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Espoarte Anno 15 Numero 83 gennaio-marzo 2014



Beatrice Pediconi

Chiara Serri

PITTURA MUTANTE.Polaroid, fotografie, video ed installazioni ambientali. Nel nome della contaminazione...



Contemporary Art magazine


SOMMARIO N.83

ANTINEUTRALE #9 | L'arte è un falso | di Roberto Floreani
PENSIERI ALBINI #16 | di Alberto Zanchetta
NEW MEDIA | Schermi digitali e facciate multimediali: l’ultima frontiera della comunicazione artistica in spazi pubblici | di Chiara Canali
GREMLINS | Quando l'arte va al cinema | di Mattia Zappile
EPPUR SI MUOVE #4.1 | Il viaggio in Occidente | di Christian Ghisellini
EPPUR SI MUOVE #4.2 | Il viaggio in Oriente | di Christian Ghisellini

TALKIN' > EDITORIA | L’arte ambientale e urbana secondo Massimo Bignardi | di Kevin McManus

GRAZIA VARISCO | Ipotesi in “linea”. Una giornata nello studio di Grazia Varisco | intervista di Matteo Galbiati

Collezionismo > INGVILD GOETZ | The dark side of Minimalism. Un’immersione nel lato nascosto della Sammlung Goetz | intervista di Gabriele Salvaterra

Omaggio al Maestro > AGOSTINO BONALUMI | Ricordando un grande maestro... | interviste a Francesca Pola, Fabrizio Bonalumi e Luigi Koelliker di Matteo Galbiati

TALKIN' | L’arte a Verona, per Verona (e non solo) | intervista a Luca Massimo Barbero, Direttore Artistico del progetto di riapertura di Palazzo della Ragione a Verona, nuova sede della Galleria d’Arte Moderna Achille Forti di Ilaria Bignotti

TINO STEFANONI | “Oggetti per la mente” | intervista di Kevin McManus

Collezionismo > GIUSEPPINA PANZA DI BIUMO | Collezionare un sogno: l’eredità di Giuseppe Panza di Biumo | intervista di Matteo Galbiati

ENZO CUCCHI | Il segno nell’arte, quando tradizione e lentezza sfidano il contemporaneo | intervista di Giovanni Gaggia

NUOVI SPAZI | La nuova Galleria Civica di Trento. Quando arte fa rima con responsabilità | intervista a Cristiana Collu e Margherita de Pilati di Silvia Conta

BEATRICE PEDICONI | Pittura mutante. Polaroid, fotografie, video ed installazioni ambientali. Nel nome della contaminazione... | intervista di Chiara Serri

TALKIN' | Toshiko Horiuchi MacAdam. Nella Rete dei draghi | di Daniela Trincia

DAVIDE LA ROCCA | Una pittura “matematica”... | intervista di Igor Zanti

TALKIN' | Marcus Jansen. È nata una stella? | di Igor Zanti

GIOVANI
FATMA BUCAK | Vox clamantis | di Ginevra Bria
CAROLINE LE MÉHAUTÉ | L’arte della négociacion | di Maria Cristina Strati
TIM ELLIS | Fra ragione e appartenenza | di Viviana Siviero
ADELITA HUSNI-BEY | L’arte dei contesti che si fanno narrativi | di Viviana Siviero

BETH MOON | Nei secoli dei secoli | intervista di Alice Zannoni

TALKIN' | Guido Pecci. Il territorio dell’eros e la sua forza primigenia | di Francesca Caputo

OPEN STUDIOS > ANDREA CHIESI | Nella casa del pittore, circondata da alberi matti | di Chiara Serri

TALKIN' | Fulvio Di Piazza. La naturale evoluzione pittorica | di Laura Francesca Di Trapani

NUOVI SPAZI | Arte al CUBO... Di Bologna | Intervista ad Angela Memola di Mattia Zappile
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Beatrice Pediconi, 9’/ Unlimited, 2013
veduta della mostra, Collezione Maramotti, Reggio Emilia.
© Beatrice Pediconi. Foto: Dario Lasagni

Beatrice Pediconi, 9’/ Unlimited, 2013
veduta della mostra, Collezione Maramotti, Reggio Emilia.
© Beatrice Pediconi. Foto: Dario Lasagni

Beatrice Pediconi, X Series 002, 2013, stampa cromogenica su alluminio

Pittura sull’acqua, pittura in movimento, passato, presente e futuro, never ending story. Nel gesto di Beatrice Pediconi, artista romana residente a New York, c’è grande consapevolezza ed accettazione dell’imprevisto, secondo una casualità veicolata di matrice orientale. Parola d’ordine: contaminazione, tra liquidi organici ed inorganici, ritmi lenti ed improvvise accelerazioni. Fotografie, polaroid, video ed installazioni ambientali, per una totale immersione nella pittura. Incontriamo Beatrice Pediconi a Reggio Emilia, dove ha riscosso notevole successo con il progetto 9’/ Unlimited…


Chiara Serri: La mostra alla Collezione Maramotti segna una tappa fondamentale nella tua ricerca in quanto, per la prima volta, hai realizzato una video-installazione ambientale. Com’è nato il progetto?
Beatrice Pediconi: Il progetto è nato da un dialogo costante con Marina Dacci e i collezionisti, fatto d’incontri e visite in studio. Nel 2012 avevano visitato la mostra da Sara Zanin, rimanendo colpiti dal mio fare pittura su una superficie in movimento. Visto che all’interno della Collezione Maramotti la pittura è ampiamente rappresentata, ho pensato di esagerare (ride, ndr), realizzando un vero e proprio ambiente. Non un video, ma una stanza, dove il visitatore potesse immergersi completamente…

Le tue opere – polaroid, fotografie, video – sono esito di un processo performativo. La modalità operativa che contraddistingue il tuo lavoro?
Tutto ha inizio da una vasca colma d’acqua, sulla quale dipingo con pennelli e spatole. Lascio, sostanzialmente, che il liquido reagisca ad una mia azione. A volte vuoto la vasca e ricomincio da capo, altre volte seguo il movimento. Arrivo a realizzare queste pitture dopo varie prove, che mi divertono molto, come se fossi un piccolo chimico. Vado alla ricerca dei materiali e li mescolo, per renderli il più possibile fluidi. Il lavoro cresce con me e prende una direzione piuttosto che un’altra. La polaroid mi aiuta a capire dove voglio andare, come uno schizzo prima del quadro. Quando ho le idee un po’ più chiare, mi metto a dipingere, anche se in ultima analisi non tutto può essere controllato…

Il rapporto tra polaroid e video?
La polaroid nasce come mezzo per documentare e sperimentare nuove sostanze. Ha un suo valore, in quanto pezzo unico non riproducibile, ma tendo a considerarla come un appunto, che anticipa il video. Il riconoscimento è venuto dall’esterno…

Sei sola durante le fasi di sperimentazione?
Quando faccio fotografie sono sempre sola. Non lavorerei mai davanti ad altre persone. Non è uno show! Il video prevede l’utilizzo di una tecnologia più complessa, quindi ho bisogno di un operatore. Per le foto, invece, uso un banco ottico zenitale, posizionato sopra la vasca. Dipingo e fermo l’immagine.

A proposito di tecnologia, il passaggio dal video all’installazione ambientale?
Dopo tanti anni mi sono ritrovata a fare schizzi: gli studi di architettura hanno finalmente acquisito un significato! Scherzi a parte, non avendo conoscenze tecniche specifiche sulla video installazione, mi sono avvalsa anche della collaborazione di Antonio Trimani, un vero professionista, che ha lavorato con Bill Viola e Peter Campus. Ho seguito il progetto da vicino per rendere l’installazione più umana e meno tecnologica, così da evocare mondi “altri”…

La reazione del visitatore?
Il mio lavoro è fatto di varie materie, è una ricerca ambigua: è fotografia, è pittura, è video, è performance, e allo stesso tempo non si capisce tanto cosa sia. Mi piace che ognuno si lasci andare a quello che sente. Io vivo quest’installazione come un’esperienza di distacco dalla vita reale, ottenuta attraverso immagini d’acqua, che appartengono intimamente al nostro vissuto.

La scelta del silenzio?
In America ho lavorato con diversi musicisti, quindi la scelta del silenzio non è stata immediata. Rispetto ai Corpi sottili, zen e minimali, questo lavoro è estremamente ricco dal punto di vista pittorico. Non è – o non era – da me mettere così tanta materia. Caricarlo anche di un suono mi sembrava un po’ troppo... Se stiamo parlando di un altro mondo, in qualche maniera sconosciuto, mi piace che ognuno possa sentire il proprio suono: naturale, istintivo, non predeterminato.

Si può parlare di montaggio?
Come in un vestito d’alta moda non vedi la cucitura, così nel video sono stati eliminati tagli evidenti per ricreare la fluidità della natura. Farei tutto in piano sequenza, ma ad un certo punto la vasca si riempie, il colore si deposita e non passa più luce…

L’idea di un’azione in parte veicolata, in parte lasciata al suo corso potrebbe richiamare altre esperienze, come ad esempio il Gruppo Gutai…
Quando lavoro cerco, per quanto possibile, di isolarmi. Questo, naturalmente, a livello cosciente, poi è inevitabile che a livello inconscio la vita ti influenzi. È stato detto che il mio lavoro non ha patria, non è italiano, non è americano, è oltre i continenti, forse perché tocca corde profonde. Io penso che sia più legato alla filosofia orientale, quindi qualche assonanza con il Gruppo Gutai potrebbe esserci. Poi mi piacciono le forme accoglienti di Anish Kapoor e la bellezza sospesa di Hiroshi Sugimoto, ma anche opere dotate di una certa ironia…

Perché hai scelto di trasferirti a New York?
È stata più una scelta personale che professionale. Avevo voglia di cambiare aria. Per un anno e mezzo ho fatto avanti e indietro, poi mi sono trasferita. La conferma definitiva è venuta con la mia prima personale: nessuno mi conosceva, ma la mostra è stata recensita da Art in America, una delle riviste americane più importanti. Mi sono sentita apprezzata. A New York ci sono venti fortissimi, non dipende dalla patria, ma dalle geografie: le persone si scontrano. Anche se tu vai in un’altra direzione, alla fine sei portato a confrontarti con tutto il mondo dell’arte: scrittori, musicisti, artisti...

Un sogno nel cassetto?
Trovare un po’ di serenità. Qualcosa che forse non è proprio nella natura dell’artista. A volte provo il desiderio di essere differente, perché è estremamente faticoso non avere punti di riferimento e sentirsi sospesi.

Ringraziamenti?
A tutte le persone che mi sopportano. A Marilena Bonomo, che in tempi non sospetti ha apprezzato e sostenuto il mio lavoro, a Sara Zanin, che mi ha presentato alla Collezione Maramotti, e a Marina Dacci, che mi ha seguito con professionalità e passione. Credo nella contaminazione (contamino l’acqua!), nell’unione che fa la forza. Per questo, due gallerie romane trattano le mie opere (Valentina Bonomo e Sara Zanin), senza problemi. La grande differenza rispetto a New York è che in Italia ognuno pensa solo al suo giardinetto, siamo tutti competitor di tutti. New York, invece, è il paese delle grandi collaborazioni. Tanti sono gli artisti che espongono in più di una galleria nella stessa città…

Mostre in corso, attualmente?
In Italia, alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia, al Mart di Rovereto con La magnifica ossessione, prorogata fino al 2 febbraio 2014. All’Auditorium Parco della Musica di Roma, inoltre, si è appena conclusa Storie e visioni con Silvia Camporesi e Simona Ghizzoni, a cura di Alessandra Mauro. In America, al Norton Museum of Art (Florida), nella collettiva The Polaroid Years: Instant Photography and Experimentation, che raccoglie polaroid di diversi autori, tra i quali Andy Warhol, Chuck Close, Philip-Lorca diCorcia ed Anne Collier.

Le ultime novità?
Una serie di fotografie in bianco e nero. Avendo sempre utilizzato la pellicola a colori, per me si tratta di una grande novità. È come se non avessi svuotato completamente la vasca, lasciando la materia sul fondo...

Beatrice Pediconi nasce nel 1972 a Roma, vive e lavora a New York.