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Viatico (2007-2010) Anno XIV Numero 58 settembre - ottobre 2010



Il Pittore SALVO

Davide Auricchio



Bimestrale d'arte e cultura contemporanea a cura dell'Associazione Culturale


SOMMARIO 58
Continua Viaggio sulla Terra ed Oltre alla ricerca del sé artistico individuale e collettivo, Bollettino n. 58 sempre ricco di sorprese e di varie amenità dal mondo dell’arte attuale.

In Copertina un inconsueto quanto inconfondibile Mao Tse Tung dell’artista cinese Xu De Qi, presente in Italia presso la II Biennale Internazionale di Arte contemporanea di Sabbioneta, ovvero 180 opere provenienti da ogni angolo del globo.

Uno Speciale davvero speciale firmato da Aldo Nove in occasione della personale di ritratti di Paul Thorel alla Galleria Massimo Minini di Brescia, una riflessione arguta e puntuale sui misteri della rappresentazione.

Un Paginone di grande suggestione affidato al colorismo de “Il Pittore Salvo”, come recita il titolo del testo critico di Davide Auricchio: immagini della memoria che implodono nella vivacità materica di una pittura ricca di echi e arcaiche visioni.

Gli Approfondimenti lasciati alla penna di Fabrizio Tramontano che ritorna sul rapporto tra Arte e Architettura con un’incursione nella famigerata periferia di Scampia a vedere gli effetti dell’Edilizia Urbana degli anni Settanta, un bilancio necessario nel quadro di una riqualificazione che stenta a decollare.

Calendario e Recensioni ricche di News e nuovi fenomeni editoriali, senza tralasciare l’ultima trovata di Angelo de Falco dal titolo “Arte e Alchimia”, un poetico quanto filosofico racconto sui grandi maestri del nostro tempo. Da non perdere!
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Salvo
Universo a colori
Studio Raffaelli
Palazzo Wolkenstein
Trento

Nell’affollato quanto ridondante panorama della pittura italiana, e non solo, la parabola pittorica di Salvo rappresenta un caso isolato, come, d’altronde, isolati sono gli elementi primari e descrittivi dei suoi paesaggi contemporanei: una stazione, un'autostrada, un notturno. Una temporalità distesa e mitica che difficilmente lascia spazio alla frenetica quanto perniciosa attività umana, tutto pare avvolto da una rischiarante oggettività, comunque mai fredda e distaccata dalle cose.

Viceversa, lo sguardo del pittore si affaccia alla realtà con lo stupore del fanciullo ma, allo stesso tempo, con il piglio del filosofo. Forse, in proposito, è utile ricordare la lunga parentesi concettuale del pittore siciliano, naturalizzato torinese, che va all’incirca dal Sessantotto al Settantadue, anni in cui stringe rapporti con i concettuali americani (Joseph Kosuth e Robert Barry), con Alighiero Boetti, con molti esponenti dell’Arte Povera (Merz, Zorio, Penone). Come, rimanendo al dato anagrafico e antropologico, è opportuno sottolineare le origini sicule e, dunque, magno-greche di Salvo, di qui anche certe connotazioni monumentali e arcaizzanti del tutto peculiari nella sua lunga ricerca. Basti ricordare alcuni paesaggi della seconda metà degli anni Settanta per farsene un’idea: cavalieri tra rovine architettoniche e visioni di colonne classiche che si reggono a fatica, viste in vari momenti del giorno, dall'alba al tramonto.
Dopotutto, se il Settantatre è l’anno della svolta nel senso di un ritorno alla pittura, è a partire dal Settantasei che Salvo definisce il proprio lessico pittorico in un continuo quanto significativo gioco di rimandi e citazioni alla storia dell’arte, che non è mai sfoggio di erudizione ma piuttosto dialogo profondo con il passato. Ne è testimonianza un'ampia produzione di soggetti mitologici che caratterizza il Settantotto, nascono le scene in cui Ercole combatte l'Idra, lotta contro il leone di Nemea, monta con Bacco un carro tirato dai centauri. Sembra di rivivere gli albori della pittura quando le scene mitologiche arricchiscono le ville patrizie di Pompei, Ercolano, Stabia e Oplonti con le prime fughe prospettiche, il gioco dei chiaroscuri e soprattutto l’inserimento di elementi architettonici interni ed esterni, la natura, dal canto suo fa il suo timido ingresso nel paesaggio con nude rocce e qualche sparuto albero spoglio. Analogamente nella pittura di Salvo compare qualche elemento vegetale di ispirazione vagamente giottesca prima quasi del tutto assente, mentre l’architettura occupa il centro della composizione: case di campagna, chiese e monumenti quali San Giovanni degli Eremiti a Palermo e la Torre di Pisa, archètipi dell’ingegno umano.

Una linea di ricerca, questa, che continuerà per tutti gli Ottanta, quando nasce il fervido sodalizio intellettuale con lo scrittore Giuseppe Pontiggia con cui Salvo condivide l’amore per la letteratura, e si consolida la sua fama a livello europeo grazie anche a personaggi come il compianto Luciano Pistoi, Maurizio Calvesi, Franco Toselli ed altri. Gli anni Ottanta sono quelli del trionfo dell'immagine e del colore, nonché dei minareti resi nell'essenzialità della loro architettura, ambientati in città immaginarie o colti in notturni suggestivi, senza tralasciare i mishram (caratteristiche tombe musulmane). Se da un lato questi elementi sono il bagaglio di un lungo viaggio in Grecia, Jugoslavia e in Turchia dall’altro possiamo leggerli come espressione di quella influenza araba che ancora una volta ci riporta in Sicilia, alle tracce lasciate nell’architettura arabo-normanna. Tanto per rimanere al clima degli Ottanta, possiamo parlare di vero e proprio “nomadismo culturale” che Salvo pratica con grande rigore ma anche con una vena melanconica e poetica. Forse, qui più che altrove si spiega la particolare forza evocativa della sua pittura, un viaggio nel tempo e nello spazio che diventa una buona metafora della vita e, come in Omero, assume un significato assoluto e mitico. Come non cogliere la tensione spirituale di questi paesaggi, la loro geometria perfetta, smussata da una linea morbida che dà vibrazione alle forme e rende dolce la visione pur nei contrappunti vivaci della materia coloristica. Quella luce calda che avvolge le cose a certe latitudini e dilata il tempo come in un sogno -chi è stato in Sicilia capisce perfettamente cosa intendo dire-.

Dagli anni Novanta ad oggi Salvo dedica alcune serie di quadri a luoghi che ha visitato, come Cina, paesi arabi (Oman, Siria, Emirati Arab), Tibet e Nepal, oltre a gran parte d’Europa, soprattutto il nord. Sono anche gli anni i cui nasce un solido rapporto con Giordano Raffaelli a Trento, con il quale è da anni legato per amicizia e lavoro, ricordiamo in particolare la mostra “Salvolandscapes” con in catalogo testi di Donald Baechler e Gian Marco Montesano, nonché numerose collettive nella nuova sede di Palazzo Wolkenstein.
Ed eccoci giunti alle ultimissime quanto inedite opere di questa attesissima mostra dove il viaggio esistenziale e poetico di Salvo continua a regalarci visioni nuove e sempre vivide. In “Viaggio in Egitto” le tre grandi piramidi della Valle dei Templi appaiono in tutta la loro monumentale grandezza e irripetibile perfezione, ancora una volta il viaggio nella storia diventa viaggio interiore, nuova tappa decisiva per accrescere la propria consapevolezza e risvegliare quello stupore sopito, quel “Bello Sublime” di kantiana memoria. In “Gizah” il discorso non cambia anche se muta la prospettiva e il deserto cede il passo a grandi massi, rovine che assumono il significato dell’eterno scorrere della vita in cui il tempo gioca il suo ruolo fondamentale. Con un improvviso sbalzo spaziale siamo nella regione cinese del Yunnan, il paesaggio mostra una morbidezza delle forme inedita mentre il fiume che scorre sotto il ponte diventa una nuova immagine del tempo che passa nonché una citazione dai maestri dello zen, custodi dell’ineffabile saggezza dell’Oriente che ha ancora molto da insegnarci; la materia coloristica ha una lucentezza particolare e i rossi dominano declinandosi nelle infinite gradazioni della scala cromatica. Con “L’epoca delle aringhe” siamo di nuovo a casa, il vivido ricordo di un villaggio di pescatori nella calma di un pomeriggio assolato e terso in cui le cose si mostrano nella loro nuda essenzialità, attimo di pausa e meditazione nel trambusto delle fatiche quotidiane quasi a suggerirci che c’è un tempo per tutto, anche per la meditazione. “Primavera” è un piccolo ma prezioso omaggio al risveglio dello spirito e del corpo attraverso la luce rischiarante che illumina un bosco mediterraneo sospeso tra terra, mare e cielo, qui l’ “incanto naturale” si esprime attraverso il linguaggio del silenzio che è sospensione del giudizio, epoché come dicevano gli antichi, ovvero attimo in cui tutto è magicamente presente a noi stessi. In “Sant’Anna” il discorso non cambia, un piccolo borgo avvolto nella natura ci trasmette una levissima visione, metafora di un’armonia perduta che ogni tanto quasi per incanto ricompare, distensione momentanea dell’anima che esperisce l’esistente cogliendone la natura assoluta: tutto è presente e nulla rivendica la propria assenza.

Forse, qui più che altrove, la pittura di Salvo svela l’assunto teorico da cui muove, ovvero una filosofia dell’attimo in cui tutto ci appare come un insieme inscindibile, senza discriminazioni o accavallamenti di sorta. Come il bambino che vive una dimensione ludica e totale in cui tutto è onnipresente e straordinario, Salvo si affaccia alla realtà con il medesimo approccio olistico in cui ciascun elemento partecipa della stessa complessità del tutto. In “Luglio” e “Agosto” pur passando dalla pittura di paesaggio alla natura morta, Salvo rimane fedele a tale proposito teorico e i frutti della terra partecipano della stessa stagione pur nella sostanziale differenza delle forme e dei colori.
Come gli antichi, Salvo ci ricorda puntualmente che la natura è magica e misteriosa e che delle volte basta soltanto fermarsi a contemplarla.