SMALL ZINE Anno 2 Numero 7 luglio-settembre 2013
Intervista a Ieva Petersone
Loredana Barillaro/ Raccontami di te Ieva, quando hai deciso che avresti fatto l’artista?
Ieva Petersone/ Non c'è stato un giorno particolare, ho maturato l’idea quando avevo nove anni: dovevo iscrivermi alla scuola di musica ma ho detto a mia madre che invece volevo frequentare la scuola di arte. In seguito, a undici anni, ho cominciato il liceo artistico (da noi non c'è scuola media) e da allora ho studiato sempre arte; è venuto tutto da sé, con il tempo, in modo molto naturale, spontaneo, e poi è quello che mi viene meglio fare.
LB/ Nei contesti che dipingi la figura umana è assente, però l’oggetto che ci è più familiare, la sedia, sembra evocarne la presenza in maniera molto forte…
IP/ La figura umana non entra quasi mai nello spazio dei miei lavori, ma gli oggetti parlano di essa. È come entrare in un luogo in cui non ci sono più persone, ma ci sono state, e vedendo i mobili, gli oggetti, la posizione in cui si trovano puoi ipotizzare una storia, puoi immaginare quello che è successo prima.
LB/ Quindi è possibile ricostruire le ultime ore di una persona in base alle tracce che ha lasciato in un dato luogo…
IP/ Si, esattamente.
LB/ Che rapporto esiste fra le tue opere e il design?
IP/ Scelgo le sedie dal design più noto, di solito degli anni Trenta e Cinquanta o anche più recente, non mi baso però necessariamente sull’idea di chi le ha progettate, bensì prendo quello che più mi piace. Scelgo il design perché offre una gran varietà di forme e di colori. Potrei dipingere qualsiasi sedia, ma ricreo un po’ il pensiero che ci sta dietro, scelgo i mobili che in un certo senso mi “divertono”.
LB/ Parlami dei lavori legati al cinema.
IP/ Sono lavori abbastanza recenti e spiegano ancor di più il concetto della “non presenza”, delle tracce lasciate dai personaggi che non si vedono. Si tratta di interni estratti da scene di film di Kubrick, Antonioni, Tarantino e altri. Guardando un film ci si concentra sempre sugli attori, io invece li tolgo e lascio che lo spazio diventi azione esso stesso. Dipingo ciò a cui spesso non prestiamo attenzione ma che già di per sé disegna la storia. È come se fossero delle nature morte fatte da tavoli e sedie, ma tutto è più “astratto” in un certo senso, anche se il filo conduttore è sempre lo stesso, l’assenza di persone fisiche.
LB/ Il cinema è anche più discorsivo, possiede una trama, un tempo, presuppone una durata…
IP/ Si, in effetti lo spazio è più discorsivo e in parte tende ad essere più realistico…
LB/ Più in generale, a livello emotivo, cosa metti nei tuoi lavori?
IP/ Ciò che voglio trasmettere più che altro sono tranquillità e armonia, ma spero sempre che ogni singola persona interpreti un dipinto in modo autonomo, in base alla propria storia. Ciascuno può indicare un proprio racconto…
LB/ Dunque è come se ognuno potesse trovare il suo dipinto ideale…
IP/ Si, è così, credo in fondo sia impossibile imporre, a chi guarda un quadro, di vederlo come lo intendi tu, perché ognuno è diverso, abbiamo esperienze differenti gli uni dagli altri. Certo è importante che si crei un filo di pensiero, ma non deve essere per forza il mio.
LB/ Perché hai deciso di venire in Italia, e soprattutto, com’è fare l’artista in Italia?
IP/ È una pura coincidenza il fatto che io mi trovi qui, non ho scelto di fare l’artista in Italia, penso che in fondo in Lettonia sarebbe la stessa cosa, anche se qui a Milano trovo molti stimoli per il mio lavoro.
LB/ A cosa lavori in questo periodo?
IP/ Sto programmando una personale per la prossima stagione, ma stiamo definendo le date proprio in questi giorni. Sarà il risultato della continuazione della mia ricerca sugli oggetti e sugli interni. Sicuramente in autunno… ma non ho ancora date precise.
LB/ Ti ringrazio Ieva, è stato un piacere, a presto.
IP/ A presto!