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D’ARS Anno 53 Numero 215 autunno 2013



Riikka Kuoppala

Stefano Ferrari

La casa di biscotti



periodico di arti e culture contemporanee - fondato nel 1960


SOMMARIO N. 215

copertina: Studio Azzurro, "Tamburi a sud", videoambiente a tam-tam, Tokyo, "Embracing Interactive Art", 2001, copyright Studio Azzurro

sebastıao salgado genesı | lorenzo taıutı

tobıas zıelony | clara carpanını

déjà-vu parte I | eleonora roaro

approccı teorıcı all'archeologıa deı medıa: una mappa | vıto campanellı

come dıfendercı dall'ımmortalıtà | andrea tınterrı

nell'acquarıo dı facebook | martına colettı

wıkıpedıa e ıl prezzo dell'esclusıone | loretta borrellı

locarno fılm festıval 2013 | crıstına trıvellın/eleonora roro

only god forgıves - poterı secondo refn | gıordano bernacchını

teatro rıflessıvo e ıntımıtà connessa | laura gemını

rııkka kuoppala la casa dı bıscottı | stefano ferrarı

mıke kelley e ı progettı futurı all'hangar bıcocca | francsca cogonı

le cınéma selon hıtchcock | valentına tovaglıa

tutto ıntorno a crepax | martına ganıno

arche-tıps: ne gıovıamo? | vıola lılıth russı
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Riikka Kuoppala
Palavan kaupungin alla (Under a Burning City), 2010
Production still
Photo by Paula Lehto
Produced by Oy Petomaani Ltd.

Riikka Kuoppala
Palavan kaupungin alla (Under a Burning City), 2010
Production still
Photo by Paula Lehto
Produced by Oy Petomaani Ltd.

Couch, TV and VCR, Kluuvi Gallery, Helsinki, 2012
Photo Riikka Kuoppala

La casa di biscotti (dall’8 maggio al 15 settembre 2013, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino) è la prima personale in Italia per Riikka Kuoppala (1980), giovane filmmaker e artista “attivista” dalla Finlandia. La mostra riunisce due videoinstallazioni: la prima è stata presentata l’anno scorso alla Kluuvi Gallery di Helsinki e s’intitola Couch, TV and VC (2012); l’altra, Under a Burning City (2010), è il lavoro che finora le ha meritato i maggiori consensi da parte della critica, facendola entrare nel 2011 nella decina di finalisti della Spring Exhibition, l’annuale mostra-premio internazionale della Charlottenborg Fonden di Copenaghen.
Nei due cortometraggi l’artista affronta un soggetto non facile da mettere in immagini (e che è il leitmotiv della sua produzione video) e cioè lo scarto che corre tra il vivere un evento traumatico e il raccontare quell’evento a qualcuno che non ne ha avuta esperienza diretta – così come la fatica di quel qualcuno nell’ascoltare.

Couch, TV and VCR è proiettato su un piccolo televisore dentro un curioso bugigattolo fatto di scatole di cartone. A provarsi nel racconto è una ragazzina che narra del suo rapporto conflittuale con la Custode della Chiave (probabilmente la madre, nei sottotitoli con le iniziali maiuscole come i soprannomi dei cattivi nelle fiabe).
Lo scontro si consuma fuori e dentro il soggiorno di casa: là, c’è un divano rosso dove si deve star seduti composti, le gambe dritte e i piedi a terra; una TV e un videoregistratore, comprati coi suoi soldi, che però non può usare; e se è in casa da sola, la stanza rimane serrata. Ma lei ha trovato un’altra chiave e quando la Custode è fuori, il soggiorno diventa suo e là può fare tutto ciò che vuole con chi vuole, bere vino, rimpinzarsi di patatine, baciare, palpare, leccare.
Intanto scorrono le immagini: la ragazzina che origlia alla porta, da cui provengono gemiti ovattati; la Custode, nuda sul water, che estrae una chiave dalla bocca e ci fissa con sguardo torvo mentre si pulisce dopo aver urinato; due corpi avviluppati.

La casa, luogo sicuro e familiare, diventa qui un ambiente soffocante e pericoloso, come spesso è nelle fiabe del folklore – e qui sta il motivo del titolo della mostra.
Ecco: lo stratagemma dello stanzino di cartone copia quello messo in atto dalla strega cannibale con la casetta di marzapane, bellissima a vedersi e buonissima da mangiare, ma una trappola per i poveri Hänsel e Gretel – anche loro abbandonati dai genitori.

Da una casetta, stavolta di pan di zenzero, muove anche l’altro film,Under a Burning City in cui una nonna tenta di raccontare la guerra alla nipotina Ilona, “che non ha mai imparato ad ascoltare” – e qui veniamo all’altro tema di cui si diceva.
Mentre cucinano il dolce, la donna ricorda il bombardamento russo di Helsinki dell’inverno del ’39, con gran disappunto di Ilona, che ha già udito quella storia mille volte e in mille diverse varianti e che, quando il racconto arriva allo sgancio delle bombe, fa calare il pugno sulla casetta di pane mandandola in frantumi. Il montaggio alterna scene diverse: le due donne che chiacchierano in cucina; mentre vengono intervistate(1); fotografie dei muri di Helsinki dove si vedono i segni delle esplosioni; i momenti del bombardamento secondo la rielaborazione che Ilona fa nella sua testa.
Ecco così che il racconto della Storia si scinde in più versioni: quella della nonna; quella di Ilona; quella “ufficiale” dei libri; e quella di Riikka che, da artista, ne dà una sua personale rilettura.

Per questa sua caratteristica, Under a Burning City è stato scelto quest’anno dagli allievi curatori dell’École du Magasin di Grenoble tra i lavori da esporre nella mostra-progetto di fine corso, che “esplora l’efficacia della fiction nel raccontare e rimettere in scena esperienze traumatiche e storie non ufficiali” e si sviluppa in una collettiva (“I Lie to Them”. Based on a True Story 09/06-01/09/2013) e in un sito internet (www.ilietothem.com) progettato come una piattaforma interattiva con contributi testuali e visivi per approfondire l’argomento – dal saggio Empathic Vision. Affect, Trauma and Contemporary Art di Jill Bennet, ai film The Dark Knight, Watchmen e V for Vendetta.

Vorremmo concludere spendendo due parole sull’altro filone della produ-zione artistica di Riikka – che prima ce l’ha fatta definire “attivista” – la quale, tra un film e l’altro, progetta e mette in atto performance, azioni collettive e interventi mediatici che affrontano problemi sociali e politici della Finlandia d’oggi.
Nel 2008 ha rintracciato sette donne sami e ha scritto assieme a loro un articolo sulla difficile integrazione dei lapponi nella moderna società finlandese (2) – “Non è un lavoro artistico in sé, ma considero il percorso che ha portato ad esso in linea con i metodi dialogici dell’arte socialmente impegnata”.
Nel luglio 2009, durante la chiusura estiva di un ente di assistenza di Helsinki, ha raccolto quintali di cibo in scatola alla galleria Alkovi (uno spazio per progetti d’arte temporanei) che poi ha distribuito alle famiglie con bambini piccoli in difficoltà economiche (Mom, I’m Hungry!) – il 10% dei bambini finlandesi vive sotto la soglia della povertà.
E poi c’è la Political Cooking School, ongoing dal 2010, serie di lezioni di cucina nelle quali Riikka si fa affiancare ai fornelli da un ospite (rifugiati politici, attivisti, senzatetto, artisti, professori universitari) con cui discute un tema davanti a un pubblico.

Sul sito riikkakuoppala.net c’è una pagina intitolata “Video Preview” dove, previa concessione di una password da parte dell’artista, è possibile visionare i suoi cortometraggi – bella idea che risolve l’annoso problema di fruizione della videoarte. Fino al 13 ottobre Riikka Kuoppala espone alla mostra degli artisti del corso di specializzazione dell’ENSBA di Lione, dove ha appena terminato gli studi. Nel 2014 terrà una personale allo spazio 360m³, sempre a Lione.

[1] Per finta. L’espediente serve per suggerire che i dialoghi sono basati su vere testimonianze d’archivio.
[2] “Saame-neidot”, Voima, 3 (2008). L’articolo è disponibile sul sito del magazine, ma solo in finlandese. Google aiuta.