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Impackt (2006-2009) Anno 2007 Numero 1



Favelas Design

Marco Ligas Tosi

Fernando e Humberto Campana sono tra i designer internazionali più conosciuti. Ironici, inventivi, innovativi, hanno saputo trarre ispirazione dall’incredibile creatività delle favelas brasiliane.



Contenitori e Contenuti


Sommario Impackt 1/2007

user instructions
The BRIC Packaging
S.Pedrazzini,
M. Senaldi

container
Packaging Brasileiro
Fabio Mestriner

identi-kit
Favelas Design
Marco Ligas Tos

school box
Escola Superior de Propaganda e Marketing

shopping bag
Dalla Natura a Natura
Andrè Lucca e Maria Josè Mariano

identi-kit
Immagini ad ogni costo
Marco Senaldi

container
Vodka, Profumi e Kalashnicov
Gregory Grischenko

identi-kit
La Perestrojka delle Merci
Maria Gallo

identi-kit
Una Community Postcomunista
Giada Tinelli

shopping bag
La Russia in una Bottiglia
Sonia Pedrazzini

container
The Great Indian Pie
Suresh Sethi

identi-kit
Un J’Accuse dall’India
Giada Tinelli

identi-kit
Desmania Packmania
Sonia Pedrazzini

identi-kit
La Responsabilità del Designer
Suresh Sethi

container
Dove Guarda l'Universo
Virginio Briatore

market release
Packaging Full Immersion IED

container
Il Potere del Celeste Impero
Christian Rommel

identi-kit
La Luna e la Peonia
Sonia Pedrazzini

identi-kit
The Luo Brothers
Marco Senaldi

design box
Made in China
Francalma Nieddu

tools
Originale Cinese
Francalma Nieddu

container
Scatola Cinesi
Junio Caselli, Nicola Romagnani

tools
Imballaggio per lo Sviluppo
Mario Salmon

book box
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Gioiello e packaging in silicone, 1999
prodotti da H. Stern

Favela Chair, 1993
Prodotto dal 2000 da Edra
Il prodotto è stato realizzato in legno Teak per il Salone del Mobile di Milano 2006

Blow up collection, 2004
prodotto da Alessi

Provocazioni dadaiste, uso di materiali poveri o degradati, di reperti o relitti del quotidiano; design poetico, metropolitano, allegro e colorato. I lavori dei fratelli Campana sembrano un viaggio affascinante lungo i tremila anni di storia brasiliana. Artisti, pensatori, avanguardisti, creano e progettano per una committenza precisa, rispondendo a richieste severe e seguendo una personalissima linea di "non moda". Oggetti primitivi, i loro, creati anche con una buona dose di genialità e con una notevole perizia tecnica, pezzi di design che sottolineano la forza di culture e tradizioni intense e potenti. Intanto, in Italia, alcune tra le più importanti industrie dell'arredamento si sono accaparrate la firma degli intelligenti fratellini che hanno saputo nobilitare l'arte del riciclaggio tipica delle favelas. Andando così a far parte di quella cerchia di giovani creativi internazionali che, a partire dagli anni Ottanta e Novanta, sta scrivendo un nuovo capitolo del design.

Con il vostro nome, di evidenti origini italiane, e tuttavia brasiliani a tutti gli effetti, voi, i fratelli Campana, siete da annoverare tra i più interessanti fenomeni del giovane design internazionale degli ultimi anni. Dal Brasile, e dal sud del mondo, avete portato nel design europeo una salutare ventata di leggerezza e di poesia.
Da che cosa è caratterizzata la vostra opera?

Fernando: Facciamo un buon uso di materiali grezzi e sperimentiamo spesso con le materie povere e di recupero. Lavoriamo sulle forme ibride, talvolta primitive, cercando di esprimere le contraddizioni dell’ attuale caos urbano, attingendo alla vitalità delle espressioni indigene per dare ai manufatti un carattere autentico, legato al temperamento della gente del luogo.

Il design può ancora essere territorio di ricerca ?
Humberto: Per molti operatori del settore, critici e colleghi, a loro dire, noi facciamo principalmente “ricerca”. E, la ricerca, come si sa, è per definizione borderline, forse proprio perché operiamo nei territori di confine tra progetto, artigianato e significato.

E’ quello che cercate di insegnare durante i vostri corsi per futuri designer ? (un esempio su tutti, quelli alla fondazione “Notechdesign”)
Fernando: Noi cerchiamo di coinvolgere ed entusiasmare gli studenti, raccontando loro le nostre esperienze come designer. Pensiamo che per diventare buoni progettisti essi debbano sviluppare una passione ossessiva per l’indagine ed una spiccata curiosità.

Ricerca e curiosità, due parole legate anche ai vostri lavori di packaging design.
Che cos’è per voi il packaging ?

Fernando: E’ il settore che più direttamente dialoga con il cliente (utente-consumatore)
Humberto: Il packaging è dappertutto, mi verrebbe da dire, parafrasando un detto di fine anni Ottanta “la grafica è dappertutto”: riguarda e si applica ad ogni tipo di prodotto, di qualunque fascia, in qualsivoglia scaffale. Sono in tanti a praticarlo. Il packaging avanza, dunque. Da un lato c’è il discorso della dematerializzazione: gli oggetti si miniaturizzano, supporti identici portano cose diverse, memorie infinitesimali offrono performance eccezionali. D’altro canto, va sottolineato il valore aggiunto dei prodotti, delle marche, degli eventi.
Fernando: …Va aggiunto anche che i valori devono dialogare con le funzioni d’uso.


Il futuro del packaging ?
Fernando: Primo problema: il contenuto. Mostrarlo, facendo quasi scomparire il contenitore. Insomma, saper comunicare il contenuto. Oppure, giocare con qualche inversione contenitore-contenuto. Poi: mettere a contatto con il fruitore finale l’identità del produttore.
Secondo problema: materiali riciclabili. Questi devono non solo saper proteggere il prodotto, riportare le informazioni d’uso, ma anche attirare, conquistare, sedurre ed estasiare l’utente.
Humberto: …Il packaging del futuro deve poter condurre ad una riflessione sul senso del design e sul processo creativo, con una particolare sensibilità verso temi di scottante attualità come la sostenibilità ambientale e sociale, il rapporto tra locale e globale, i rapporti tra arte e industria.

Per voi la curiosità è ancora sinonimo di intelligenza e creatività ?
Fernando: Si, senza ombra di dubbio. Io ne sono fortemente convinto
Humberto: Mi riesce difficile credere che un “non curioso” possa fare ricerca e sperimentazione nel campo del design. Fondamentalmente crediamo che un artista debba saper far uso della propria intelligenza anche per fare ricerca e sperimentazione.

Credete che tra la sperimentazione e il mercato ci debba essere comunque un certo equilibrio ?
Humberto: Bisogna che ci sia la sperimentazione perché nasca una proposta evoluta del prodotto.
Senza ricerca non c'è soluzione. Senza soluzione non si ha il nuovo.

Si può ancora fare il creativo del packaging con della semplice carta, cartone, cartoncino ?
Fernando: I materiali recuperati o il semplice cartone, carta e legno consentono ancor più di sperimentare una dimensione del fare che prevede sconfinamenti tra arte e design, tra abilità tecnica e libera creatività. Per noi designer brasiliani spesso entra in gioco molta ironia, soprattutto durante la creatività. E’una forma come altre di emotività.
Humberto: …Il cartoncino, come per alcuni aspetti anche la carta, è un materiale gradevole al tatto, simpatico, intrigante, strutturabile per originare figure scolpite, scultoree, modulazioni variabili attraverso il gioco della luce, dei bassorilievi e del colore. Nel novero dei materiali utilizzati dal packaging la missione del cartoncino mi sembra proprio quella di spronare il talento a trovare sbocchi coerenti e seducenti, ricorrendo ad un supporto che ha tutta la cultura, l’onestà, la naturalità e la duttilità per centrare il target e per favorire il successo del contenuto.

Il design brasiliano: solarità, colori accesi (o comunque caldi), forte carica espressiva, utilizzo di materiali poveri, cosa conservate di queste origini creative nei vostri progetti?
Fernando: Conserviamo tutte queste forze (viste come direttive) nei nostri progetti. E' in esse che si nascondono i nostri concetti e pensieri. Materiali considerati poveri e un paese scarso di soldi e con tecnologie in via di sviluppo, hanno guidato le nostre creazioni (anche quella di altri colleghi in altri campi) sino a farci arrivare ad elaborare soluzioni formali e tecniche molto particolari che però, dopo alcuni tentativi ed adattamenti, si sono sempre presentate possibili. Alcune volte con una traduzione di fattibilità difficile per l'industriale, ma che le imprese italiane hanno sempre avuto interesse ad interpretare. Qui c’è anche la risposta alla tua precedente domanda: sperimentare per risolvere.

Avete lavorato per diverse aziende italiane. Credo che vi siano dei possibili parallelismi con la nostra cultura e la nostra tradizione. Che cosa ne pensate ?
Fernando: Si, sicuramente. Le aziende italiane sono sempre state aperte a tradurre i desideri della nostra anima e sono state le prime a dedicare del tempo all’interpretazione del nostro modo di esprimerci. Hanno sempre avuto un carattere forte, senza seguire specifiche tendenze, ma creando le proprie (legate alla tradizione o alla cultura dell’artigianato), anche quando il mercato parlava un'altra lingua. Questa attitudine è molto simile al nostro percorso, ai nostri ideali artistici e creativi. Riguardo all’Italia, possiamo dire che ricorda molto il nostro luogo di nascita (considerando le differenze storiche e geografiche).
Siamo di famiglia italiana e, per fortuna, non possiamo farne a meno poiché l'influenza è forte e chiara.

Siete diventati famosi con la sedia "Vermelha", che è costruita con una corda rossa lunga 500 metri, intrecciata come se fosse un nido di uccelli. Al Salone del Mobile di Milano, in seguito, avete presentato uno sgabello, "Sushi", il cui sedile è formato da scarti di tessuti tagliati a strisce, e un divano, "Boa", realizzato interamente con un unico lungo rotolo di velluto. Qual è la vostra fonte di ispirazione ?
Fernando: Abbiamo sempre dichiarato che la nostra fonte di ispirazione arriva direttamente dalle strade di San Paolo; nelle stesse strade e nelle stesse favelas della nostra città. Una parte del nostro lavoro consiste proprio nel girare e passeggiare per ore in questi luoghi, per poi osservare, prendere appunti e sviluppare idee.
Humberto: Le favelas sono una vera ricchezza di idee. La gente si costruisce di tutto senza avere un soldo da spendere, usando fantasia e ingegno. Poi ci sono i mercati di frutta e i gli incredibili negozi dei stregoni africani, dove vendono oggetti per pratiche magiche.

Humberto, l’ultima cosa che mi hai detto , mi fa riflettere. Mi dici questo, forse, per comunicarmi che il vostro lavoro può esser creato dalla parte più buia del vostro essere.
Un “Io”, un po’ sciamano, un po’ divinità malefica. In effetti, guardando meglio alcuni vostri pezzi, come “Favela”, “Corallo” e “Jenette”o gli oggetti della famiglia “Blow Up”, sembra che siano tirati fuori da uno spirito maligno o da uno stregone-demone diabolico…

Humberto: Non ci avevo pensato. Ma, è sicuramente possibile che una parte dell’arte, della cultura e della tradizione brasiliana sia legata ad aspetti magici, riportati in quella vita quotidiana da cui, per l’appunto, siamo soliti prendere idee per i nostri lavori.

Infine, quali possono essere le sfide future del design e come vedete il vostro lavoro nei prossimi anni ?
Fernando: Guardiamo al nostro lavoro come ad una evoluzione continua; viviamo l'oggi poiché non sappiamo come sarà il mondo domani. Siamo sicuri solamente della nostra creatività, che ci coinvolge e alla quale siamo molto legati. Tutto cambia con una velocità incredibile e senza una direzione definita, cose diverse che corrono insieme in direzioni diverse nel tentativo di arrivare ad un luogo comune. Non siamo molto propensi a fare previsioni. La vita in Brasile ci ha insegnato che i cambiamenti possono essere violenti e rapidi, sia in modo positivo che no.

Tornando a parlare di materiali, con quali materiali avete lavorato per la sedia “Sushi” e il divano “Boa” ?
Fernando: Per “Sushi” con tutto ciò che si può trovare. Abbiamo preso stoffe, gomma, striscioline di tappeti di finta erba di plastica. Il divano “Boa” è nato su richiesta di Massimo Morozzi: voleva un divano senza struttura fissa e senza ferro. Ma noi fino allora non avevamo mai fatto un divano! Allora abbiamo cominciato a raccogliere di tutto, a fare prove e ad assemblare. Alla fine ci siamo ricordati di una scultura di Humberto, a forma di serpente, e l'abbiamo sviluppata utilizzando la stessa lavorazione della poltroncina “Vermelha”. In pratica “Boa” è l'amplificazione di “Vermelha”.

Qualche altro progetto?
Fernando: Con cinque provette abbiamo realizzato un contenitore per fiori, saldandole insieme, ognuna con un'inclinazione diversa. Poi ci sono delle luci fatte con il bambù, un materiale molto presente in Brasile. Il cartone ondulato invece ci ha ispirato per una collezione di gioielli come anelli, braccialetti e simili, dove l'oro è formato a strati, come appunto il cartone ondulato.

Invece a cosa si ispirano le vostre “Mutazioni Transgeniche” come “Corallo” , “Jenette” e “Vermelha”
Fernando: Ci siamo ispirati alla fauna marina e terrestre delle latitudini equatoriali. Un coccodrillo diventa un morbido e carnoso divano, una stella marina gigante dai lunghi tentacoli si trasforma in una comoda poltrona. La forma vuole essere accattivante e invitante, ma al contempo è vagamente inquietante. “ Kaiman Jacarè”, così si chiama il coccodrillo brasiliano, è un imbottito privo di struttura composto da elementi di forma diversa che si inseriscono l'uno nell'altro e ricordano un ammasso di alligatori. ”Aster Papposus”, è invece una seduta, anch'essa senza struttura, rivestita da un tessuto squamato iridescente che ne accentua il carattere marino. “Brasilia”, i tavoli poligonali sono invece un assemblaggio caotico di schegge lucenti di reflex a specchio, un omaggio alle pietre sulle quali si erge la capitale Brasilia. Di varie dimensioni ed altezze, si propongono, con i loro riflessi multicolori, come magici caleidoscopi.

Rispetto alle tematiche ambientali, il mercato tedesco appare assai più attento di quello italiano e brasiliano. Cosa ne pensate ?
Humberto: Qualche anno fa la sensibilità dei consumatori tedeschi nei confronti dell'ecologia appariva più alta, tanto è vero che non era difficile trovare persone disposte a spendere anche grosse cifre per comprare prodotti con caratteristiche di eco-compatibilità. Penso al caso estremo del successo dei vestiti fatti da sacchi di patate ... Oggi, invece, il consumatore guarda soprattutto alla lunga vita del prodotto, quindi, un paio di scarpe che costa poco non è ecologico perché al momento dell'acquisto si sa già che bisognerà presto comprarne un nuovo paio.
Nel settore dell'arredo in particolare, bisognerà pensare ad oggetti facilmente disassemblabili, i cui pezzi difettosi possano essere smontati, riparati o sostituiti.
Se è vero che il termine eco-design è ormai sulla bocca di tutti è altrettanto vero che i confini della tematica rimangono ancora nebulosi.

E' possibile dare una definizione di eco-design? Quali sono i suoi obiettivi? Quali le specifiche competenze ?
Humberto: Dal punto di vista ambientale risulta decisivo soprattutto "il fare cose molto efficienti con poco materiale ". L’azienda multinazionale Siemens, a tal proposito, parla giustamente di light design. Dove tutto è ridotto al minimo. Tra i compiti più tradizionali del design, vi è sicuramente quello della definizione estetica del prodotto, ma anche quello di chiedere alle aziende di rispettare soprattutto l’ambiente...Noi, con il nostro design ci muoviamo proprio in questa direzione.

Visto la vostra recente esperienza nel packaging, professionalmente ritenete che sia un vantaggio la versatilità progettuale? Oppure, come affermano alcuni designer, può essere controproducente e rischioso, perché nel mondo del design viene privilegiato chi è immediatamente identificabile in un ruolo preciso ?
Fernando: Un vantaggio, perlomeno per noi. La versatilità ci ha permesso di affrontare il progetto da un punto di vista globale e tante volte siamo stati scelti proprio perché in grado di garantire un prodotto finale complessivo, dove vengono richieste diverse competenze. Possiamo offrire un "pacchetto" che garantisce soluzioni coordinate e precise e non corriamo il rischio di trovarci in situazioni linguisticamente e formalmente sconnesse. Spesso è il mondo del design – se ci riferiamo alle aziende – che deve essere chiamato, coinvolto e "trascinato" in esperienze progettuali. In questo momento stanno nascendo nuove esperienze globali in cui "designer chiama designer" e crediamo che questo sia motivo di crescita generale.
Humberto: Dal punto di vista economico, talvolta, però è stato anche controproducente, nel senso che purtroppo per una radicata specie di disinformazione culturale, il design system ti chiama e ti cerca soprattutto quando riesce ad identificarti in un ruolo preciso.

Il rapporto tra confezione e contenuto, ossia packaging è da accostarsi in chiave esistenziale a quello tra corpo e anima. Non perché il packaging sia qualcosa di materico e il contenuto si riconduca ad essenza impalpabile, quanto perché il primo deve tradurre nel modo più spontaneo possibile, l’indole, il messaggio, il carattere, senza eccedere nei toni, senza rincorrere ad artifizi.
Humberto: Si, credo che questo possa essere un bell’accostamento anche perché con il tempo l’affinità tra corpo (packaging) e anima (il prodotto) è lievitata grazie anche ad una più matura sensibilità dei produttori e dei venditori.

Il designer è mezzo manager e mezzo artista ?
Humberto: Abbiamo in mente una sorta di equazione, perché secondo noi un prodotto ha due fattori che lo rendono vincente. Uno è senz'altro il concetto di innovazione - che può essere bilanciato tra estetica e funzione. A questo va poi associato un fattore "K" che è il costo. Vale a dire che si può eccellere nella prima fase, ma se si fallisce in questo secondo aspetto il prodotto non avrà successo, non può venire commercializzato e quindi, di fatto - per quanto possa essere premiato alle manifestazioni o pubblicato su riviste - non avrà un vero riscontro a livello professionale.
Si chiude la saracinesca dello studio!
Fernando: …Molti colleghi ci criticheranno per questa rude "equazione produttiva", perché parlare di design confrontandosi così apertamente con il mercato equivale a "deculturalizzare" questa disciplina. Ma purtroppo la nostra non è più la generazione dei Sottsass e dei Mendini.
Con tutte le problematiche che si riscontrano oggi a livello economico, con lo spettro dell'estremo oriente, ecc., la nostra generazione deve per forza confrontarsi con esigenze di prezzi e di mercato.
Per noi il successo è questo, il prodotto vincente è la magica combinazione di questi due coefficienti.



Marco Ligas Tosi: scrive di arte, architettura, cinema e design per le maggiori riviste nazionali e internazionali. Attualmente lavora per un'agenzia di comunicazione integrata di Milano, come creativo e account manager.