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Trimbi (2008) Anno 1 Numero 3 maggio-agosto 2008



Camminando sui binary

Vincenzo Notaro

Un’esplorazione ecologica dell’arte digitale



arti | artisti | artigli


editoriale. tra le infinite configurazioni possibili | gruppo creativo l’arcael’arco p.3

la città attuale | daniele pittéri p.4
spaziomolecolareformecittàedificimondoespansionecentripefugaspaziomolecolareformecittàedificim

casus belli | pasquale napolitano | stefano perna p.8
assemedianodevastazionesegnaleticamacchiamoltiplicativaabbattereassemedianodevastazionesegnal

genius gloci | enzo battarra p.12
artistiterritoriomemoriaglocalizzazioneglobalizzazioneangieroferrarofioreartistiterritoriomemoriaglo

what’s happens? | redazione l’arcael’arco p.18
balcelonaberlinbilbaolondonmadridmoskvanapolinewyorkparisromashangaisidneyveneziawieneventi

sartre critico militante | aniello montano p.20
filosofiamilitanteexistentielcalderharegiacomettimassonrebeyrolleleponjadefilosofiamilitanteexisten

la tele@visione indifferente | gabriele montagano p.28
sedurreindifferenzavisionetravisarericonoscibilitˆproduzioneimmaterialesedurreindifferenzavisionetr

camminando sui binary | vincenzo notaro p.30
esplorazioneecologicaartedigitaleretroazioneassenzaselettivaincrementalesharingesplorazioneecolog

rete e artefatti | carmine de falco p.35
oltreindustriaculturalemassaweb2.0eticahakerdonarecopyleftretemediaoltreindustriaculturalemassa

partiture significanti | mimmo napolitano p.38
strumentotimbrosuonosintetizzatoremicrotonaledronefluttuazionedifferenzadetunestrumentotimbro

ernst junger sulla fotografia della violenza | pino bertelli p.42
fotografiaviolenzaesecrabilecriminalebombetiranniamercantiledissidiimpervifotografiaviolenzaesecra

| paolo veronesi p.46
occhioreportagemercatoistanteflussoadamsgardinbolognini50mmocchioreportagemercatoistantefluss

liberarte / tavole d’autore | corrado morra / vincenzo notaro / fabio m. corsale p.50
ivanpianodarkknightgiovannicuofanotaglidiluceenzopaganostudiodifigurabatmanplasticacenerecavalie

ritrovamenti | carlangelo mauro p.56
scheletridomaniamanticorpofollalinguaggitecabattesimopietrascheletridomaniamanticorpofollalingu

la neve [I frammento] | francesco filia p.58
boccaneveesitarenordarancemorirecristallomisericordiainvernoboccaneveesitarenordarancemorirecri

un filo| antonio spagnuolo p.59
ascoltareparolainutilmentetempoaltrispiritifiloconfusoarmonieascoltareparolainutilmentetempoaltri

linea di poesia delle tue fragole | raffaele piazza p.60
chiaroincontroigloocasatelefonataliquidopolaresoldatessesalicichiaroincontroigloocasatelefonataliqu

la devozione [lettera-racconto] | nica maroccolo p.61
venetuobenemedicamentosasoffionealefendometriosettenuditˆvenetuobenemedicamentosasoffione

bianco/bianco. pagina operativa 3 | gruppo creativo l’arcael’arco p.64
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«The machine is us. Web 2.0 is linking people. People sharing, trading, collaborating... We’ll need to rethink a few things... copyright, authorship, identity, ethics, aesthetics, rhetoric, governance, privacy, commerce, love, family, ourselves».
Così si chiude il suggestivo video di Michael Wesch, antropologo alla Kansas States University, apparso su youtube.com che illustra in maniera illuminante i concetti chiave del Web 2.0, lanciando un’esigenza di ripensamento e riscrittura delle categorie di diritto d’autore, identità, etica, estetica, retorica, governo, mercato, amore… noi stessi(1).
E l’infinità delle risposte possibili è la sola cosa, al momento, davvero open source.
Siamo noi la macchina. Siamo noi a istruire la macchina. Le nuove frontiere dell’arte dovranno fare i conti con una vera e propria rieducazione all’opera, ma è necessaria un’istruzione ex novo, occorre risignificare la meccanica dell’esistenza, il suo nucleo operativo.
La macchina-noi è un insieme di componenti, è il mezzo (dal latino machina) che veicola la vita, è l’invenzione (dal greco mechanè) che dà continuità e rinnovamento alla vita, ed è la sola prova (dall’accadico mukanu) che abbiamo e che avremo di noi stessi.
La metafisica dell’essere non è che un abbaglio: siamo spettatori, siamo in contemplazione, siamo passivi. Finora siamo stati. Ora dobbiamo operare.
Anzi cooperare. Questa è la differenza che nasce con il Web 2.0: la volontà cooperativa, lo sharing. Attraverso nuove concezioni come il social networking, i social softwares, i custom media nasce una nuova chiave di lettura/utilizzo delle informazioni digitali. Siti come Wikipedia, un’enciclopedia on line libera, costruita sul contributo spontaneo degli utenti (circa 60 milioni in continua espansione) segnano il passaggio alla version 2.0 del Web, ma si pensi anche a Google, partito come motore di ricerca e arrivato a un vero e proprio network costantemente implementato con servizi creati su misura – custom – per gli utenti(2).
Già dilagano i blog, i forum e il feedback è il meccanismo chiave della dinamicità di questo sistema autogestito, basato sul concetto di retroazione (feedback appunto), fatto di oggetti autonomatici, creati da una rete di coautori che contribuiscono alla crescita di ognuno.

La retroazione è il meccanismo nodale dei sistemi dinamici, che permette di tener conto dei risultati del sistema per modificarne le caratteristiche. In un sistema retroazionato l’uscita del sistema è anche un ingresso del sistema, ergo il feedback in una piattaforma open è l’ingranaggio centrale della crescita del web (e nel nostro caso dell’arte legata al web o, più alla radice, al digitale).
Ciò comporta il crollo dell’obsoleto concetto di diritto d’autore (3): l’artista assume la funzione di ultimo filtro dell’opera di cui è coautore in una rete di individui/sistemi/informazioni.
Finora il web non è mai stato vita, ma sua simulazione: con queste integrazioni, più concettuali che tecnologiche (4), si può stabilire la data di nascita di un web finalmente vivo. L’arte si sta trasformando giocoforza. Dall’integrazione del concetto di una “rete globale” all’idea, ormai materializzatasi, di avere in punta di mouse un intero pianeta (pensate a Messenger, Skype e a tutti gli altri software di messaggistica istantanea), qualcosa dev’essere cambiato.

È cambiata la modalità di fruizione. Ma quali sono le conseguenze?
La fruizione, soprattutto dell’arte (e soprattutto dell’arte digitale), è sempre più uno scambio di informazioni; attraverso la meccanica del feedback cresce la consapevolezza dell’utente che man mano si trasforma in coautore. Questo induce un controllo del virtual globe per un uso delle tecnologie sempre meno automatizzante, creando delle alternative agli spazi occupati dalle classiche forme d’arte come la pittura e la scultura, con l’evidente possibilità – una volta definiti gli ambienti – di un recinto multidimensionale in cui potersi muovere con agilità.
In tal senso siamo dei neonati, non riusciamo ancora ad articolare bene i movimenti, stiamo esplorando gli ambienti, li stiamo definendo. Siamo, per fortuna, ancora ricercatori, argonauti che tentano di spingere i new media oltre le proprie potenzialità per trasformarli in congegni creativi in tutti i termini, in un’ottica di creatività integrata, che attraversi fluidamente la questione spaziale/ambientale, quella giuridica del diritto d’autore, le nuove strategie economiche, fino a gettare le basi per un’estetica selettiva/incrementale(5).

Dunque, l’avvento dei new media non può lasciarci indifferenti. Youtube.com è una delle prove viventi di come i parametri di scrittura di un video potrebbero cambiare radicalmente, di come i supporti ai quali siamo abituati siano ormai in decadimento; se fino a ieri i supporti cambiavano con velocità, oggi si può parlare di accelerazione. In pratica si è passati da un’estetica della velocità a un’estetica dell’accelerazione, dall’inseguimento dell’ultimo modello di lettore mp3 a un potenziamento esponenziale delle capacità di elaborazione e fluidità delle piattaforme virtuali, ormai modulabili su supporti di qualsiasi natura, dai cellulari ai computer. Immaginate quanto sia rilevante impostare la lettura di un video per un cellulare anziché per la televisione. Mutano le proporzioni, muta il rapporto pieno/vuoto e di conseguenza mutano le sensazioni, le percezioni. È proprio questa la riscrittura dell’opera d’arte in termini fruitivi: non conta più soltanto l’oggetto (supporto dell’idea) – anzi ne viene fuori una interscambiabilità infinita dei supporti – ma conta anche la fluidità della piattaforma, la compatibilità radicale che ne rende possibile la fruizione attraverso una serie sempre più ampia di strumenti e tecnologie. Eppure, finora ci sono state poche buone scoperte e molti clamorosi errori: che senso ha una Second Life (6) se viviamo già una vita reale? Quale incremento sistemico produce? Che senso ha un luogo virtuale in cui la tridimensionalità finisce per appiattire anziché aumentare le informazioni? Una sottoforma di casinò in cui da subito c’è stato un inquinamento di messaggi pubblicitari: la magnificazione della simulazione. Uno dei vantaggi ancora occulti dell’arte digitale (e dei processi digitali di elaborazione per qualsiasi impiego) è proprio la possibilità di passare dalla sfera virtuale a quella reale in qualsiasi momento, senza problemi di conservazione dei dati o di deterioramento degli oggetti. Abbandonando un’idea legata all’oggetto fisico che muore, a un ambiente fisico che cambia, con lo spazio virtuale nasce un’esigenza ecologica. Il digitale segna l’avvento dell’oggetto on demand. L’oggetto non è più strettamente necessario, ma si materializza solo su richiesta, su commessa. Si chiarisce che la necessità di un’opera d’arte fisica ha a che fare con la sua mercificazione. Si chiarisce che la paccottiglia che ammuffisce nelle gallerie d’arte andrà via via a ridursi, in favore di un’estetica ecologica. Questo dato finora è stato trascurato per immaturità e finanche nell’arte digitale si è continuato a produrre oggetti fisici, anche se scaturiti da processi di digitalizzazione e modellazione dei dati per via software. Se si andrà avanti così, oltre ai Duchamp che ammuffiscono nelle gallerie ci saranno nuovi cadaveri con altre facce ma con la stessa puzza di sempre. Questa disattenzione produce inquinamento concettuale, indifferentemente in ambienti di natura fisica o numerica.

Le nuove forme di comunicazione sono legate a un paradosso che costituirà la futura riscrittura delle nostre concezioni di corpo, spazio, relazione tra individui, che saranno alla base di un incremento delle informazioni, finora scaturite dalla corporeità fisica/statica degli oggetti di consumo e degli oggetti d’arte. Informazioni desuete, incapaci di definire teorie e comportamenti in realtà alternative (virtuali, numeriche, binarie, multidimensionali) dalle quali, oggi, entriamo e usciamo come aggregati di caos che si spostano con inquietante facilità da spazi bidimensionali a spazi tridimensionali, da ambienti digitali ad ambienti analogici, raggiungendo quasi una simultaneità di presenza/assenza.
Il paradosso è esattamente questo: forme di comunicazione/fruizione in cui per essere presenti è necessario essere fisicamente assenti.
Oggettivamente assenti.
Afferrato questo dilemma, oltre il corpo dell’opera comincia a vanire anche il corpo dell’autore.

note
1. Web 2.0 è il progressivo ridefinirsi dell’utilizzo della rete, Tim O’Reilly, leader della O’Reilly Radar Team, osservatorio americano di analisi, supporto e sviluppo delle nuove tecnologie, sostiene che «Web 2.0 è il set degli orientamenti economici, sociali e tecnologici che insieme costruiscono le basi per la nuova generazione di Internet – un media più maturo, ben distinto, caratterizzato dalla partecipazione degli utenti, una sorgente aperta (openness) che genera effetti sul network».

2. Federico Moro in Web 2.0 Innovazione applicata ai servizi di Rete, openarea.net, approfondisce la questione attraverso diversi esempi pratici: «Google non è solo uno strumento di ricerca: (...) Con il lancio di Gmail (il primo sistema di posta elettronica su invito e con un giga di spazio gratuito a disposizione) e lo sviluppo del servizio di Account Personale che consente di accedere con un unico nome utente e password a tutti i servizi, sta diventando e diventerà sempre più in futuro il punto di riferimento per gli sviluppatori». E si pensi anche a Writely che «tra tutti è forse il servizio che può far intuire meglio le possibilità reali che il nuovo Web offrirà. Acquistato da Google per due milioni di dollari, Writely è un editor di testo on line. Con una registrazione gratuita l’utente è in grado di scrivere documenti testuali, formattarli e salvarli sia on line che in file sul proprio pc. Oltre a questo dà la possibilità di avere un indirizzo web personale per ogni singolo documento editato on line e consente a utenti esterni di vederlo e (in una misura decisa dal proprietario del testo) di partecipare alla stesura. Il software on line oltre a salvare in remoto i file, memorizza anche la cronologia delle modifiche consentendo una comparazione tra due differenti versioni, visualizzando in contemporanea aggiunte e modifiche. È uno strumento di supporto al lavoro in team che spezza i tradizionali tempi di revisione nel lavoro di gruppo, annulla le distanze fisiche e velocizza il processo creativo».

3. Copyleft, licenze Creative Commons, la licenza Art Libre, nate da un bisogno sociale di rimodellare le rigidità del copyright, sono una vera e propria svolta ideologica e pratica che ha ampliato il concetto di diritto d’autore e riscritto il concetto di autore stesso. «Con questa licenza Art Libre è permesso copiare, diffondere e trasformare liberamente le opere rispettando i diritti dell'autore originario. (…) Dal momento che l’uso fatto del diritto della proprietà letteraria e artistica conduce a restringere l’accesso del pubblico all’opera, la licenza Art Libre ha invece lo scopo di favorirlo».
Ci riserviamo di approfondire l’argomento, da un punto di vista estetologico più che giuridico, in una successiva trattazione.

4. «Da un punto di vista strettamente tecnologico, il Web 2.0 è del tutto equivalente al Web 1.0, in quanto l'infrastruttura di rete continua a essere costituita da / e e l' è ancora il concetto base delle relazioni tra i contenuti. La differenza, più che altro, sta nell’approccio con il quale gli utenti si rivolgono al Web, che passa fondamentalmente dalla semplice consultazione (…) alla possibilità di contribuire popolando e alimentando il Web con propri contenuti». Testo tratto da wikipedia.it.

5. Come vedremo in una specifica trattazione, dai processi artistici digitali scaturiscono delle caratteristiche estetiche legate strettamente al media in questione. Si pensi alle forme di compressione selettiva su immagini *.jpg, compressione detta “a perdita di informazioni”; e si pensi invece alla questione della tridimensionalità nel web attualmente stagnata a una simulazione decorativa della realtà, ma che potrebbe, con l’avvento del Web 2.0, costituirsi come strumento di incremento delle informazioni. Quindi da un lato la perdita selettiva che si manifesta attraverso un’estetica del disturbo – fenomeni di blocking (quadrettatura sulle immagini) o di blurring (sfocatura) – dall’altro l’incremento delle informazioni attraverso l’integrazione di veri e propri ambienti web.

6. Secondlife.com è un gioco 3D on line, sviluppato dalla LindenLab nel 2003. «Il sistema fornisce ai suoi utenti (definiti “residenti”) gli strumenti per aggiungere e creare (…) oggetti, fondali, fisionomie, (…) Second Life lascia agli utenti i diritti d’autore sugli oggetti che essi creano, che possono essere venduti e scambiati tra i “residenti” utilizzando una moneta virtuale (il Linden Dollar) che può essere convertito in veri dollari americani». Dalla descrizione tratta da wikipedia.it sembra che Second Life sia già Web 2.0, eppure alla base c’è un vizio di sostanza che affronteremo in una prossima uscita.