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Nero Anno 9 Numero 26 primavera-estate 2011



Politics and the Avant-Garde

Piero Gilardi



free magazine


SOMMARIO N. 26

Cover by Adou
Special Project by Josh Smith

CONTENTS

WIKI DIARY pt.2

POLITICS AND THE AVANT-GARDE

THE INFINITE CONVERSATION BETWEEN 2 HEAD-HUNTERS

TOPOLOGIES OF CULTURE(S) ON THE SEMIOTICS OF DRY STONE WALLS

TROVATELLI

A CLOCK THAT RUNS ON MUD

THE MEANING OF MY AVANT-GARDE HILLBILLY AND BLUES MUSIC

CHÈRE STURTEVANT

COMPOSITES

SEE YOU AT PART TWO

WORKS THAT COULD BE MINE & WORKS THAT I WOULD LIKE TO BE MIN...

ARTIST PROJECTS

Josh Smith
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Piero Gilardi è stato il più teorico ed idealista tra gli esponenti dell’Arte Povera. Questo testo – che Gilardi scrisse per la seminale mostra Op Loss Schroven, curata da Wim Beeren e messa in ombra da un punto di vista storico per il solo fatto che ebbe luogo pochi giorni prima della ben più celebre When Attitudes Become Form di Harald Szeemann – è forse il condensato ideologico del Gilardi artista, teorico ed attivista. Sebbene non sia un testo facile, poiché inserito in un clima storico in cui la lotta politica si faceva strada con le sue ideologie in ogni campo dell’attività umanistica, rappresenta nel suo complesso una lucida analisi storica, in “real time”, del rapporto tra politica ed avanguardia. Gilardi passa in rassegna le esperienze dal Nouveau Realism, della Pop Art, della Minimal Art fino alla stessa Arte Povera, mettendone in evidenza i rispettivi successi, contraddizioni e fallimenti. Ma questo testo sottolinea soprattutto una conoscenza della scena artistica internazionale profonda e vissuta in prima persona, cosa piuttosto rara tra gli artisti italiani di quegli anni. È forse per questo che Gilardi è considerato un punto cardine nel dialogo artistico italiano ed internazionale a cavallo tra la fine degli anni sessanta e i primissimi anni settanta, giusto prima di “abbandonare la metafora dell’arte e partecipare alla lotta rivoluzionaria”.


Pop e Nouveau Realisme; analisi e mito della società tecnologica

Ad inizio anni ‘60, gli artisti del movimento Pop e i Nouveaux Réalistes vedevano i “mass media” come una forza in grado di rendere più chiari i rapporti umani; erano convinti che la relazione indotta dal sistema tecnologico fosse obiettiva, e che grazie ad essa si aprissero nuove possibilità per la libertà dell’individuo; il mito di una società senza classi, sostenuto dalla pianificazione del consumo, liberava gli artisti dall’angoscioso dibattito ideologico, fatto di astrazioni e frustrazioni infinite.

L’esplosione della Pop Art, con la sua forza “naïf”, diede un tocco di freschezza e vitalità al linguaggio del New-Dada; il Nouveau Realisme, più timido e schierato intellettualmente, fu invece letto da Restany come il principio artistico di una nuova forma d’umanesimo tecnologico.

La Neofigurazione, il Newexpressionism e il Nouveausurrealisme usavano invece l’iconografia dei mass media con il vecchio obbiettivo della critica sociale, un’eredità dell’arte astratta.

Fu proprio in questo momento che prese piede una rinnovata fede culturale nella tecnologia. Gli strumenti tecnologici avevano definitivamente perso il loro senso magico ed empirico; erano diventati parte del ritratto sociale; il neocapitalismo cresceva sempre di più, e l’ “informazione” passava dall’infrastruttura alla struttura della società.

Gli artisti, insieme ad un ristretto gruppo di intellettuali, erano convinti che la società tecnologica, con la sua nuova logica interna, avrebbe risolto il problema generale legato all’idea di associazione; la programmazione e la pianificazione avevano creato una piattaforma unitaria ed obiettiva per le relazioni umane. La natura psicologica di questa scoperta era così abbagliante che i problemi posti dal progresso tecnologico, e dalle sue relative contraddizioni sociali, erano stati dimenticati. Fin dal primo momento, artisti come Lichtenstein, Warhol, Wesselmann, Hamilton, Cristo e Raysse penetrarono in modo sempre più profondo nel meccanismo linguistico utilizzato dai media commerciali; l’approccio iniziale del gruppo New-Dada era stato abbandonato a favore dell’aderenza ideologica e strutturale alla società del consumo.

Questo lavoro fu portato avanti da Oldenburg, Dine, Rosenquist, Pistoletto, Fahlström e Arman, in modo forse più analitico, o forse più romantico, ma in ogni caso distante dalla logica intrinseca dei media stessi.

Gli artisti cinetici svilupparono invece una visione della società tecnologica basata su un’ideologia statica e precostituita; la visione politica che proclamavano era inefficiente e, secondo il loro punto di vista, l’invenzione artistica consisteva nel tentativo di aggiungere un grado di razionalizzazione umanistica agli elementi alienanti di questa nuova dimensione.


Primary Structures e Funk Art: accettazione e rifiuto del “sistema”

La dimensione Pop si è diffusa a partire dal 1965; il suo contenuto è stato però ridotto all’essenziale; nascono così le esperienze riduttive delle Primary Structures e della Minimal Art.

L’ideologia del consumo e della società dell’informazione resta; gli artisti, tuttavia, avendo portato al limite l’analisi legata all’iconografia, concentrano ora l’attenzione sulla sua struttura entropica.

Il linguaggio utilizzato subisce un sorprendente cambiamento da un punto di vista formale, sebbene il suo significato rimanga nell’ambito della dimensione tecnologica; passiamo dalla “pienezza” dell’immagine ripetuta, presentata da Warhol, al vuoto dei corpi geometrici di Morris; dallo spazio al tempo, passando per la “obsolescenza”; si tratta di un vuoto fisiologico, il cui “materiale” è dato dalla tecnologia; rappresentato nel linguaggio drammatico di Morris, Judd, Flavin, Andre e Grosvenor o nel discorso articolato di Sol LeWitt, Smithson e Snelson; in Europa, possiamo menzionare i nomi di King, Tucker e Heerich.

L’analisi dei media contemporanei operata da Mc Luhan ha sostenuto le intuizioni di questi artisti; a New York, il mondo artistico raccoglie i benefici commerciali legati all’insuccesso della Pop Art, soprattutto tra i collezionisti protestanti e iconoclasti degli Stati Uniti e dell’Europa del nord; in California, Los Angeles si è fatta avanti con la sensualità tecnologica dei minimalisti. Ancora una volta, il messaggio è allo stesso tempo simbolico e unitario.

Gli artisti dell’area della San Francisco Bay sono stati i primi a porre il problema “politico” che era implicito, a posteriori, nella dimensione tecnologica; il modo in cui l’hanno fatto è stato violento, soggettivo e totale.

La Funk Art non è una corrente, ma un “clima” artistico. Il suo linguaggio formale è ispirato ad Oldenburg, ed enfatizza le suggestioni letterarie e gli elementi psicoanalitici. Tuttavia, come conseguenza del rifiuto soggettivo di una prospettiva storica e sociale, non c’è traccia di mistificazione, né di quel background naïf che troviamo anche nelle esperienze tecnologiche più radicali della scuola di New York. Robert Smithson, nel corso di un’intervista, rifiuta di riconoscere il concetto di “establishment”.

È pur vero che l’elemento “naïf” non è del tutto assente dall’espressione della Funk Art. La sua dimensione mentale, tuttavia, si rifà al mito decaduto della tecnologia. Nel 1966, un gruppo di artisti newyorchesi – Adams, Hesse, Sonnier, Viner, Bourgeois e Isreal – inquadrati da Lucy Lippard nella corrente della “Eccentric Abstraction”, era assai vicino agli artisti Funk. Ma il successivo contatto con le esperienze strutturaliste li ha avvicinati all’ambiente culturale dominante, e quindi allo sviluppo finale della Minimal Art, descritto oggi da Morris come “Anti-form Art”. Gli artisti Funk, come Paris, Bitney, Linder, Melchert, Anderson, Baden, Wiley e Potts, vivevano in un ambiente culturale influenzato tanto dall’umanesimo tradizionale quanto dallo Zend. Le tre sezioni più importanti dell’Università della California sono tutte concentrate nella baia di San Francisco; è a Berkeley che nel 1962 si è verificata la prima rivolta studentesca.

Nei campus della Bay, la vita comunitaria e il dibattito culturale si sono sviluppati in modo sincero, su percorsi individuali e liberi. La partecipazione entusiasta e costante agli eventi politici mondiali non ha ostacolato le esperienze psichedeliche, portate a livelli radicali dagli hippies di Heigh Ashbury come fuga dalla realtà sociale. La consapevolezza che gli Stati Uniti siano una nazione bloccata dalle contraddizioni del suo stesso sistema economico, e di fronte ad una crisi politica che può essere superata solo con “un salto qualitativo in avanti” sul piano ideologico, è sempre stata chiara; per gli studenti della Bay, nessuna avventura nello spazio può spostare l’attenzione dalla natura cruciale della situazione politica che li circonda.

Studenti, scienziati e artisti della Bay ritengono la tecnologia un’infrastruttura ormai generalizzata e acquisita; si è definita una nuova dimensione per il sistema tecnologico, come estensione meccanica dell’uomo; a livello mentale, non hanno solamente cambiato la “prospettiva” della realtà, hanno persino eliminato l’idea stessa di “prospettiva”; senza spostarsi formalmente dal pieno al vuoto, hanno sviluppato una condizione nuova, a metà strada tra questi due estremi.

Questa nuova condizione è stata sperimentata in termini di realtà pratica ed è entrata a far parte della loro coscienza; le azioni nei confronti del sistema che li circonda sono portate avanti con strumenti che non vogliono competere con gli obbiettivi del sistema stesso; diversamente dalle controparti europee del 22 Marzo o dello SDS, non hanno mai avvertito la necessità di impostare una teoria politica a seguito delle loro azioni; il lavoro strutturale è svalutato, la loro dimensione esistenziale è quella di una globalità influente e “contaminante”.


L’arte dell’area Latina: esperienza individuale e la partecipazione del pubblico

Questa nuova percezione di globalità, e la disintegrazione dei limiti strutturali, hanno avuto in Beuys, Spoerri e Pistoletto i loro antesignani europei, ma la portata di questa esperienza comunitaria non è mai stata ai livelli di quella della Funk Art.

Lasciando da parte le premesse ideologiche, gli artisti cinetici hanno visto maturare la crisi strutturale nel campo del linguaggio, in modo simile a quella che ha investito le istituzioni politiche; malgrado il loro pronto sostegno alla mobilitazione studentesca, alcuni eventi radicali come quello del Maggio scorso a Parigi, sono stati un brusco risveglio.

La posizione europea è, ovviamente, ancora molto distante dalle strutture tecnologiche e consumistiche più avanzate degli U.S.A. Il “sistema” autoritario che fa uso di queste strutture, tuttavia, è allo stesso tempo globale e unificato; sotto questo aspetto, il neocapitalismo occidentale e la tecnocrazia del blocco sovietico vedono le cose allo stesso modo.

Mentre gli artisti “minimali” mirano alla realizzazione oggettiva di un simbolo visibile, che rappresenti l’entropia del sistema, alcuni artisti, lavorando in modo indipendente, hanno raggiunto già da tempo degli sbocchi esistenziali che si esprimono al di fuori del sistema; posso citare come esempi Medalla, Hoke e Boezem; un lavoro simile è stato portato avanti dalle avanguardie politiche del “Situazionismo” di Strasburgo e dalla Libera Università di Berlino – vere e proprie “isole” sociali nel mondo della cultura europea.

Puntando l’attenzione sull’Italia, il critico Germano Celant ha messo insieme un nuovo gruppo di artisti in una “situazione” spontanea e antistrutturale; ispirata al lavoro di Pistoletto, essa va sotto il nome di “Arte Povera”, e il suo primo piccolo manifesto, pubblicato nell’Ottobre del 1967, già parlava di “guerriglia” contro il sistema; il movimento includeva Anselmo, Boetti, Fabro, Kounellis, Pascali, Piacentino; Paolini, Merz e Zorio; successivamente, Prini e Calzolari. Inizialmente ci sono state delle tensioni, ma poi con il passare del tempo ha preso piede una ventata di istituzionalizzazione, rivelando tutto un lato di promozione commerciale e il tentativo di integrarsi con l’establishment artistico internazionale.

Nei suoi momenti più alti, l’Arte Povera ha sviluppato la creazione di ambienti ed azioni che coinvolgevano spesso il pubblico ed erano realizzate in luoghi normalmente alieni alle opere d’arte. In America Latina, Suarez, Paksa, Stoppani e altri, hanno portato avanti esperimenti ancora più avanzati nella creazione di ambienti; effettivamente, questa particolare forma espressiva sembra del tutto congeniale agli artisti di origine latina. Attraverso le implicazioni formali e psicologiche, la creazione di ambienti propone l’idea di una nuova globalità; offre una riconciliazione tra arte e vita, tra pensiero e azione; il nuovo ambiente non è uno spazio che condiziona lo spettatore, ma un’esperienza di libertà che lo porta a riconoscere la sua autonomia percettiva; il meccanismo psicologico inerente è simile a quello che sottostà alla “mobilitazione” politica degli incontri studenteschi moderni.


La rivoluzione culturale: l’esperienza di una prassi creativa

La Stampa ha giudicato la rivoluzione culturale cinese come un tentativo di mobilitare la gioventù per consolidare il potere personale di Mao. Tuttavia, alcune delle caratteristiche più profonde di quest’evento vanno viste alla luce del più recente e radicale problema esistenziale che pervade l’intera società tecnologica. La mobilitazione politica permanente ha favorito un clima in cui i giovani cinesi si trovano ad essere più estroversi, e in cui si è prodotta una straordinaria fluidità percettiva.

L’errore più serio commesso dagli osservatori occidentali è stato quello di dare troppa importanza ai fattori simbolici e rituali. Nelle scuole, nelle fabbriche e negli ospedali, il lavoro viene sospeso per recitare tutti insieme i versi di Mao, nella totale indifferenza rispetto alle esigenze del momento o alle imposizioni dei ritmi tecnologici; se riusciamo a guardare oltre il contenuto simbolico di questa azione, potremmo avere un’idea chiara della sua funzione di relazione emotiva “orizzontale”, e di decontaminazione dal lavoro strutturale e tecnologico. Nel sistema tecnocratico o capitalista, una decontaminazione di questo tipo fa invece capo al programma di facciata dell’intrattenimento con la sua funzione di valvola di sfogo e d’evasione. Uno dei detti di Mao è: “Sapresti riconoscere una mela? Mangiala”; il contenuto di questi versi è catartico, nel senso che il semplice, ma cosciente, gesto del mangiare una mela porta l’individuo in contatto con la realtà sul piano del tempo: lo stimolo esterno e la sensazione interna sono viste come parti della stessa cosa, senza alcuna intrusione da parte del relativismo astratto della mente. Questa attitudine deriva allo stesso tempo dallo Zend e dall’empirismo occidentale, e trova espressione nella dimensione percettiva delle avanguardie artistiche e politiche che agiscono fuori dal sistema.
Molte persone, che erano al tempo stesso “progressiste” e ambigue, parlavano delle barricate di Maggio a Parigi come di un grande happening; la loro interpretazione dei fatti, frutto di una razionalizzazione distorta della realtà, sembrava riportare un evento nato dalle forze creative della vita al linguaggio del teatro; la vita, infatti, era il punto, una vita politica nella forma più onnicomprensiva e reale possibile; l’elemento della creatività andava trovato nel rapporto emotivo, che univa tutti coloro che partecipavano, e nell’individuale simultaneità di pensiero ed azione.

A Maggio, il quartiere latino, così come altre parti di Parigi, fu ricoperto di graffiti e manifesti; questi ultimi in particolare erano espliciti e violenti, e approfondivano la comunicazione faccia-a-faccia che era stata portata avanti durante le azioni di strada. Di solito erano stampati, al ritmo di dieci a notte, dall’Atelier Populair des Beaux Arts.

Gli studenti europei hanno sviluppato la discussione politica nei confronti del mercato in modo differente; nelle piazze di Parigi, gruppi di 10-12 persone tracciavano un cerchio per terra per iniziare una discussione chiamata “il gioco della verità”: dopo circa un’ora si spostavano, lasciando la piazza piena di gente impegnata in un’animata discussione; in Italia, gli studenti hanno scelto i grandi negozi come luoghi in cui “interrogarsi” pubblicamente tra di loro, o per mettere in scena piccoli sketch basati su eventi di attualità, come la processione avvenuta nei giorni precedenti o le storie dei loro compagni in prigione.
A New York, alcuni gruppi del Greenwich Village hanno sviluppato una comunicazione di strada che fa uso di “strategie dello shock”. Alla Central Station, hanno messo in scena un commando di marine nell’atto di una realistica “esecuzione” di una ragazza vietnamita; uno di questi gruppi, molto vicino al linguaggio dell’avanguardia artistica, ha utilizzato il Village Voice per pubblicizzare degli ambienti; un famoso esempio è una casa, nell’area portoricana di downtown, che è stata trasformata in un museo vivente, con tutti gli elementi dell’orrendo arredamento etichettati, con fare demenziale, come “opera d’arte”, “oggetto seriale”, etc.; il messaggio politico e la demistificazione dell’arte sono tenuti insieme grazie ad una solida e condivisa consapevolezza, tipica del clima morale di New York.

Anche se politicamente non allineato, il cinema underground è un fenomeno che deve essere messo in relazione con la rivoluzione culturale; il New American Cinema, in particolare, era nato con l’etichetta di fenomeno “off”, ma era molto più ampio rispetto ad altri fenomeni simili; recentemente, per colpa di quell’ingenuità creativa comune a gran parte dell’avanguardia visiva americana, i suoi fermenti si sono imbevuti di moralismo e il fenomeno stesso si è istituzionalizzato. Nelle sue conferenze europee, Mekas disse che il New American Cinema era come una forza creativa della natura. Oggi i fermenti più vitali del cinema underground sono i “cinegiornali” realizzati da due cooperative che portano lo stesso nome a New York e San Francisco; l’obbiettivo dei loro documentari è una nuova creatività a cavallo tra arte e politica.

In senso più ampio, la rivoluzione culturale ha poco a che fare con la cultura, anche se alcune delle sue fasi sono esperimenti creativi che gli artisti delle avanguardie raggiungono attraverso la maturazione individuale.


La relazione tra gli artisti delle avanguardie e la realtà: premesse e modalità

Nessuna ideologia filtra dai rapporti tra le nuove avanguardie politiche e la realtà; la “strategia” e la “tattica” d’azione pratica rimangono valide; allo stesso modo, “la poesia” ha perso la sua grazia nell’ambito dell’avanguardia artistica, ma l’attitudine e la comunicazione rimangono le stesse; i simboli della rivoluzione culturale non hanno avuto maggiore importanza dei “segni” dell’avanguardia artistica.

La strategia e le tattiche utilizzate dagli artisti in rapporto alla realtà possono essere tracciate attraverso le loro stesse parole, specialmente negli ultimi due anni; Pistoletto ha scritto: “Dopo ogni azione, mi giro da una parte e procedo in una direzione diversa da quella formulata dal mio soggetto, visto che rifiuto di accettarla come risposta”; Artschwager, riferendosi a uno dei suoi ambienti composti da piccoli elementi neri sparpagliati e disposti al di là dei confini della stessa galleria, dichiarava “…lo spazio dove essi (gli elementi) sono inseriti trascende i suoi stessi limiti fisici per tramutarsi in uno spazio mentale e totale”; Walter de Maria ha detto: “ogni cosa può essere portata ad un livello di non-purezza. È questo punto, dove il caldo incontra il freddo, l’azione incontra l’inattività, ciò che mi interessa”.

Emilio Prini dichiara: “l’azione creativa deve prendersi per mano con la realtà in tutti i suoi aspetti – l’aria, le persone e le cose che gli stanno intorno”; Ger van Elk, parlando delle “azioni verbali” preparate da Dibbets per la televisione tedesca, disse “… non ci sarà alcuna comunicazione tra Dibbets e il pubblico, dato che quest’ultimo sarà lo strumento di un’azione creativa totale”; William Wiley afferma: “Quando mi alzo, ogni giorno, reinvento la mia vita minuto dopo minuto”; riflettendo sulla domanda “Trovare il tempo o lasciare che sia lui a trovare me?”, Steve Kaltenbach scrisse: “E’ possibile manipolare un oggetto in modo tale da ottenere un cambiamento nella percezione dell’oggetto o di un ambiente; un oggetto potrebbe anche essere manipolato al fine di causare un’alterazione nella percezione stessa”; infine, potremmo citare una frase ben ragionata di Boezem; “... l’intera scena è aperta, e assistiamo ad un’evoluzione in tutti coloro che si rendono conto di essere “cose” al di fuori dell’ambito della storia dell’arte. È questa l’unica “notizia” – la partecipazione ad una realtà totale”.


La posizione economica dell’avanguardia artistica; l’istituzione della crisi e la prospettiva del futuro

Nel caso dell’establishment commerciale dell’arte di New York e, in seconda istanza, dell’intero mercato occidentale legato alle avanguardie, la forza trainante non è più il guadagno finanziario, ma il raggiungimento di un potere culturale fine a se stesso; i proprietari della gallerie d’avanguardia sono interessati a controllare la struttura d’informazione di un movimento artistico o di un gruppo di artisti; il profitto è una questione che va in secondo piano.

E’ ben noto che la maggior parte delle gallerie d’avanguardia negli Stati Uniti sono in perdita. Il loro finanziamento, grazie all’aiuto di una nota clausola nella legislazione sulle imposte, offre una delle tante valvole di sicurezza per coprire le esuberanti spese di capitale; allo stesso tempo, l’avanguardia è tenuta al guinzaglio, sintonizzata su una neutralità politica e, in una sola parola, assorbita nell’ideologia del “sistema”.

Il lavoro dei musei d’arte moderna è anch’esso legato alle strutture sociali, ma è ovviamente meno sensibile alla necessità di lottare per il potere culturale, ed è libero dagli interessi commerciali; negli Stati Uniti, i musei, come le gallerie, sono fortemente connessi all’economia privata; le gallerie vedono i musei come uno strumento per accrescere il prestigio dei loro artisti.

Il contributo più funzionale dato dai musei degli Stati Uniti e del Nord Europa è quello di un’analisi imparziale dei singoli settori o delle singole situazioni legate all’ambiente delle avanguardie; le mostre con un respiro storico onnicomprensivo sono sempre molto impegnative; le grandi mostre personali rappresentano oggi una mistificazione culturale che è in contraddizione con il contenuto ambientale proposto dalle avanguardie.

La crisi che colpì le grandi mostre ufficiali ha raggiunto il suo culmine nel 1968, con la tempesta che si è scatenata sulla Biennale di Venezia; una timida protesta ha disturbato l’inaugurazione di Documenta IV, un grande evento organizzato con l’aiuto di fondi pubblici, ma carente di obiettività.

Mostre caratterizzate da una certa ventata di novità sono state fatte dall’Albright Knox Foundation, Buffalo, dal Pasadena Museum e dalla Kunsthalle di Berna; ma gli artisti hanno trovato di fatto maggiore libertà di movimento nei festival interdisciplinari, nelle azioni di gruppo e nelle collettive di brevissima durata; in Italia, la mostra di maggior successo è stata quella del festival di “Azioni Povere” ad Amalfi.

Un lavoro meno intenso, ma libero ed incessante nella comunità artistica è stato quello portato avanti dai dipartimenti d’arte delle università americane e dalle scuole d’arte europee.


La politica dell’arte

Concludendo una conferenza in una scuola di arti figurative, Herbert Marcuse disse “…in questo caso, l’arte, con tutta la sua forza positiva, formerebbe parte del potere liberatorio del negativo e aiuterebbe a liberare l’inconscio e la coscienza, entrambe menomate, che hanno rafforzato le istituzioni repressive. Rispetto al passato, credo che l’arte moderna si stia congedando da questo dovere con più consapevolezza e metodo. Tutto il resto non rientra nei compiti degli artisti. Il miglioramento e il vero cambiamento, che dovrebbero servire a liberare gli uomini e le cose, vengono lasciati al campo dell’azione politica; l’artista non ne prende parte in quanto tale. Oggi, tuttavia, questa attività esterna è messa in stretta connessione con la posizione presa dall’arte e, forse, con il compiersi della fine dell’arte stessa”. Marcuse punta il dito qui su qualcosa di contemporaneamente divergente e positivo in relazione alla nuova posizione assunta dall’arte; la sua non è, comunque, una comprensione piena del fenomeno, in quanto egli è ancora ostacolato da un logica “verticale”; la funzione catartica e il mondo del negativo sono reali, ma pur sempre ovvie caratteristiche dell’avanguardia presente; il legame tra arte e politica non va pensato come infrastruttura, ma come discesa sul piano orizzontale nella forma di una “vicinanza” mentale ed emotiva; l’arte, nelle sue proprietà linguistiche e strutturali, è già finita – assorbita nell’entropia del sistema.

L’unica ragione per la quale gli artisti liberi si esprimono attraverso il mezzo dei segni è che la loro coscienza ancora non ha portato avanti una globalità che è “funzionale” per sua natura; gli artisti d’avanguardia in accordo con l’establishment hanno sempre di più assunto le sembianze di estensioni isolate e meccaniche del corpo del sistema; per il resto, l’intera esperienza è una realtà mentale, non un’esperienza “funzionale”: ostacoli di tipo psicanalitico e sociologico continuano a chiedere di essere affrontati dagli artisti con la “difesa” dei segni; la condizione totalizzante dell’essere, opposta all’unidimensionalità del sistema, è stata sperimentata solo in maniera sporadica.

Tra la situazione attuale e il raggiungimento di un “continuum globale” di arte-vita si frappongono una serie di azioni “economiche” che devono essere considerate: la partecipazione nella pratica rivoluzionaria, la demistificazione del dialogo culturale e il “contatto epidermico” tra gli artisti di tutto il mondo.


Piero Gilardi (1942) è stato un esponente del movimento dell’Arte Povera, da cui in seguito si è allontanato. Negli anni cruciali che vanno tra il 1967 e 1969, la sua attività di artista si concentra prevalentemente sul lato teorico. È stato un importante tramite tra Torino e la scena internazionale ed stato universalmente riconosciuto nella metà degli anni ‘60 per i suoi esperimenti con materiali non ortodossi e forme scultoree in forte contrasto con le tendenze del momento.