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Eikon(2007) Anno 1 Numero 4 ottobre-dicembre 2007



L’ idea e la pelle

Daniela Ferrari

Paradigma classico e paradosso pop



I temi e le idee dell'arte


Sommario EIKON 4/ 2007
“CORPO”


Editoriale
di Flaminio Gualdoni 5


L’idea e la pelle
Paradigma classico e paradosso pop

di Daniela Ferrari 6


Corpo primario
Caudio Costa e il work in regress
di Elena Piaggesi 14


La maschera e l’icona
Corpo biologico, corpo ideologico
di Michele Zaza 24


Altre metamorfosi
Teatri tecnologici del corpo
di Alice Spadacini 32


Rituali del corpo
L’esperienza della danza
di Katia Cusin 38


La gioia di agire
The Living Theatre: una vicenda
di Chiara Gualdoni 46


Guardare ascoltare leggere
di Emanuela Agnoli, Carla Casu, Umberto Re
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ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

L’arte e il tempo
Giorgio Seferis
n. 2 aprile-giugno 2007

Immagini cristiane delle origini
Flaminio Gualdoni
n. 1 gennaio 2007


Piero Manzoni firma una
Scultura vivente, 1961

James Rosenquist
For Kiesler's Endless House, 1963

Tom Wesselmann
Great American Nude n.52, 1963

“La bellezza sensuale offriva all’artista la bella natura, la bellezza ideale i lineamenti sublimi; dalla prima questi prendeva l’umano, dalla seconda il divino”
(J. J. Winckelmann).

Il corpo come soggetto della pittura, a partire dalla sua concezione storica fino alla contemporaneità, è inscindibile dalla ricerca intellettuale e morale sul concetto di Bellezza. Volendo riflettere sull’esistenza di una linea espressiva che come assunto ha ancora il corpo ideale e su quanto le variazioni sul tema siano infinite, non si può fare a meno di osservare come il corpo sia stato percepito e rappresentato attraverso due fondamentali aspirazioni: quella che tende verso la forma ideale, e quella che invece si prefigge di restituire un’immagine ancorata al reale.
Nella rappresentazione artistica, reale e ideale non sono categorie antinomiche in senso assoluto: l’una ha bisogno dell’altra. I loro caratteri distintivi si nutrono e sono enfatizzati dal confronto, dalla contiguità: l’ideale ha bisogno del reale per essere creato quanto il reale ha bisogno dell’ideale per essere percepito.

Se il tema del nudo è la forma d’arte emblematica dell’aspirazione all’armonia dell’ordine naturale, quello del nudo femminile possiede con maggior intensità tutti gli aspetti dell’esperienza umana evocati da un corpo: il desiderio erotico, l’armonia, l’energia, l’estasi e la passione, l’umiltà e il potere della creazione sono alcune note distintive che fanno del corpo femminile un mezzo d’espressione con valore di universalità e di eternità.
La posa policletea, modello perfetto di ritmo plastico, passo fondamentale per il raggiungimento della forma ideale, nasce per la figura maschile, ma è quella femminile che ne beneficia maggiormente. L’ondulazione dei fianchi, o déhanchement, si dispiega in una linea armonica, ed è come se allo sguardo fosse suggerito il tragitto da percorrere e seguendo la sinuosità del tracciato scoprisse accanto al piacere della linea curva la sintesi formale che conferisce all’oggetto dell’opera il grado di forma completa, in odore di perfezione.

Reale, ideale e nudo femminile, in parte della pittura contemporanea, sono dunque l’ordito su cui l’artista tesse una trama, dimostrando come il corpo possa ancora essere paradigma. Questa tendenza espressiva è rappresentata proprio mediante la manifestazione ambigua e compiaciuta – dal quel demiurgo, peccatore di hybris per eccellenza, che è l’artista – di questi assunti teorici antichi, che diventano così caratteri intrinseci, senza la consapevolezza dei quali l’opera d’arte non sarebbe che una semplice immagine, privata di un suo valore concettuale.
Del corpo l’artista evoca il suo valore di icona e il suo potere simbolico, mosso dall’urgenza di rappresentare un’idea, senza poter fare a meno di dichiarare a priori la sua scelta: quella del modello, quella dell’eidos.
Alcune opere di Piero Manzoni sono quasi un oracolo: il canone classico di rappresentazione, quello del corpo, viene citato con la Scultura vivente, o con la Base magica, ma ne vengono invertiti i termini. Manzoni firma la modella o costruisce il suo piedistallo, e realizza così il mito di Pigmalione e Galatea: ma qui è il corpo vivo che, grazie al gesto dell’artista-demiurgo, diventa statua e opera d’arte. In altro modo, con le Antropometrie, Yves Klein trasferisce l’impronta del corpo cosparso di colore e disteso direttamente sulla tela. Il dipinto continua a essere simulacro, kolossós.
Qual è l’immagine vincente del corpo percepita come modello nell’immaginario collettivo contemporaneo rivelata dall’occhio preveggente dell’artista? Non si può prescindere dall’interrogativo su quale sia l’idea di corpo veicolata oggi dai mass media.

Non i corpi dipinti di carnalità e consistenza di Rubens, non la Venus del espejo di Velázquez, così concreta come i colpi di pennello che l’hanno creata, tanto da essere ancor oggi uno specchio di realtà, verità fragrante perché l’artista spagnolo ha saputo trasmettere ai suoi fianchi e alla sua pelle la gravità molle delle membra rilasciate.
Non le ninfe opulenti di Courbet, e nemmeno l’Olympia di Manet, che osserva spavalda lo spettatore a lei coevo, consapevole di essere riconosciuta, distante perché distesa come le Venere di Giorgione e di Tiziano, e altrettanto vicina perché sotto la sua pelle d’avorio sembra intravvedersi il fluire del sangue.
Ma la Galatea di Raffaello, le Grazie di Canova, le odalische di Ingres, sono i paradigmi con cui il corpo vuole essere percepito e desiderato nella percezione contemporanea. Con un sottile ma fondamentale discrimine: nell’antichità il corpo ideale possedeva il potere dell’invisibilità, gli dèi erano solo immaginabili; oggi si è invece attorniati da canoni ideali: i divi, le star, nuovi dèi, hanno trasformato la propria immagine in eidos, credibile poiché visibile e immaginabile.
Nel concetto astratto del corpo femminile la visione ideale e carnale della Venere coincidono, si completano; e Marilyn Monroe, icona della bellezza del Novecento, può essere considerata una vera e propria Venere contemporanea. Con Marilyn tramonta la diva irraggiungibile e intoccabile come le dee dell’Olimpo: la star entra nell’immaginario collettivo, nel mito, e vi rimane, generando continui simulacri di se stessa. Con la Marilyn di Andy Warhol si torna all’idea che l’immagine sia depositaria del potere di far comparire ciò che è mito.
Warhol crea l’idea di star e la celebra facendola diventare un’icona dell’arte pop. Ma per quanto sembri paradossale non rende eterne le superstar della sua Factory, ma quelle già note, quelle che già regnano nel firmamento e che sole possono da eidolon diventare eidos. Ma prima il corpo deve scomparire per diventare immagine.

Non è un caso che la serie delle Marilyn abbia inizio dopo l’agosto del 1962. Marilyn è la Hera delle sue icone, colei che tutte le altre genera. Morta giovane, quindi perfetta, non solo perché, come per gli antichi eroi, è “cara agli dèi”, ma anche perché in questo modo la sua immagine rimane, nella memoria, immutata in eterno, immune alla decadenza, come un Dorian Gray che il patto l’ha fatto direttamente con il suo pubblico. L’artificio diventa il mezzo per la celebrità.
Non si tratta più di creare sulla tela l’idea del vero, ma di rendere verosimile un’idea.
Mel Ramos esplicita la derivazione dell’immagine del corpo pop da quella delle statue antiche attraverso la citazione: l’antichità diventa modello, non per i suoi principi esemplari di ordine, proporzione e armonia, ma come riferimento iconografico squisitamente mondano.
L’artificio retorico è dichiarato senza pudore quando dipinge il corpo dell’Afrodite Cnidia di Prassitele con il volto di una qualunque stellina della pubblicità, che dalla lucentezza del marmo trascolora nella lucentezza della carta patinata, mettendo in gioco anche il tema della metamorfosi.
“Dov’è l’arte? Perduta, scomparsa! Ecco le forme autentiche d’una giovinetta… Ma lei ha respirato, mi pare!... Le carni palpitano; ella sta per alzarsi, aspettate!” (H. de Balzac).
Ancora ascoltiamo le parole di Frenhofer che ci invita a scoprire il suo chef-d’oeuvre inconnu, e cerchiamo la punta d’un piede nudo, delizioso e vivo sfuggito alla distruzione sotto una muraglia di pittura.