goti nel quartiere Anic a Ravenna (dove l’artista ha lavorato con la “Compagnia del Progetto”, Franco Purini, Carlo Maria Sadich e Francesco Moschini) dove la grande installazione, che perfeziona uno dei prospetti della piazza, ci mostra l’aspetto lirico dell’arte di R. Pietrosanti, accanto alle rigorose ripartizioni razionali della tecnica, esiste, in parallelo, l’equilibrio di una versificazione poeticamente artistica, ugualmente e solidamente strutturata con lo stesso ordine compositivo, che gli è caratteristico, ottenuto tramite la giustapposizione di materia e spazio che, per mano dell’artista, subiscono una metamorfosi, non in senso simbolico, giacché la materia si presenta per quello che è, bensì in senso formale, così da ottenere una corrispondenza perfetta tra l’idea e la concretizzazione.
E ancora un ideale umanisticamente contaminato è alla base del raffinato sacello esposto al National Centro de Arte Reina Sofia per la mostra Monocromos, un’opera in cui R. Pietrosanti richiama alla sua poetica i principi di composizione e proporzione presenti nell’arte classica secondo cui un’opera dovesse avere armonia, nonostante in apparenza potesse sembrare squilibrata. In questo caso il cubo fatto di pietra, frammentata, a scaglie, a schegge puntute che sono serbatoio di miriadi di memorie, deposito anfrattuoso di esistenze e porzioni di tempo, come scrive lo stesso R. Pietrosanti, è usato in funzione della materia, contribuendo a esaltare l’espressività interiore e a creare un rapporto euritmico tra le parti. L’elementarità degli elementi costruttivi rappresentano un artificio per mezzo del quale viene riproposta un’idea archetipa di spazio architettonico. L’atto dell’artista contrae il dualismo fuori-dentro, esterno-soggetto, architettura-scultura proiettando l’essenza dell’opera nelle necessità di creare uno spazio per affacciarsi sulla soglia del momento germinale. In questa contrazione delle realtà la funzione dello spazio come processo virtuosisticamente ieratico trova la bellezza del suo essere, verifica di un ricercato e mistico rigore costruttivo, custode di tridimensionali figure dell’essenzialità in un nuovo e straordinario senso di disconnessioni calibrate armonicamente dai materiali tipici del paesaggio che vengono logicamente ricondotti in una presenza teatralmente silenziosa.
Nel bianco, titolo dell’ultima personale dell’artista nella galleria A.A.M., sembra quasi una dichiarazione ermetica, anche quando l’immagine, allontanandosi dalla geometria, si dispiega in una suggestione di una personalissima avanguardia, con entusiasmo del nuovo di un movimento innovatore e tradizionalista di se stesso. Continuando le sue ricerche con una sempre più concentrata e rigorosa indagine delle spazialità, i nuovi lavori, trasfigurano e disegnano, secondo regole di ridefinizione spaziale, le stanze della galleria, sovrapponendosi alla percezione del luogo per mezzo di un meccanismo di spinte e di bilanciamenti visivi. Quasi una esigenza ad impadronirsi del vuoto, occupando gli spazi di un’essenzialità cui l’artista sembra proiettare verso dimensioni di sempre maggiore astrazione lirica, superfici e immagini che alludono a leggerissime dilazioni e variazioni dei piani, sovvertendo impercettibilmente gli spazi, non più distesamente mostrati ma contenuti quasi a costruire sfuggenti hortus conclusus.
Sono queste le tesi ultime di una poetica sempre attenta agli scarti minimi, minime grandezze morali che permettono a R. Pietrosanti di segnare quel millimetrico spostamento dal già detto, dal già visto, dal già fatto che concede una straordinaria dignità ad ogni sua opera.