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Lettera internazionale Anno 25 Numero 101 dicembre 2009



La mia prima volta a Vilnius

Biancamaria Bruno



Rivista trimestrale europea


Lettera Internazionale n. 101 – Sommario

Brevi note sull’Occidente

2 Le maledizioni dell’Occidente, Herbert George Wells
4 Piccola apologia del libro, Jean-Marie Gustave Le Clézio
6 Parole nuove, George Orwell

L’Europa delle avanguardie
10 Il bugiardo, Jean Cocteau
11 Manifesto per una costruzione di situazioni, Guy Debord
14 Critica delle avanguardie, Eduardo Subirats
17 Europa: l’arte e l’estraneo, Boris Groys

Dopo il Muro
21 Harmonia Europae, Zbigniew Herbert
23 Quel che resta della poesia, Adam Zagajewski
27 Berlino: una speranza ferita, Evgen Bav?ar
33 Cronache dal post-socialismo, Péter Nádas
38 De profundis per la Russia, Jurij Afanas’ev
46 La mia prima volta a Vilnius, Biancamaria Bruno

Lettere e filosofia
47 La filosofia come genere letterario, Ágnes Heller
52 Filosofia all’italiana, Ermanno Bencivenga
55 Un’Italia piccola piccola, Giulio Ferroni
59 Malerba, uno straniero nella notte della città, Alberto Scarponi

I Libri
62 A cura di Francesco M. Biscione, Dario Gentili, Elio Matassi, Francesco Morabito
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Aldo Cimaglia
video-manifesto dell'Associazione culturale in tempo
fotogramma, 2009

Aldo Cimaglia
video-manifesto dell'Associazione culturale in tempo
fotogramma, 2009

Aldo Cimaglia
video-manifesto dell'Associazione culturale in tempo
fotogramma, 2009

Maggio 2009. Sto per partire per Vilnius. Il gruppo di Eurozine quest’anno si dà appuntamento nella capitale lituana. Ma io che cosa so della Lituania e della sua cultura? La Lituania è una delle tre Repubbliche Baltiche; Simanas Daukantas, il più grande storico nazionale, morto a metà dell’Ottocento; il Bund, la nascita del sionismo; e la storia dello sterminio del ghetto di Vilnius, certo, durante la Seconda Guerra Mondiale; e poi il lituano, una delle lingue indoeuropee più arcaiche e interessanti.
Parafrasando la definizione che Chamberlain diede della Cecoslovacchia dopo averla lasciata nelle mani di Hitler, devo riconoscere che per me la Lituania è un Paese remoto di cui non so nulla.
Ecco, il mio aereo sta atterrando. Sono in ritardo rispetto alla cerimonia di apertura dei lavori di Eurozine al palazzo presidenziale, al cospetto dello stesso Presidente. Scendo dall’aereo di corsa, mi infilo in un taxi e cerco di convincere il tassista che la mia destinazione non è l’Istituto Italiano di Cultura, dove lui mi vorrebbe portare a tutti i costi, ma il palazzo del Presidente. Lui è scettico, insiste, ma alla fine cede. C’è tanto traffico, dice, è venerdì sera. Io conto le macchine ferme a un semaforo rosso: tre. Pochi minuti ed eccomi al portoncino da cui si accede alla sala che accoglie la opening soiree: qui sì che c’è traffico: guardie, controlli, metal detector, your passport, madam, please. You are late… Lo so, è tardi, ma fatemi entrare, per favore. Ho il fiato corto, devo lasciare il bagaglio in un angolo, ma bisogna stabilire in quale. E non è una decisione facile da prendere, a quanto pare.

Finalmente, qualcuno mi guida per corridoi e sale. Tutto molto moderno, un po’ freddo, mi viene da dire un po’ sovietico... Entro nella sala mentre Antonin Liehm, l’ideatore di Lettre Internationale, sta finendo di parlare: ma so già come la pensa per aver tante volte, in questi ultimi anni, discusso del presente e del futuro della rivista nel bistrot “Cent kilos” a due passi dalla sua casa parigina. Che Liehm sia stato invitato ad aprire i lavori di quest’anno non è certo un caso: sono vent’anni dal crollo del Muro di Berlino, e il titolo degli incontri è European Histories, Storie europee. Liehm è stato uno dei protagonisti della Primavera di Praga. Quella storia, la storia della liberazione della metà orientale del continente europeo, lui l’ha vissuta sulla sua pelle, è passato per entusiasmi e delusioni, come tanti intellettuali dell’Est della sua generazione. E quel disincanto – come se la Storia alla fine avesse preso una piega storta, come se tutte quelle battaglie combattute per la democrazia non fossero state premiate da un vittoria finale piena, convincente, risolutiva – trapela inevitabilmente dal tono del suo discorso. E di ciò mi dispiaccio, com’è logico. Ma ripenso al titolo del meeting di questo 2009, e rifletto sulla scelta – quanto mai appropriata – che ha voluto un plurale: Storie europee, e non Storia europea. Storie vuol dire tante cose ma soprattutto una: che la Storia che hanno scritto gli Occidentali europei non è detto che coincida con quella che stanno cercando di scrivere gli Orientali d’Europa; che le piccole storie individuali di ognuno dovrebbero, in qualche modo, essere rappresentate dalla Storia o, almeno,essere prese in considerazione – perché il rito della Memoria, proprio perché rito, non è in sé portatore di conoscenza e non può bastare a lavare le nostre coscienze. Spesso la Memoria ha poco a che fare con la Storia e, anzi, può mortificarla e tradirla, selezionando – talvolta in buonafede, talaltra no – ciò che va ricordato e ciò che può essere dimenticato, ciò che conviene ricordare e ciò che conviene dimenticare. Questo vale a livello individuale e a livello collettivo. Dunque, la necessità di riscrivere le Storie – quando i documenti ce lo impongono, quando i tempi sono maturi, quando le coscienze sono in grado di sopportare una nuova lettura dei fatti o addirittura ce lo chiedono come atto di giustizia – per alimentare la Memoria, rinnovarla, correggerla.

Una frase, tra i tanti interventi e le numerose testimonianze, mi colpisce: è quella che Irena Veisaite, scrittrice e storica del teatro, ebrea nata a Vilnius e miracolosamente scampata al massacro e alla deportazione, pronuncia con voce rotta nel silenzio irreale della bella sala rivestita di legno che ci ospita all’Università: “Dovete capire una cosa: da noi in Lituania la Seconda Guerra Mondiale è finita nel 1953”. E io mi chiedo: che cosa è venuto giù a fare il Muro di Berlino?
La Lituania è entrata nella UE nel 2004 insieme a Cipro, Estonia, Lettonia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria; nel 2007, l’Unione ha ammesso Bulgaria e Romania, chiudendo il ciclo formalmente aperto dalla caduta del Muro e sottraendo definitivamente i Paesi del Centro e dell’Est europeo dalla sfera d’influenza dell’ex impero russo-sovietico. La Lituania è entrata nella UE piena di speranze e orgogliosa di essere ammessa alla corte dell’Europa democratica dopo essere stata sballottata, contesa, conquistata, depredata, massacrata per centinaia di anni dai suoi vicini, occidentali e orientali. Vilnius porta i segni di un antico splendore. Ma le sue ferite sono ancora aperte – solo un cerotto sottile a coprirle: le facciate delle case sono ridipinte di recente, le belle chiese sfoggiano colori pastello troppo sgargianti, i negozi delle griffes internazionali sono lussuosi e deserti. Nei vicoli e nei cortili, cespugli di erbacce crescono su mucchi di calcinacci. La Lituania – e insieme gli altri Paesi centro ed est europei – ora vorrebbero giustizia; la vorrebbero dall’Europa che democraticamente li ha accolti, perché quell’atto di adozione non sia il solito tentativo vacuo e formale di esportare a Est la democrazia e il capitalismo postindustriale a beneficio dell’Occidente, ma affinché la cultura e le istituzioni democratiche mettano in quei Paesi radici solide e durature.

Questo vuol dire che noi, le reti degli intellettuali dell’Ovest e dell’Est, abbiamo ancora molto da fare, e che ci aspettano lunghi anni che dovranno essere spesi a riscrivere le Storie del nostro continente. Vuol dire anche che il progetto di Lettre Internationale, voluto cocciutamente da Antonin Liehm venticinque anni fa per abbattere i provincialismi delle grandi nazioni europee e per promuovere la conoscenza delle culture dell’Est europeo nel mondo occidentale, è ancora vivo e vegeto e, anzi, a esso dobbiamo dedicare tutta la nostra cura, la nostra attenzione e i nostri sforzi – per l’Europa, ma anche contro l’Europa, perché non vogliamo che essa resti la cattedrale in cui, mentre si predicano i buoni princìpi democratici, si fanno i conti in tasca ai fedeli. Venticinque anni fa la lezione di Liehm ci ha insegnato a trattare con la stessa considerazione ogni differenza culturale, a riconoscere un “Est” e un “Ovest” in ogni angolo del mondo; ci ha insegnato a capire che ogni scontro di civiltà è in realtà, come diceva Edward Said, uno scontro di ignoranze che dobbiamo cercare di ricomporre a tutti i costi, da bravi “soldati della cultura”. Non poteva e non può esserci missione più chiara.
All’aeroporto di Riga, durante lo scalo aereo alla volta di Vilnius, ho cambiato 50 euro in 172 litas lituane. Con quei soldi, pago due viaggi in taxi da e per l’aeroporto di Vilnius, due cene e un paio di belle scatole del solito marzapan ricoperto di cioccolato. Ricordo che svariati anni fa, nella tedeschissima Lubecca, la città natale di Thomas Mann, due scatole di cioccolatini del tutto simili le avevo già pagate dieci volte tanto. Se la Lituania non fosse entrata nell’Unione Europea nel 2004, prima che si scatenasse la grande crisi che ha colpito il mondo, non ci sarebbe più entrata. Alla democratica Europa unita i poveri piacciono poco. E poi ci meravigliamo che l’homo europeus faccia fatica a imporsi… Per noi un rumeno è ancora un extracomunitario, perché la sua Storia non interessa nessuno e l’economia del suo Paese vale meno di niente.
Questa sì che è una storia che ho già sentito.


Biancamaria Bruno è direttore di Lettera Internazionale, edizione italiana.