SMALL ZINE Anno 3 Numero 9 gennaio-marzo 2014
Luigi Presicce
Non è facile descrivere il lavoro di Luigi Presicce. Per comprenderlo appieno è necessario viverlo, immergersi in quella dimensione posta fuori dal tempo che, da sempre, lo caratterizza. Già nella produzione pittorica dei primi anni - oggi drasticamente ridotta - infatti, l’artista pugliese, originario di Porto Cesareo, ha dimostrato di saper riversare nelle sue opere il genius loci, magico e arcaico, di quel “sud del Sud dei santi” da cui proviene, innestarlo di citazioni “colte” in grado di annullare la distinzione alto/basso tipica di tanta cultura contemporanea.
Più in generale, ciò che colpisce nel lavoro di Presicce è l’attitudine al glorioso, alla vanità dell’enigma, alla ricerca di un’ascetica contemplativa e all’istituzione di un tempo “altro”.
Quanto detto è particolarmente vero nelle opere performative, dove l’impressione è che tutto si svolga su un piano parallelo a quello reale, su cui mistica e metafisica si fondono dando concretezza alle visioni dell’artista. Nelle sue opere, infatti, Presicce gioca con l’universo tangibile, utilizza i pezzi dell’esistente come componenti di una raffinata scenografia del possibile in cui finzione e realtà, arte e vita, finiscono inevitabilmente per compenetrarsi.
Le scene costruite nei suoi tableau vivant discendono direttamente dalla storia, dal mito e dalla leggenda, da un repertorio simbolico denso di rimandi rituali e letterari. Le narrazioni proposte affondano le proprie radici nella tradizione – talvolta aulica, talvolta popolare - e nel fascino secolare che le accompagna; raccontano di un universo al tempo stesso intimo - perché custodito e tramandato dal singolo - e pubblico - perché ormai sedimentato nell’immaginario collettivo.
È così che nell’opera di Presicce rivivono tanto le suggestioni dei dipinti di Giotto e Piero della Francesca, quanto le cerimonie votive e le pratiche devozionali tipiche dei cortei processionali; riaffiorano alla mente tanto il teatro di Carmelo Bene, quanto i catartici rituali magici e apotropaici delle vecchie donne di paese.
In ogni tableau vivant la cura dei particolari è massima. Tutto ciò che compare in scena assolve la sua funzione specifica: gli oggetti, i simboli e le persone interagiscono tra loro secondo schemi minuziosamente studiati dall’artista che, a volte interviene personalmente nell’azione, altre affida l’esecuzione della stessa a dei collaboratori. Più in generale, però, nelle sue performance Presicce non si limita al solo esercizio di trascrizione e rappresentazione di una storia, ma si spinge ben oltre, interpretando la stessa attraverso lievi slittamenti semantici che, pur preservando l’attendibilità e la riconoscibilità della scena, contribuiscono alla reinvenzione del mito e alla riattivazione dei suoi contenuti.
Presicce fa ciò rifugiandosi in una dimensione atemporale, producendo azioni non replicabili, site-specific e destinate ad un pubblico spesso ristretto. Le sue performance, infatti, hanno modalità di fruizione spesso insolite perché riservate a due bambini - La benedizione dei pavoni, 2011 - pensate per un singolo spettatore per volta – L’invenzione del busto, 2013 - e, in alcuni casi, addirittura chiuse al pubblico - Janny Haniver show, 2010. Finita la rappresentazione, dell’accaduto non rimane altro che un apparato documentale composto da video e/o fotografie, reliquie uniche di una liturgia senza tempo.